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Jacopo De Grossi Mazzorin
Ruolo
Professore Associato
Organizzazione
Università del Salento
Dipartimento
Dipartimento di Beni Culturali
Area Scientifica
AREA 10 - Scienze dell'antichita,filologico-letterarie e storico-artistiche
Settore Scientifico Disciplinare
L-ANT/10 - Metodologie della Ricerca Archeologica
Settore ERC 1° livello
SH - Social sciences and humanities
Settore ERC 2° livello
SH6 The Study of the Human Past: Archaeology and history
Settore ERC 3° livello
SH6_3 General archaeology, archaeometry, landscape archaeology
Il lavoro ha come oggetto l’analisi dei resti faunistici provenienti da due depositi votivi dalle pendici nord-orientali del Palatino e dall’area loro circostante. Questi provengono essenzialmente da due strutture ipogee: un pozzo di forma rettangolare in blocchi di cappellaccio (denominato da ora Teca B) e un pozzo quadrangolare nella sua prima fase in blocchi di cappellaccio e in una successiva ristrutturazione in peperino (da ora denominato Teca A). Il loro riempimento ha restituito, oltre ai resti animali, una rilevante serie di materiali votivi che attestano una continuità di deposizioni a partire dalla fine del VI / inizi V secolo a.C. fino alla fine del III secolo a.C.
Lo studio dei resti di pesce provenienti da cinque diversi siti pugliesi è stato effettuato su un campione relativamente ridotto, si tratta di 170 frammenti determinati, ma nonostante l’esiguità del campione si sono ottenuti dati preliminari abbastanza chiari ed omogenei su ciò che veniva consumato nell’antichità. Nel sito “Fondo Giuliano” a Vaste, nella necropoli datata al V secolo, nei riempimenti delle tombe sono stati rinvenuti molti resti di ittiofauna, associati a resti di altri animali, che denotano la pratica rituale del refrigerium, cioè il consumo di cibo nei pressi delle tombe e la loro deposizione come offerta al defunto. Da questa prima analisi si è constatato che la dieta basata sui prodotti ittici era formata prevalentemente da specie di Serranidi, pesci che vivono sia in vicinanza della costa (esemplari piccoli) sia ad elevate profondità (esemplari di grossa taglia), tra cui cernie, spigole, ma sono presenti anche pesci appartenenti ad altre famiglie, tra cui dentici, orate, e tonni, specie dalle carni saporite e pregiate.
Il campione faunistico, oggetto di questa analisi, proviene dal riempimento di un pozzo individuato nell’area sud-orientale del Foro di Cesare e relativo a un edificio arcaico realizzato agli inizi del VI secolo a.C. Il pozzo, indagato per circa un metro di profondità, è stato colmato tra la fine del VI e gli inizi del V secolo a.C. con una ingente quantità di materiale ceramico, prevalentemente di uso domestico.
Nella necropoli Lippi di Verucchio, tra il 2005 e il 2009, nuove campagne di scavo hanno individuato 86 sepolture in un’area relativamente concentrata. Le tombe si datano prevalentemente tra la metà dell’VIII e la metà del VII sec. a.C. e sono quasi totalmente ad incinerazione tranne alcune relative al momento terminale. In un’area all’interno della necropoli, ma non in diretta relazione con alcuna sepoltura, sono state ritrovate due deposizioni di cavalli prive di elementi di bardatura o di corredo. Si presentano in questa sede i risultati dello studio effettuato sulla prima deposizione, contenente i resti di tre cavalli.
In ancient times the knuckle-bone had probably both a ritual function linked to the practice of divination and a profane use as game piece for infants and adults. This bone can derive from different animal species and when found in large numbers is invariably associated with cultic, funerary or public spheres. A fair amount of worked and unmodified knuckle-bones has recently come to light in Italy from the cemeteries of Le Grotte near Populonia (4th-3th BC) and of Poggio Picenze in Abruzzo (3rd-2nd BC). Zooarchaeological analysis of these knuckle-bone groups contributes to our understanding of several aspects of the ancient use of this particular bone, such as the choice of the animal the different types of modifications and the effects and significance of the different types of depositions
Si presentano in forma preliminare i risultati dello studio della fauna del sito di Mersin-Yumuktepe. Lo studio dei resti animali provenienti dai livelli del Neolitico indica un’economia basata quasi esclusivamente sull’allevamento delle tre principali categorie di animali domestici (bovini, caprovini e suini), mentre lo sfruttamento delle specie selvatiche doveva rivestire un ruolo marginale. I caprovini costituiscono la maggioranza dei resti tra gli animali domestici. La discreta percentuale di resti di maiale riscontrata nei livelli del Neolitico antico di Yumuktepe risulta più alta di altri insediamenti coevi del Vicino Oriente; questo aspetto sarebbe indicatore dell’aspetto umido della regione e confermerebbe il carattere di stanzialità del sito fin dalle fasi più antiche di occupazione. Anche il recupero di resti di micromammiferi sembrerebbe convalidare il carattere di stabilità dell’insediamento neolitico. L’importanza economica dei caprovini si mantiene particolarmente alta nelle fasi successive, in particolare nei livelli del Calcolitico tardo e del Bronzo antico, mentre nella fase ittita antica si registra un discreto incremento dell’allevamento bovino. La selvaggina continua ad esercitare un ruolo marginale. In età bizantina l’allevamento di bovini caprovini e suini risulta più equilibrato, mentre la cacciagione ha acquistato maggiore importanza.
