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Marisa Forcina
Ruolo
Professore Associato
Organizzazione
Università del Salento
Dipartimento
Dipartimento di Storia Società e Studi sull'Uomo
Area Scientifica
Area 14 - Scienze politiche e sociali
Settore Scientifico Disciplinare
SPS/02 - Storia delle Dottrine Politiche
Settore ERC 1° livello
Non Disponibile
Settore ERC 2° livello
Non Disponibile
Settore ERC 3° livello
Non Disponibile
Il saggio pone l’accento sull’influsso péguysta sorto all’interno di quella che venne definita l’”école de Lecce”, che l’autrice visse dall’interno. Un influsso tanto intellettuale quanto concreto, a tal punto da indurre gli studiosi che ne fecero parte a una perenne rivoluzione contro quanto mina la dignità della persona.
Il testo di M. Forcina è centrato su una domanda: qual è oggi il contributo delle donne nel ripensamento delle scienze? Qual è il loro concreto esercizio di cittadinanza in questi ambiti del sapere? La discussione precedente si era orientata su i nessi tra errore e progettualità, tra scopo e limite. È stata feconda la discussione tra processi naturali, senza scopi preordinati, e ricerca e strategie umane mirate alla realizzazione di un obiettivo e della massimizzazione del profitto. Coscienza del limite e assunzione di responsabilità nella ricerca scientifica sono diventate le parole d’ordine del tempo e, contemporaneamente, da parte delle donne è andata sempre più profilando una critica serrata alla volontà di dominio sulla natura. L’ecofemminismo non è stato solo una risposta politica ai problemi e ai nessi tra scienza e tecnologia, ma è stata anche un modo diverso di fare scienza. Si è trattato, conclude l’autrice, di un esercizio di cittadinanza che ha consentito di guardare, con una prospettiva autonoma, i rapporti tra scienza, modi di vita, questione ambientale e anche riproduzione dell’umano. E, soprattutto riguardo al tema della riproduzione, il pensiero della differenza sessuale ha “messo al mondo il mondo” con un modo completamente distinto di pensare, di vivere e giudicare i problemi in tutti gli ambiti, compreso quello del lavoro.
Il saggio pone l’accento sull’influsso péguysta sorto all’interno di quella che venne definita l’”école de Lecce”, che l’autrice visse dall’interno. Un influsso tanto intellettuale quanto concreto, a tal punto da indurre gli studiosi che ne fecero parte a una perenne rivoluzione contro quanto mina la dignità della persona.
Nel saggio è spiegato perché, nonostante il richiamo all’urna funeraria, Collin non celebra la fine della democrazia, né cede al post, ma interroga la democrazia, ne analizza l’origine e ne mostra sviluppi e possibili soluzioni utilizzando il pensiero della differenza. Al posto della rappresentanza democratica Collin non propone la democrazia diretta, ma una nuova costituzione della cittadinanza dove il dibattito qualitativo non si concluda nel quantitativo, dove la legalità non escluda la legittimità e dove l’autonomia della legge non escluda l’eteronomia di criteri necessari, anche se estranei alla volontà dei soggetti, dove non ci sia opposizione tra democrazia e repubblica, ossia legge del numero e legge del bene comune.
Forcina analizzando il pensiero politico delle filosofe del Novecento, mostra la differenza tra autorità e potere. L’autorità, che non costituisce un superamento dialettico del potere, né gli si contrappone politicamente come una presupposta modalità femminile dell’essere, si sperimenta sul piano fenomenologico esistenziale tra soggetti in relazione. L’autorità è intesa come una pratica condivisa di libertà e di riconoscimento che, al contrario del potere, è generatrice di libertà.
Forcina esamina le grandi trasformazioni avviate dagli ultimi due pontefici, dal significato al peso delle dimissioni di Ratzinger, a quelle che definisce “pietre d’inciampo” disseminate da papa Francesco. Di quest’ultimo ricostruisce le radici argentine, il linguaggio e la cultura anti-ideologica fino alla sottolineatura della importanza attribuita alla differenza sessuale contro ogni altra costruzione deterministica o volontaristica con cui è concepito il genere.