Fin dalla preistoria gli animali hanno avuto un ruolo fondamentale nella vita delle popolazioni umane fornendo loro parte degli alimenti (carne, grasso, latte, uova ecc.), mentre pellicce, pelli e lana sono state e sono utilizzate ancora oggi per vestirsi e proteggersi dalle intemperie. L'osso, specialmente dei mammiferi domestici come il bue, il maiale, la capra o la pecora, e il palco di cervo hanno costituito un'importante fonte di materia prima per fabbricare strumenti di uso quotidiano. E proprio quest'ultimo aspetto che viene approfondito in questo volume che ha l'intento di presentare al pubblico gli interessanti oggetti, realizzati con materie dure di origine animale (osso, palco e avorio), rinvenuti negli scavi effettuati nel territorio salentino e pertinenti a vari ambiti della vita dell'uomo (da quello della cura della persona, a quello del lavoro e della guerra, a quello magico, religioso a quello dello svago). Nel volume sono illustrate anche le tecniche di lavorazione di questi materiali, utilizzate dalla preistoria fino ai giorni nostri.
analisi dei resti animali provenienti dalla necropoli della terramara di Casinalbo (Formigine-MO)
Analisi dei resti animali provenienti dal luogo di culto del Bronzo recente di Monte S. Giulia
Sintesi degli studi di archeozoologia effettuati sulle terramare emiliane
Sintesi degli studi archeozoologici condotti sulle palafitte dell'Età del Bronzo
La Bioarcheologia indaga sulle attività economiche, rituali, e sociali dei gruppi umani in varie epoche. In realtà quella che spesso viene definita come una scienza sussidiaria all’archeologia non è altro che una delle numerose fonti di informazione sulle quali la ricerca archeologica deve essere costruita. Nel presente volume si presentano i risultati del Progetto di Ricerca denominato “Le discipline bioarcheologiche per la ricostruzione del quadro economico-ambientale dell'Italia padana nell'Età del Bronzo” dove si affronta il tema dell'interazione uomo-ambiente in un area campione della pianura padana, compresa tra le conche intermoreniche dei laghi del Garda e l’Appennino emiliano, e si analizzano le strategie di sussistenza che stanno alla base della costante predilezione delle comunità del Bronzo antico e medio nella fascia sub-alpina e di alta pianura per ecosistemi tipicamente umidi. In particolare il lavoro è suddiviso in tre parti che riguardano aree geografiche ben distinte: l’area delle palafitte lombarde con i contributi relativi alle ricerche archeozoologiche condotte nell’insediamento del Lavagnone (BS), l’area delle terramare emiliane e l’area romagnola.
Lo studio fornisce indicazioni significative per delineare il quadro generale dell’economia di sussistenza degli insediamenti di Fondo Paviani e Frattesina durante la Tarda età del Bronzo. Nel complesso l’allevamento del bestiame doveva svolgere un ruolo di primaria importanza essendo i principali animali domestici utilizzati a fini alimentari maggiormente rappresentati. In termini di numero dei resti (NR) e di numero minimo di individui (NMI) i caprovini e i suini rappresentano la principale fonte di proteine. A Frattesina inoltre la caccia non doveva rappresentare un’attività marginale, dal momento che i resti attribuibili a specie selvatiche sono molto ben rappresentati tra i resti identificati. L’importanza dell’attività venatoria sembra aumentare nel corso del tempo, passando dal 14% del Bronzo finale al 26% del Ferro iniziale. La specie maggiormente cacciata è in ogni fase quella del cervo e l’interesse sembrerebbe rivolto sia allo sfruttamento alimentare sia a quello del palco per la lavorazione artigianale di questa materia dura per la fabbricazione di utensili e manici di vario genere, data l’associazione di numerosi frammenti di palco anche con evidenti tracce di taglio con altri elementi anatomici. La pesca in acqua dolce era praticata in entrambi gli insediamenti sebbene fosse un’attività molto comune solo a Frattesina.
Il sito di Frattesina, nel Veneto meridionale, fa parte di un sistema territoriale discontinuo, che si estende a S-E fino a Villamarzana, a E fino a Campestrin di Grignano Polesine, e si sviluppa fra EBR e fase iniziale dell’EdF (ca. XIII-IX sec. a.C.). L’analisi dello sviluppo territoriale e della sequenza crono-tipologica è stata elaborata da Paolo Bellintani, che ha identificato tre fasi principali: 1 - EBR/EBF iniziale; 2- fase piena dell’EBF; 3 - fase finale dell’EBF e inizi dell’EdF Per tutto il corso del suo sviluppo il comprensorio si caratterizza per la concentrazione, finora unica in Italia, di attività produttive su scala industriale, basate sia su risorse locali (palco di cervo e - in parte - il vetro con composizione ad alcali misti) sia su materie prime esotiche (rame, piombo, bronzo, oro, ambra baltica, avorio di elefante, uovo di struzzo). La fase 1, nota fino a pochi anni fa solo in base a materiali raccolti in superficie, ha trovato una conferma significativa con la scoperta del sito di Campestrin di Grignano Polesine, un centro per la produzione intensiva di manufatti di ambra di provenienza baltica. Fase 2 - EBF antica e media; questa fase corrisponde al massimo sviluppo di tutte le produzioni, che si concentrano in particolare nel sito di Frattesina (abitato e necropoli di Narde). Fase 3 - compresa fra il momento finale dell’EBF e quello iniziale della IEF: presente a Frattesina, documentato in modo consistente nell’abitato di Villamarzana e nelle necropoli di Narde e di Fondo Zanotto. L’abitato di Frattesina, documentato per ora nel modo più completo nel corso della fase piena dell’EBF, è attualmente riconosciuto come un importantissimo nodo di produzione e di scambio, con collegamenti sistematici in direzione dell’Europa e del Mediterraneo. La possibilità che, almeno durante questa fase, il sito di Frattesina sia la sede della direzione politica del sistema, è indicata, oltre che dalla concentrazione di attività produttive e di scambio, dalla presenza nella necropoli di Narde di due sole tombe maschili (168 e 227), sul totale di circa un migliaio, con un corredo comprendente una spada, in entrambi i casi defunzionalizzata. In particolare nella t. 227, databile a una fase antica dell’EBF, la concentrazione di indicatori di prestigio e di ruolo si presenta in modo chiaro come correlato di uno status sociale eccezionale
Si presentano in forma preliminare i risultati dello studio della fauna del sito di Mersin-Yumuktepe. Lo studio dei resti animali provenienti dai livelli del Neolitico indica un’economia basata quasi esclusivamente sull’allevamento delle tre principali categorie di animali domestici (bovini, caprovini e suini), mentre lo sfruttamento delle specie selvatiche doveva rivestire un ruolo marginale. I caprovini costituiscono la maggioranza dei resti tra gli animali domestici. La discreta percentuale di resti di maiale riscontrata nei livelli del Neolitico antico di Yumuktepe risulta più alta di altri insediamenti coevi del Vicino Oriente; questo aspetto sarebbe indicatore dell’aspetto umido della regione e confermerebbe il carattere di stanzialità del sito fin dalle fasi più antiche di occupazione. Anche il recupero di resti di micromammiferi sembrerebbe convalidare il carattere di stabilità dell’insediamento neolitico. L’importanza economica dei caprovini si mantiene particolarmente alta nelle fasi successive, in particolare nei livelli del Calcolitico tardo e del Bronzo antico, mentre nella fase ittita antica si registra un discreto incremento dell’allevamento bovino. La selvaggina continua ad esercitare un ruolo marginale. In età bizantina l’allevamento di bovini caprovini e suini risulta più equilibrato, mentre la cacciagione ha acquistato maggiore importanza.
Da sempre, nel mondo antico fino ai nostri tempi, l’astragalo ha rivestito un ruolo particolare con duplice funzione: sacrale nella pratica della divinazione e profana nel gioco di giovani e adulti. Gli astragali utilizzati a tal fine possono appartenere a diverse specie animali. Soprattutto se provenienti da piccoli ruminanti e suini, le sue dimensioni sono modeste e permettono agevolmente la manipolazione contemporanea di più ossa. Gruppi di astragali, talora modificati, sono stati rinvenuti in numerosi siti della penisola. I gruppi più numerosi di astragali si trovano in contesti funerari e religiosi. Uno dei rinvenimenti più famosi è quello della necropoli ellenistica di Locri Epizefiri, dove sono documentate diverse tombe anche con gruppi che superano i 1000 esemplari. Il recente rinvenimento di astragali disposti a mo’ di cordone nella tomba 101 della necropoli di Varranone a Poggio Picenze (III secolo a.C.) ha posto alcuni interrogativi sull’esatto significato di questa disposizione, dove gli astragali sembrano assumere il significato di una serie potente di amuleti. Meno chiaro è chi ne fosse il fruitore, se la donna sepolta, di cui si voleva tutelare la sepoltura, oppure la stessa comunità cui apparteneva che voleva proteggersi da un eventuale “ritorno” della defunta.
In questa sede si affronta la problematica della lavorazione del palco di cervo in base ai resti rinvenuti nei livelli del Bronzo finale del sito protostorico di Roca. Il campione è composto da circa 40 reperti, tra cui teste di spillone, probabili desquamatori, distanziatori di collana, pendenti, scarti di lavorazione e alcune parti di palco in fase di lavorazione. Viene affrontata in particolare l’interpretazione di alcuni utensili dentellati a una o due impugnature e con un foro su una delle estremità, forse interpretabili come desquamatori di pesce.
Studio dei resti faunistici dell'abitato del Bronzo antico di Gallo di Beneceto (PR)
Nell’area della città messapica di Muro Leccese (loc. Cuella) sono stati scavati, al di sotto di una struttura in “tufina”, tre contesti, probabilmente il residuo di sacrifici di fondazione, riempiti con ossa di pecora e databili agli inizi del IV secolo a.C. Si tratta di tre “fosse” contenenti i resti ossei non bruciati di animali. La prima fossa era caratterizzata da una deposizione accurata ed intenzionale delle ossa di una pecora, la seconda fossa era invece riempita dagli scheletri, in parziale connessione anatomica, di tre pecore. La terza conteneva anch’essa i resti di quattro pecora ma non in connessione anatomica. Il lavoro presenta le caratteristiche morfologiche degli animali, analizzando inoltre le pratiche rituali connesse ai tre differenti tipi di contesto archeologico.