Capitale, lavoro e cittadinanza hanno incarnato, nel loro insieme e con il loro stretto legame, la grande promessa di bene che la democrazia del Novecento portava con sé: il capitale avrebbe promosso lavoro, il lavoro avrebbe permesso la cittadinanza e la cittadinanza avrebbe determinato uguaglianza democratica. Non solo, ma le attese della democrazia della tardomodernità si sono configurate, sino al secondo dopoguerra, nella sequenza per cui l’economia di mercato avrebbe dovuto essere funzionale alla realizzazione della democrazia, producendo contemporaneamente ricchezza e democratica uguaglianza. Le forze del lavoro organizzato sarebbero dovute essere i pilastri della società e, mentre i sindacati i partiti e lo Stato democratico avrebbero dovuto regolare ogni tipo di conflitto tra le parti, lo Stato sociale avrebbe distribuito ricchezza e investito nei servizi per rendere effettiva l’uguaglianza. Si sarebbero avverate in questo modo libertà e distanza dal potere, garanzia di vita e possibilità di realizzazione personale e raggiungimento del bene comune. Forcina mostra , da un lato come gli orientamenti politici del capitalismo postindustriale non abbiano dato ragione a questa sequenza, anzi sembrano averla rovesciata nel raggiungimento del male-essere comune e nella crisi globale. Nel mondo in crisi i tratti decisivi del quadro politico postmoderno si sono configurati sempre più nelle logiche dell’eccezione, dell’anomalia e della recessione che va, appunto, “governata” con le varie messe in scena di governi sempre più apparentemente paritari, in realtà sempre più forti ed esigenti nei confronti dei cittadini, resi programmaticamente ubbidienti al duro comando del potere politico-economico, che a sua volta è diventato sempre più fiduciosamente certo della dissoluzione mediatica della realtà. Dall’altro lato analizza la profonda e innovativa radicalità delle analisi politiche delle filosofe del Novecento.
Capitale, lavoro e cittadinanza hanno incarnato, nel loro insieme e con il loro stretto legame, la grande promessa di bene che la democrazia del Novecento portava con sé: il capitale avrebbe promosso lavoro, il lavoro avrebbe permesso la cittadinanza e la cittadinanza avrebbe determinato uguaglianza democratica. Non solo, ma le attese della democrazia della tardomodernità si sono configurate, sino al secondo dopoguerra, nella sequenza per cui l’economia di mercato avrebbe dovuto essere funzionale alla realizzazione della democrazia, producendo contemporaneamente ricchezza e democratica uguaglianza. Le forze del lavoro organizzato sarebbero dovute essere i pilastri della società e, mentre i sindacati i partiti e lo Stato democratico avrebbero dovuto regolare ogni tipo di conflitto tra le parti, lo Stato sociale avrebbe distribuito ricchezza e investito nei servizi per rendere effettiva l’uguaglianza. Si sarebbero avverate in questo modo libertà e distanza dal potere, garanzia di vita e possibilità di realizzazione personale e raggiungimento del bene comune. Forcina mostra , da un lato come gli orientamenti politici del capitalismo postindustriale non abbiano dato ragione a questa sequenza, anzi sembrano averla rovesciata nel raggiungimento del male-essere comune e nella crisi globale. Nel mondo in crisi i tratti decisivi del quadro politico postmoderno si sono configurati sempre più nelle logiche dell’eccezione, dell’anomalia e della recessione che va, appunto, “governata” con le varie messe in scena di governi sempre più apparentemente paritari, in realtà sempre più forti ed esigenti nei confronti dei cittadini, resi programmaticamente ubbidienti al duro comando del potere politico-economico, che a sua volta è diventato sempre più fiduciosamente certo della dissoluzione mediatica della realtà. Dall’altro lato analizza la profonda e innovativa radicalità delle analisi politiche delle filosofe del Novecento.