All’interno dell’insediamento messapico di età arcaica (VI secolo a.C.) di Castello D’Alceste (San Vito dei Normanni, BR), in Puglia, gli scavi dell’Università del Salento hanno messo in luce un edificio di grande estensione, caratterizzato da una ampia corte aperta fiancheggiata da vani coperti sul lato occidentale. All’interno della corte una struttura in pietre di forma semicircolare è stata identificata come la base di un altare che trova puntuali riscontri nelle rappresentazioni di altari sacrificali su vasi attici . Anche altri elementi rimandano ad una interpretazione rituale del contesto, fra i quali la presenza di frammenti di louteria e alcune caratteristiche del campione dei resti animali associato . Particolarmente significativo è la presenza dei resti di un vitello di circa due anni e di una vacca di quattro anni rinvenuti all’interno di una piccola fossa messa in luce in uno dei vani adiacenti alla grande corte. La presenza di tracce di macellazione su alcune ossa, la mancanza di tracce di combustione sulla superficie dei resti e l’integrità di alcuni elementi anatomici suggeriscono la bollitura della carne dopo averla separata dalla matrice ossea. L’omogeneità del campione e la simultaneità del riempimento della fossa farebbero propendere non per un’azione consuetudinaria, bensì esclusiva e dunque rituale.
Nel presente lavoro vengono presentati i risultati delle analisi archeozoologiche condotte sul materiale faunistico proveniente dallo scavo della “vasca 52” del santuario fenicio-punico di Tas Silġa Malta. Tale struttura fu verosimilmente utilizzata per pratiche di abluzione e poi obliterata tra la seconda metà del II e il I secolo a.C. da uno scarico ricco di ceramica e resti faunistici. Lo scavo, condotto nel 1968 dalla compianta prof. A. Ciasca, ha permesso tra l’altro il recupero di un’ingente quantità di resti di animali che vengono qui presentati in modo esauriente. Si tratta prevalentemente di resti di caprovini e di pesci pregiati come sparidi, serranidi e scaridi che dovevano essere preparati e consumati sul luogo come testimoniano le analisi gas-cromatografiche effettuate sulle ceramiche recuperate. Tra i molluschi sono presenti soprattutto cuori, vongole veraci e seppie; completano il quadro dei prodotti di origine marina numerose spine di ricci di mare e alcune chele di granchio.
Studio dei resti faunistici rinvenuti nei tumuli della necropoli del Bronzo antico di via s. Eurosia a Parma
I resti faunistici rinvenuti nei diversi contesti urbani di San Salvo ci forniscono un quadro dell’importanza economica e alimentare delle diverse specie animali tra il VI e il XVII secolo. La quantità di frammenti ossei riferibili alle principali categorie di animali domestici (bovini, ovicaprini e suini) sembra indicare un maggior consumo di carne bovina tra il VI-VIII secolo e i secoli che vanno dal XIII al XIX in cui sembra affermarsi maggiormente la pastorizia. Il campione bovino, in tutte le fasi abitative, è composto prevalentemente da individui adulti macellati soltanto alla fine del loro ciclo lavorativo nei campi e da scarsi individui più giovani, allevati più propriamente per la produzione carnea. Gli ovicaprini sembrano essere costituiti soprattutto da pecore, solo nel XIII-XIV secolo si ha una maggior presenza di resti di capra. Il campione dei secoli XIII-XIV mostra una pastorizia articolata e la presenza di animali giovani e vecchi sottolinea un interesse sia per la produzione di carne che di lana e latte. Invece il campione dei secoli XVI-XVII, costituito quasi esclusivamente da individui adulti di cui la maggior parte senili, indica una particolare attenzione per la produzione di lana. I resti suini del VI-VIII secolo appartengono tutti a individui giovani o subadulti e ciò indica la ricerca di tagli di carne più pregiata. Molto particolare è invece il campione proveniente dal riempimento superiore di una sepoltura a camera ipogea, databile tra il VII e il IX secolo, che ha restituito 250 resti ossei di maialini appartenenti ad almeno 20 individui di cui 17 appena nati; gli scheletri erano pressoché completi e senza tracce di preparazione alimentare. Nelle fasi più tarde sono invece presenti sia animali giovani che adulti. Il maiale, oltre ad essere fonte di carne sia fresca che conservata, salata o affumicata, forniva anche la gran parte dei grassi alimentari (lardo, strutto) usata nella preparazione dei cibi. Il consumo di pollame sembra invece da riferirsi ad un’economia a conduzione domestica. L’allevamento degli animali da cortile, come galline e oche doveva infatti fornire un contributo soprattutto per l’economia familiare dei ceti meno abbienti. Gli equidi (cavallo e asino) sono scarsissimi e compaiono solo nelle fasi finali di occupazione e probabilmente non utilizzati nell’alimentazione. Infine tra gli scarsi animali selvatici sono presenti cervi, caprioli e cinghiali. Mentre tra le piccole prede sono documentati tassi, volpi e istrici probabilmente cacciati con lacci e trappole. E’ inoltre documentata la cattura di testudinati e rane, e il consumo di pesce e di molluschi marini (ostrica, piè d’asino e seppia).
Il tacchino (Meleagris gallopavo L.) fu importato, con ogni probabilità, dall’America in Spagna nel 1511 come attesta un documento, del 24 ottobre dello stesso anno, firmato dal vescovo di Valencia che imponeva ad ogni nave di trasportare dalle Isole e dalla Tierra Firme a Siviglia, dieci tacchini da riproduzione, metà maschi e metà femmine. In Italia, invece, giunse nel 1520 quando una coppia di tacchini, un maschio e una femmina bianca, fu inviata come regalo dal vescovo di Hispaniola Geraldini al cardinale Pucci a Roma. Invece una delle prime testimonianze iconografiche potrebbe essere rappresentata dagli stucchi realizzati nelle Logge Vaticane. In seguito, nella metà del XVI secolo, numerose leggi suntuarie i Italia settentrionale proibirono la vendita e il consumo di tacchini. Infine in questi ultimi anni numerosi sono stati i rinvenimenti di resti di tacchino (Meleagris gallopavo L.) negli scavi archeologici di diversi contesti del XVI- XVII secolo che delineano una lenta ma progressiva diffusione di questo volatile in Italia.
analisi dei resti faunistici provenienti dalla terramara di Baggiovara (MO)
I resti ossei animali analizzati in questa sede provengono da diversi scavi effettuati dalla Soprintendenza Archeologica dell’Emilia Romagna nel territorio della Provincia di Parma e tutti inerenti le fasi del Neolitico VBQ. Si tratta dei siti di Parma “Benefizio”, Gaione “Parco del Cinghio”, Vicofertile e Parma “via Guidorossi”. Seppur quantitativamente scarsi e in cattivo stato di conservazione i resti animali documentati rivestono grande importanza vista la scarsità di dati sull’economia animale del Neolitico VBQ attualmente in nostro possesso.
Studio dei resti faunistici della palafitta del Lavagnone (BS)
Studio che present l’analisi dei resti faunistici provenienti dalla struttura I della terramara di Gaggio (MO)
Si presentano i risultati preliminari delle analisi condotte sui resti faunistici rinvenuti negli scavi condotti in località Scorpo, al fine di delineare un quadro della loro importanza economica e alimentare a Supersano tra il VII e l’VIII secolo.
Da sempre, nel mondo antico e fino ai nostri tempi, l’astragalo ha rivestito un ruolo particolare dalla duplice funzione: sacrale nella pratica della divinazione e profana nel gioco di giovani e adulti. Gli astragali utilizzati a tal fine possono appartenere a diverse specie animali. Soprattutto se tratti da piccoli ruminanti e suini, le loro dimensioni sono modeste e permettono agevolmente la manipolazione di più ossa contemporaneamente. Gruppi di astragali, talora modificati, sono stati rinvenuti in numerosi siti della penisola. I gruppi più numerosi di astragali si trovano in contesti funerari e religiosi. Uno dei rinvenimenti più famosi è quello della necropoli ellenistica di Locri Epizefiri, dove sono documentate diverse tombe anche con gruppi che superano anche i 1000 esemplari. Recenti sono i rinvenimenti all'interno della necropoli di Le Grotte a Populonia (IV-III a.C.) e quella abruzzese di Poggio Picenze (III-II a.C.). Casi significativi di uso cultuale sono invece quelli della stipe votiva del Lapis Niger nel Foro Romano (VI a.C.) e dei bothroi di Vaste presso Lecce (IV-III a.C .). Una dettagliata analisi dei campioni citati, correlata ad una ricca base documentaria di comparazione, permette di chiarire diversi aspetti legati all'uso di quest'osso, come la scelta della specie animale di appartenenza, le diverse tipologie di interventi modificatori, le modalità e il significato delle deposizioni.
I dati archeozoologici che riguardano gli aspetti paleo-economici delle comunità che si sono susseguite nel corso dell’età del Bronzo nell’area geografica corrispondente all’attuale Puglia sono quanto mai disomogenei e lacunosi. Le informazioni disponibili sono differenti in numero e in qualità nelle diverse aree della regione: Non tutte le fasi cronologiche sono ugualmente rappresentate: i ritrovamenti e gli studi di faune da contesti inquadrabili nel Bronzo antico sono infatti praticamente assenti, maggiormente documentati sono i contesti del Bronzo medio in modo minore quelli del Bronzo recente e finale. Nel presente lavoro si tenta una sintesi dei risultati delle ricerche condotte sino al 2010.
Nel presente lavoro sono stati analizzati i dati archeozoologici che riguardano gli aspetti paleo-economici delle comunità che si sono susseguite nel corso dell’età del Bronzo e della prima età del Ferro nell’area geografica corrispondente all’attuale Lazio. Segue quindi lo studio dell’approvvigionamento e consumo alimentare nella piena età del ferro fino alla tarda-antichità. In particolare per il periodo classico sono presentati i risultati delle analisi archeozoologiche da numerosi contesti della città di Roma.
Vengono presentati i risultati dello studio condotto sui resti faunistici provenienti dal riempimento del pozzo US 469 della città etrusca di Veio, datato alla fine del IV secolo a.C. L’esame delle ossa sembra evidenziare una forte componente cultuale che ha influenzato la composizione del campione. La specie maggiormente attestata è il maiale e si osserva una particolare frequenza delle porzioni craniali che, nella parte sommitale del riempimento, sigillano il pozzo; si sono inoltre individuate alcune ossa di maiali uccisi entro i primi giorni di vita.
Le indagini archeologiche, condotte nella cittadina di Vaste negli anni novanta, hanno restituito un particolare contesto archeologico nel sito di Piazza Dante: un complesso cultuale. Gli scavi sviluppati lungo il lato orientale della piazza, hanno portato alla luce una serie d’ambienti i cui livelli di frequentazione sono datati al IV-III sec. a.C. In prossimità degli stessi sono state individuate tre cavità ipogeiche, che hanno restituito resti di animali assieme a materiale ceramico ed oggetti di chiara valenza cultuale. La differente planimetria, la particolarità dei rinvenimenti faunistici all’interno della cavità 3, la presenza di una conchiglia di grandi dimensioni e una testa femminile in pietra calcarea, inducono a pensare al differente ruolo che tale cavità ha svolto rispetto alle altre due. Si differenzia, inoltre, per la presenza di una lastra in pietra locale con foro centrale (omphalos), ubicata sul fondo della stessa e per le maggiori dimensioni rispetto alle altre due. Questo dato fa pensare che le offerte alimentari (maialini), unitamente ai pasti rituali (ovicaprini), non fossero lasciate nei contenitori ceramici, ma versate nel foro della lastra al fine di avere un contatto diretto con il mondo degli inferi e quindi con le divinità ctonie. Le analisi archeozoologiche condotte sul materiale faunistico proveniente dalle tre cavità, permette di avere una miglior comprensione delle pratiche rituali svolte all’interno della sfera cultuale messapica.