M. Forcina affirme que la recherche de Christiane Veauvy, dont la trame est solide et cohérente, embrasse sans crainte de se disperser des situations historiques, des champs d'action et des contextes géographiques différents. Cette complexité lui permet, en traversant des thèmes fort divers, de recueillir les fruits d'une méthode efficace, absolument originale, au lieu d'en rester à l'affleurement de quelques ressemblances et à l'émergence d'un contraste – ce qui se produit habituellement dans les études comparatives obéissant le plus souvent à une représentation scientifique linéaire qui risque en permanence de devenir sens commun. L'unité du vaste travail intellectuel de Veauvy repose en réalité sur l'avènement d'un dispositif méthodologique singulier; il fait appel à la modalité et à la pratique de l'échange pour arriver à une analyse du social beaucoup plus riche dans ses résultats que les analyses fondées exclusivement sur des données quantitatives ou la répétition et l'approfondissement d'un même horizon de recherche. On peut dire tout d'abord, dit M.me Forcina, qu'une valence positive émerge de la lecture de ses travaux dans sa multiplicté; en effet, nous nous trouvons en permanence face à une rigueur philologique, à une maîtrise du texte et de la bibliographie, à une capacité de recherche historique conduite systématiquement à partir de sources primaires, à une capacité critique enfin que Veauvy oriente dans une forte tension génératrice. M.me Forcina conclut que, in Veauvy c'est un travail symbolique consistant à tisser la découverte d'une culture qui n'entend pas imposer la liberté par la force, pas même la force du nombre dans les pourcentages ou celle des argumentations victorieuses. Une culture qui veut que la liberté soit fondée sur la reconnaissance de soi-même et de son propre parcours, sur la confiance dans la relation à l'autre (au féminin et au masculin), la compréhension de sa propre spécificité qui rend même capable de s'approprier d'autres traditions, en leur conférant une signification nouvelle.
Il saggio di 98 pagine che introduce il volume presenta la figura poco conosciuta di Daniel Stern (pseudonimo di M.me Marie d’Agoult), testimone privilegiata che condivise con i maggiori intellettuali del suo tempo, insieme all’amicizia e alla partecipazione alle idee democratiche, anche scelte private di libertà. Dopo la separazione del marito, ebbe da Franz Liszt tre figli, tra cui Cosima, più nota per essere stata moglie di Wagner e per aver ideato per lui il famoso teatro di Bayreuth. Il testo presentato per la prima volta in traduzione italiana, è un documento storico di grande valore, scritto nel clamore di una rivoluzione che dapprima sembrò non violenta e simbolicamente efficace, ma che si trasformò ben presto in altro, narra la storia di un paese tormentato dalla crisi economica, con un debito pubblico insostenibile, stretto tra svalutazione e cadute delle borse, ma dove, contro ogni attesa, la pazienza del popolo aveva sopportato ogni nuova prova e ogni sacrificio imposto. Nonostante un impoverimento che vedeva su 35 milioni di uomini 8 milioni di mendicanti e 4 milioni di operai dal salario incerto,quel popolo nutriva ancora un grande amore per la politica, ma il governo e le classi superiori non volevano chiamarlo alla vita nazionale, mentre i politici di professione si arricchivano in nome degli operai, portavano capitali all’estero o mangiavano sottocosto ostriche e pernici nei ristoranti convenzionati con il Governo. Nell’opera sono analizzati i progetti che promettevano un rinnovamento radicale della società attraverso il diritto al lavoro che, come sottolinea l’autrice, richiesto dal popolo e sollecitato da teorie filosofiche e interventi politici da parte degli intellettuali del tempo: da Saint-Simon a Fourier, da Proudhon, a Cabet, a Leroux ecc., era stato però sostituto dal diritto all’assistenza, che non era nient’altro che la formula ringiovanita dell’elemosina e una sorta di costituzione legale del pauperismo. Il libro ripercorre le principali tappe della rivoluzione, mettendo al centro i protagonisti: Luigi Bonaparte, Buchez, Thiers, Lamartine, Girardin ecc. ma anche gli uomini e le donne del popolo di Parigi e di altre nazioni tra cui l’Italia, dove emerge la figura di Mazzini, amico e corrispondente dell’autrice. Si va, dai giorni lenti e rigidi della formazione dell’opposizione al governo, pieni di discussioni politiche e di “banchetti” (singolare esperienza che caratterizzò la partecipazione politica in quel periodo, e che il testo consente di conoscere e seguire nei dettagli) a quelli impegnati e veloci delle barricate ancora senza violenza, sino allo spargimento di sangue incontrollato. L’autrice si inserisce nella discussione pubblica sull’economia e della politica, cita i giornali e la stampa dell’epoca, ma soprattutto è al suo sguardo e alla conoscenza personale dei protagonisti che si affida, per raccontare come avviene che il controllo su chi governa da parte dell’opinione pubblica possa diventare decisivo, e poi come tutto ciò possa essere annientato.