Numerosi contesti indagati in questi anni nel territorio di Roma e inquadrabili tra la fine del I secolo a. C. e il IV secolo d. C. hanno restituito diverse frammenti di osso animale con evidenti tracce di taglio che lasciano ipotizzare la presenza di una produzione artigianale legata all’utilizzazione dell’osso. Si tratta infatti di campioni formati sia da oggetti e strumenti finiti che da scarti della lavorazione dell'osso, del corno e dell'avorio. Ai campioni già editi dalle pendici nordorientali del Palatino e dall'area della Meta Sudans, si sono aggiunti di recente nuovi campioni provenienti dalla stessa area, dall'area dell'Arco di Costantino e dai rinvenimenti effettuati all'interno del Colosseo e nell'attiguo Criptoportico detto Passaggio di Commodo. Un'altra importante area di lavorazione è stata invece messa in luce nel quartiere di Trastevere, nelle indagini archeologiche condotte in Via Sacchi. Questo nuovo campione di oggetti in osso e scarti di lavorazione va quindi ad aggiungersi a quello già noto del Gianicolo proveniente dall'area del tempio di Iside. Questo contributo quindi vuole analizzare nel dettaglio i nuovi campioni sopra menzionati e definire le aree di localizzazione urbanistica delle botteghe di Roma specializzate nella lavorazione artigianale dell'osso e dell'avorio.
Il terzo e ultimo volume dedicato al Santuario di Monte Li Santi. Le Rote a Narce contiene l'analisi dei materiali epigrafici (iscrizioni sia su ceramica sia su due cippi-altarini tufacei dedicati a divinità) e un'analisi archeozoologica dei resti ossei animali rinvenuti nell'area del santuario e inquadrabili cronologicamente dalla metà circa del V secolo fino agli inizi del I secolo a.C. Nell'analisi conclusiva la curatrice dei tre volumi mette in risalto come da questo studio, per la prima volta, il santuario venga illustrato in maniera analitica in tutte le sue componenti, consentendo, attraverso l'incrocio dei dati di stratigrafia assoluta e relativa, interessanti conclusioni sulle fasi di vita, sul regime del culto, sulle produzioni locali, sulla circolazione dei materiali votivi e sulle fasce sociali che ad esso facevano capo.
Dalla metà del XIX secolo si cominciarono ad analizzare ossa e conchiglie da scavi archeologici per avere ulteriori informazioni del modo di vita delle popolazioni preistoriche e sull’ambiente in cui vivevano. La prima vera archeozoologia, nel senso di studi specialistici dei resti archeofaunistici è di solito associata al lavoro dello svizzero Rütimeyer, che influenzò la storia di questa disciplina con il suo lavoro del 1861 “Die Fauna der Pfahlbauten der Schweiz”, che spinse negli anni successivi gli studiosi italiani ad analizzare le faune di insediamenti preistorici italiani, soprattutto quelle delle palafitte e delle terramare; tra questi Coppi, Canestrini, Strobel e altri. Nel 1870, in occasione della V sessione del Congresso Internazionale di antropologia e archeologia preistorica tenutosi l’anno seguente a Bologna, Generali scrisse una nota nel volume sulle terramare del Modenese di C. Boni, nel quale sottolineava “l’incontrastabile utilità dello studio delle varie specie e razze animali nelle epoche più antiche e meno conosciute, e l’importanza che questo studio ha nelle vive quistioni sulla origine e trasformazione delle specie...”. Questo fruttuoso spirito di collaborazione tra archeologi e naturalisti continuò fino ai primi anni del XX secolo, periodo in cui si accentuò la separazione tra studi storico-filologici e studi naturalistici.
Studio delle parure neolitiche realizzate con corallo nei siti neolitici europei
Nel lavoro sono presentati i risultati delle ricerche archeozoologiche condotte nel sito neolitico di Serra Cicora (Nardò, Lecce). I reperti faunistici sono riferibili in parte a due fasi di occupazione, la prima, databile al VI millennio a.C. e quindi a un arco cronologico e culturale, caratterizzato da ceramica impressa e graffita, riferibile a gran parte del Neolitico antico e medio, la seconda, da riferire cronologicamente nel V millennio a.C. e nel quadro economico e sociale del neolitico recente, caratterizzato da ceramica Serra d’Alto e Diana frammista a ceramica impressa e graffita. L’economia di gestione animale del sito riflette quelle peculiarità proprie di una fase preistorica in cui l’allevamento e l’agricoltura iniziano ad assumere quel ruolo di primaria importanza che caratterizzerà l’economia e le società delle fasi successive.
Tra le aree urbane maggiormente indagate da un punto di vista archeozoologico vi è la città di Roma. Tuttavia i prodotti animali che venivano consumati in città provenivano di solito da luoghi di produzione extraurbani, ciò significa che lo studio dei materiali faunistici rinvenuti in città fornisce soprattutto indicazioni sui consumi alimentari ma non è detto che rifletta appieno le pratiche di allevamento strettamente legate all’esigenza del mercato carneo. Lo scopo di questo lavoro è quindi quello di confrontare i dati provenienti dagli scavi urbani medievali con quelli dei centri più piccoli sparsi nella regione. Si sono quindi valutati sia l’apporto degli animali all’alimentazione che i prodotti dell’animale vivente quali lana, latte e forza motrice. Si prende inoltre in esame la presenza, nel corso del medioevo, di due specie animali alloctone: il bufalo e il cammello.