Il saggio di Forcina Diamo corpo al futuro è un invito a vedere che cosa c’è di nuovo senza lasciarsi abbagliare dai nuovismi, dalle false immagini e dalle idee stereotipate che riconducono inevitabilmente a percorsi già visti e già sperimentati o al grottesco di un eccesso indecente che è altro dall’oltre del dicibile. Diamo corpo al futuro, suggerisce invece un impegno in prima persona: anima e corpo, e suggerisce anche che il futuro ha bisogno di un corpus, fatto di tradizione, di genealogie ricostruite, di un metodo che sa farsi giustizia disdegnando tutto ciò che confonde il giudizio sulle cose e sa ritornare all’essenziale: un futuro non come orizzonte imprecisato, ma nutrito come corpo generato. L’invito politico è quello di rendere il futuro meno astratto, cominciando con il riconoscere quanto c’è già di nuovo, e come le strategie di libertà e le vere e proprie riforme civili che le donne hanno saputo e sanno attivare di fronte a rapporti di forza. Nella crisi che le società di mercato stanno attraversando, la relazione tra le generazioni di donne ha costruito una continuità di desiderio di politica contro il potere del denaro e contro la violenza dei rapporti che corrompono, le privatizzazioni che escludono, le precarizzazioni che rendono instabili, contro i ricatti dei facili guadagni.
Intorno alle tre filosofe, tematiche diverse si intrecciano sul comune terreno fenomenologico, con coerenza e talvolta anche con distanza rispetto alle analisi di Husserl. Nella “riduzione all’essenza”, i temi classici della filosofia: ontologia, vita, natura, esistenza, alterità, comunità non divergono, ma diventano uniti attraverso l’utilizzo del comune denominatore, che è la fenomenologia e che diventa protocollo unitario di un rapporto ancora più importante: quello delle donne con la filosofia.
Contro le prospettive della ragione univoca e universale Forcina valorizza la dimensione politica delle emozioni e ne mette in luce il valore relazionale. Le emozioni, come la differenza aprono alla politica e alla possibilità di costruirvi istituzioni.
Negli ultimi anni non solo la critica femminista alla scienza ha aperto prospettive innovative e coraggiose, e anche la ricerca scientifica ha potuto avvalersi di queste nuove prospettive. Partendo da questo esordio, Forcina avverte che qualcosa è cambiato radicalmente nelle scienze, sia in quelle fisico naturali che in quelle storico–filosofiche. E questo non solo perché sempre più donne hanno costruito una tradizione che non riguarda la cosa da capire e l’oggetto da studiare, ma una tradizione che riguarda il sentimento di coinvolgimento che si lega alla parola verità. La relazione donne scienze non si misura in base all’accesso delle donne nelle scienze, ma in base a una pratica che, come per la pratica della cittadinanza, misura il rapporto tra il soggetto e l’ordine politico democratico e, quindi rappresenta, più che una definizione giuridica di derivazione illuministica, un modo per vagliare le attitudini politiche e scientifiche, le relazioni e le mediazioni che i soggetti sono stati in grado di strutturare, e, come essi sono stati capaci di rendere possibili ed efficaci aspettative, desideri e proprie visioni del mondo. In questo senso, conclude Forcina, cittadinanza è lo strumento che è in grado di misurare lo sguardo consapevole sulla comunità politicamente e metodologicamente ordinata, perché l’assunzione di parola o di idea critica è lavoro che produce e costruisce civiltà.
Nel saggio è analizzato il rapporto che la filosofa francese ha intrattenuto con la storia della filosofia e con la dimensione politica di quella storia, di cui constatava una evidente immobilità nonostante le correnti interne e le categorizzazioni differenti. Per questo accusava la filosofia di aver conservato un carattere liturgico e ripetitivo che l’aveva, di fatto, allontanata dalla realtà, così come accusava la politica di aver rimosso la differenza sessuale dal suo orizzonte a favore di una uguaglianza simile a quella vagheggiata dai filosofi, che, guardiani del tempio della verità, hanno conservato un qualche rapporto con la casta dei chierici, il loro linguaggio difficile, i loro rituali, i loro privilegi, i loro attributi.
M. Forcina esamina l’opera collettanea dedicata da Angela Ales Bello a Edith Stein e ne coglie una interessante prospettiva politica in cui l’essere umano nasce prima come essere comunitario e poi si riconosce come soggetto spirituale e libero in un contesto di solidarietà o scambievolezza che costituisce la comunità non come somma di vissuti singoli, ma come apertura di valori. La relazione all’altro si struttura, allora, non solo attraverso l’empatia, ma attraverso la reciprocità che è comprensione e amore per l’aAltro. Le strade per accedere a tale comprensione sono, per E. Stein, la ragione, la fede, la mistica. Ma, ancora una volta, si tratta per la filosofa di negare gli ambiti separati e i compartimenti-stagno, anzi, l’autrice, attraverso la conoscenza profonda della filosofia medievale e, in particolare di Agostino, giungerà a dire che solo una conoscenza amata è autentica e l’amore è la chiave per comprendere il significato dell’esistenza di tutta la realtà. La sfida e il merito di Edith Stein, conclude M. Forcina, sono nell’aver ripreso il principio scotista dell’individuazione, ma nell’aver elaborato una teoria originale della persona, nel cui nucleo umano e carnale è possibile cogliere il momento individuale dal quale risalire verso una “nuova ontologia dell’origine” che si esprime come differenziazione interiore in opposizione a ogni visione materialistica o scientistica della persona umana. In tale prospettiva tutto è concreto, reale, necessario, perché fa leva sull’analisi dei vissuti e non sulle determinazioni categoriali.
Il saggio di Forcina che introduce il volume spiega con un taglio politico che utilizza la differenza sessuale come criterio ermeneutico, perché i cambiamenti di un’epoca si misurano più dalle relazioni che dalle istituzioni. L’analisi spazia dalla concretezza e materialità della corporeità al’apparente immaterialità della relazione mostrando come il riconoscimento della differenza sessuale possa aprire a una riflessione su un sé che si apre al mondo e impara a relazionarsi comunicando e costruendo il proprio pensiero senza assimilazione o cancellazione di alcuna esperienza.
Nel saggio, ripercorrendo il pensiero di Collin, si analizza il senso della filosofia come annuncio della verità, ma anche come enunciato che si apre al dialogo e all'ascolto. Le parole vengono indicate come ciò che rimanda alla universalità, ma anche come ciò che permette la trasmissione di un ordine simbolico materno che subisce lo stigma di essere e rappresentare una mancanza e un difetto, ma che invece è ciò che consente di esprimere e sviluppare una resistenza ai sistemi dominanti e soprattutto un modo comune alle donne per tenere a distanza il dolore. Si delinea in questo modo il carattere profondamente politico del dialogo.
Il pensiero della differenza sessuale, ha posto il tema dell’ordine simbolico come prioritario, perché la verità in assenza di ordine o di un orizzonte simbolico che l’accolga e che l’abbracci non può essere detta, resta muta. Persino i fatti come la vita e la morte diventano irrilevanti e in assenza di un ordine simbolico che li accolga non c’è diritto da pensare o legge che tuteli. Per questo nella società governata dal pensiero universale-neutro accade che pur di essere nell’ordine simbolico, chi è sventurato preferisce assumere su di sé lo stigma, piuttosto che non esistere e non essere detto. Le donne hanno avuto la parola non quando il diritto l’ha concessa, ma quando hanno elaborato un proprio ordine simbolico e un proprio modo di porsi in relazione diretta con altro, persino con la trascendenza.
Atti della scuola estiva della differenza del 2009. Il saggio introduttivo di Forcina mostra come recuperare, contro il proliferare delle tecniche e delle competenze che regolano le nostre esistenze, un desiderio di bene. Un desiderio di capire e di orientare un cambiamento con la saggezza di percorsi e di parole di verità. Con un richiamo alla filosofia del linguaggio, ma anche alla politica, l’immagine di accoglienza, di verità e sicurezza: rappresentata da “una culla di parole”, è ri-appropriazione e ri-nascita non in un linguaggio estraneo, giuridico o politico già dati, ma in una lingua coincidente con il sentimento di sentirsi a casa propria. E’ la tranquilla sicurezza di un saper fare i conti liberamente con la necessità. Nel saggio si mostra come la lingua sia una sorta di patria e il prendere la parola sia testimonianza e lavoro di cittadinanza, perché usare il linguaggio implica un partire da sé e dalla conoscenza di sé, che hanno il coraggio dell’etica e della politica.