Nel lavoro sono presentati i risultati delle ricerche archeozoologiche condotte nel sito neolitico di Serra Cicora (Nardò, Lecce). I reperti faunistici sono riferibili in parte a due fasi di occupazione, la prima, databile al VI millennio a.C. e quindi a un arco cronologico e culturale, caratterizzato da ceramica impressa e graffita, riferibile a gran parte del Neolitico antico e medio, la seconda, da riferire cronologicamente nel V millennio a.C. e nel quadro economico e sociale del neolitico recente, caratterizzato da ceramica Serra d’Alto e Diana frammista a ceramica impressa e graffita. L’economia di gestione animale del sito riflette quelle peculiarità proprie di una fase preistorica in cui l’allevamento e l’agricoltura iniziano ad assumere quel ruolo di primaria importanza che caratterizzerà l’economia e le società delle fasi successive.
Si presentano i dati delle ultime analisi effettuate sui reperti faunistici rinvenuti negli scavi condotti nel castello quattro e cinquecentesco di Muro Leccese e quelli provenienti da un’unità abitativa nell’annesso “Borgo Terra” in uso già nella seconda metà del Quattrocento, dopo la fondazione del borgo fortificato, di particolare interesse perché situata nelle immediate vicinanze del castello. Il confronto di due realtà contemporanee, ma legate a contesti socialmente ed economicamente differenti, consente di definire un quadro più dettagliato sull’alimentazione e l’economia tra il XV e il XVII secolo a Muro Leccese.
Nel lavoro si presenta lo studio dei resti animali rinvenuti all'interno di uno dei vani orientali di un edificio posto sull’acropoli di Populonia. I resti, riferibili a un rito o pasto sacrificale, erano contenuti in un piatto a vernice nera. Tali resti, costituiti quasi esclusivamente da materiale osteologico riferibile a suini e sono da riferire ad almeno sei individui che non avevano ancora raggiunto la piena maturità. Il rituale sembra da connettere con l'impianto di una grande cisterna.
Vengono presentati i risultati dello studio dei resti faunistici rinvenuti a Populonia in un’abitazione di età romana situata lungo la strada basolata orientale parallela a quella che dall’area sacra della sella sale verso il monumento delle Logge sulla pendice settentrionale del Poggio del Telegrafo. Sono state riconosciute quattro fasi di occupazione della struttura delle quali la più antica risalente alla prima fase di romanizzazione della città di Populonia (seconda metà del II sec. a.C.) e l’ultima alla prima metà del I secolo d.C. Il campione faunistico esaminato viene confrontato con i dati precedentemente analizzati riferibili ai resti recuperati sull’acropoli e databili al III sec. a.C. I resti ossei appartengono prevalentemente agli animali domestici utilizzati a fini alimentari, tra i quali prevalgono i suini sui caprovini, mentre i bovini sono meno rappresentati. Essi riflettono chiaramente la condizione alimentare di un contesto abitativo. L’analisi delle età di morte delle tre categorie di domestici indica un prevalente interesse per la carne. È anche documentato il consumo di carne selvatica; le specie sono quelle già attestate: capriolo, cinghiale e lepre, cui si aggiunge il cervo.
This paper presents the results of a study about the presences of archaeological remains of camels in Europe and Italy. The domestication of the two type of camels (Camelus bactrianus and Camelus dromedarius) was an important step in human civilization in Asia: in fact it has promoted important progress in economic and cultural development. However, time and places of the origin of domestication of these animals remain unresolved; the paper discusses the present knowledges. In Western Europe and North Africa remains of camelids have occasionally been found in Roman provincial sites throughout the Empire. The import of camelids to the Provinces of the Roman Empire has been attested in the past by the bone finds coming from several archaeological sites, from Iberia to Pannonia and from Italy to Britannia. Considering also the textual sources and the iconography, the uses of the camels and the introduction in the Roman Province will be discussed. The historical writings show that the two species were also well known in Medieval times, especially in Italy, French and Spain.
Lo studio si propone di analizzare aspetti dell’economia legati all’allevamento, alla caccia ed alla pesca di un insediamento di cui sono note archeologicamente la fase di frequentazione indigena-maora e quella relativa all’impianto ed all’abbandono del presidio militare di età imperiale. In età pre-romana l’attività di tipo pastorale appare rivolta soprattutto all’utilizzo dei suini; ampia, per il periodo di III-IV sec. d.C., risulta la presenza delle tre principali specie domestiche, bovini, ovicaprini e suini, con una predominanza della prima rispetto alle altre. La frequente attestazione di animali da tiro contribuirebbe a delineare una sostenuta economia di tipo agrario-estensiva nel territorio. Il confronto tra i due periodi storici considerati non mostrerebbe sostanziali variazioni, ad eccezione, in età imperiale, di un rafforzamento dell’agricoltura a scapito dell’allevamento suino, e dell’intensificazione di pratiche pastorali collegabili a pecore e capre. Di particolare interesse appare anche il ruolo svolto nell’economia e nell’artigianato del sito da faune proprie del Nord Africa (camelidi, grandi felidi) e dalla pesca.
Il fine di questo lavoro è quello di sottolineare l’importanza della documentazione archeozoologica per la comprensione dei riti e sacrifici nel mondo antico. Le questioni che vengono poste hanno una valenza fondamentale. Quali nuove informazioni i resti animali possono offrirci e come interagiscono con le altre fonti documentarie sui rituali nell’antichità? Fino a che punto i resti animali documentano una realtà differente da quella documentata da altre fonti? Ci sono rituali che possono essere rivelati soltanto dai resti animali? Questo contributo affronta queste tematiche da prospettive geografiche e cronologiche differenti.
Nel corso delle campagna di scavo 2005-2006 del sito pluristratigrafico di Roca sono stati rinvenuti in due contesti differenti diversi resti di carapace di Caretta caretta, tutti inquadrabili cronologicamente al Bronzo recente. Alcuni (SAS X) erano posati sul piano pavimentale di una capanna, forse l’abitazione di un artigiano o perlomeno un’area destinata alla lavorazione della materia dura di origine animale (osso, palco e conchiglia), altri (SAS IX) sono stati rinvenuti in un contesto di probabile origine cultuale ancora in fase di studio. I resti rinvenuti sono attualmente l’unica segnalazione in siti protostorici italiani della lavorazione dell’osso di questo animale. E’ probabile che questi animali venissero cacciati in primavera quando si recavano sulle spiagge per deporre le uova, oppure catturati casualmente con grossi ami usati per la pesca, anche se non si può escludere che il carapace potesse essere prelevato da individui spiaggiati, morti naturalmente.
In this paper the evidence for the introduction of the crested porcupine (Hystrix cristata L. 1758) in Italy is reviewed and hypotheses concerning the timing and modalities of this event are brought forward. The crested porcupine current distribution outside Africa is limited to Sicily and the Italian Peninsula. Palaeontological data indicate that porcupines were present in Italy and other parts of Europe in the Pleistocene (possibly up to the early Holocene), but there is now broad consensus that these belonged to different species, now extinct. Apart from some unreliable prehistoric finds, there is no evidence that porcupines occurred again in Italy and the rest of Europe before historic times. This led many authors to suggest that the Romans may have been responsible for the introduction of the species in Italy, but such assumption was largely speculative. The available evidence in fact indicates that the crested porcupine does not occur in Italy before late Antique or even early medieval times and that it never spread in Europe beyond the Italian Peninsula (and Sicily). The long chronological gap existing between Pleistocene and late Holocene specimens strongly suggests that the presence of the species in historic times in Italy is the result of a human-induced introduction. Variations in the morphometric and genetic characteristics of current porcupine populations in Italy and differences in the timing of the introduction between different regions suggest that the species was probably introduced as a consequence of multiple events.
Over the last decade the study of chicken in the archaeological context has received increased attention. Most published studies have focused on a number of core subjects: the identification of the chicken’s wild ancestor,1 its spread from Asia to Europe,2 the earliest introductions of it into Europe3 and the first evidence of intense economic exploitation.4 It is commonly accepted that the domestic chicken originated from the red jungle fowl (Gallus gallus), which was first domesticated in eastern Asia, perhaps through multiple, independent domestication events.5 The timing of the initial domestication, as well as its spread to the Middle East and Europe, is still unclear. In Italy, chicken remains are mentioned in contexts as early as the ninth century BC, although these require verification.6 By the sixth century BC, however, the occurrence of chicken in Italy is clearly attested.7 In the Classical period, domestic fowl (Gallus domesticus) is often associated with funerary and ritual contexts. The gradual increase of its archaeological representation from the fourth century BC to the sixth century AD,8 indicates that chickens only became widespread in the Roman period, when they began to be exploited as a valuable meat source. This increase is also expressed in a number of well-known literary sources. Roman authors, such as Columella and Pliny the Elder (first century AD), mention the occurrence of a diversity of chicken breeds and management practices. Although chicken was exploited as a source of food in the Middle Ages, there are no medieval written sources detailing the husbandry practices adopted at that time in Italy. Shifts in size throughout the Middle Ages, likely linked to differential management strategies, have been identified in Rome.9 This could indicate the occurrence of changes in human-chicken interactions from the Early to the Late Middle Ages in Italy. This paper aims to investigate husbandry practices adopted at rural and urban sites in Central Italy and the importance of chicken in the Central Italian medieval food economy.
Si presentano in forma preliminare i risultati dello studio della fauna del sito di Mersin-Yumuktepe. Lo studio dei resti animali provenienti dai livelli del Neolitico indica un’economia basata quasi esclusivamente sull’allevamento delle tre principali categorie di animali domestici (bovini, caprovini e suini), mentre lo sfruttamento delle specie selvatiche doveva rivestire un ruolo marginale. I caprovini costituiscono la maggioranza dei resti tra gli animali domestici. La discreta percentuale di resti di maiale riscontrata nei livelli del Neolitico antico di Yumuktepe risulta più alta di altri insediamenti coevi del Vicino Oriente; questo aspetto sarebbe indicatore dell’aspetto umido della regione e confermerebbe il carattere di stanzialità del sito fin dalle fasi più antiche di occupazione. Anche il recupero di resti di micromammiferi sembrerebbe convalidare il carattere di stabilità dell’insediamento neolitico. L’importanza economica dei caprovini si mantiene particolarmente alta nelle fasi successive, in particolare nei livelli del Calcolitico tardo e del Bronzo antico, mentre nella fase ittita antica si registra un discreto incremento dell’allevamento bovino. La selvaggina continua ad esercitare un ruolo marginale. In età bizantina l’allevamento di bovini caprovini e suini risulta più equilibrato, mentre la cacciagione ha acquistato maggiore importanza.
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