Il saggio, sostanzialmente, riprende quello pubblicato dall’autrice nella rivista spagnola “Lectora” con il medesimo titolo. Offre al pubblico italiano la riflessione sul tema dell’autorità e della libertà all’interno del legame magistrale.
Il saggio mostra un altro modo possibile di intendere il rapporto con i maestri. La tesi è che il rapporto di autorità non è, non deve mai essere vincolato all’uniformità costruita sulla memoria e sul modello unico da conservare in maniera indifferenziata. Senza cancellarlo e anzi proprio nel suo riconoscimento il rapporto deve essere tale da aprire alla libertà dell’altro e costruire la sua autonomia. Il vero maestro è in grado da far dimenticare i propri sforzi e le fatiche che hanno aperto alla libertà dell’altro che non deve mai essere posto nella condizione inferiorizzante di eterno allievo-ripetitore. Attraverso la lettura di Péguy, la riflessione comune all’interno della Scuola Estiva della Differenza,la prossimità con Françoise Collin la relazione tra le filosofe e i maestri non trova il suo inveramento in una incondizionata libertà né in una necessità vincolante e sotto-condizione, ma trova la sua vitalità in un punto di realtà che è il lavoro ben fatto.
Nel saggio, attraverso l’uso di alcune parole ricorrenti in maniera più costante, è analizzato lo spirito rivoluzionario di papa Francesco, la sua opposizione radicale a ogni forma di ideologia, la sua concezione innovatrice della tenerezza e della misericordia, le tematiche legate alla corporeità e la denuncia ferma del potere, la funzione della lingua e l’attenzione ai giovani, il legame tra libertà e responsabilità e, soprattutto, la sua fede nella democrazia e il suo rifiuto del pensiero unico.
Da un fatto di cronaca accaduto a Colonia e non solo, dove la violenza sessuale sulle donne, che festeggiavano in piazza il capodanno 2016, ha preso le forme di un omogeneo comportamento, l’autrice reinterpreta la storia del patriarcato alla luce dei versi di Euripide, che già nelle Baccanti aveva legittimato contemporaneamente l’esclusione delle donne dalla festa, dalla città, ossia dalla vita pubblica e politica.
S. de Beauvoir, con il suo femminismo, rimette in questione le categorie politiche e il modo in cui queste sono state pensate nella tradizione filosofica. Questa è la tesi di partenza di Marisa Forcina nell’esaminare questo testo sulla francese. Ribaltando i concetti di norma e di governo, intesi generalmente come insieme di leggi, che regolano lo spazio pubblico, ne svela l’origine privata, generata da un soggetto e dalla sua “relazione diretta col mondo” che diventa e si impone come norma. In questo modo la de Beauvoir supera il binarismo oppositivo di natura e cultura, soggetto e oggetto, immanente e trascendente, su cui la politica e la filosofia occidentale si sono strutturate, e svela l’oggettività della condizione umana, dove sono le relazioni umane e la relazione al mondo a determinare posizioni di dominio. Per questo si giudica l’atto senza giudicare l’uomo. Per questo motivo un uomo si può riabilitare, compiendo atti nuovi, riacquistare la stima dei propri simili che gli lasciano ancora una chance: ma di fronte al male assoluto, quando nessun riscatto appare possibile, è impossibile essere caritatevoli. Quando deliberatamente un uomo degrada l’altro uomo a cosa, scoppia sulla terra uno scandalo che niente può ricompensare. Questo è il solo peccato contro l’uomo e l’uomo deve punirlo: è il male nella sua forma radicale. La tesi di Forcina è in questa considerazione: perché la vita abbia un senso, bisogna che ciascuno sia ritenuto responsabile del male quanto del bene, e il male è ciò che in nome del bene bisogna rifiutare senza compromessi di sorta.
Con papa Francesco la parola misericordia acquista un significato nuovo, concreto e soprattutto politico rispetto al più tradizionale rimando escatologico. La misericordia permette di tenere insieme le contraddizioni tra verità e amore, e permette di accogliere l’altro nella sua irriducibile differenza. Tale immagine di Dio misericordioso risulta più vicina alle “viscere” di una madre e valorizza la differenza in Dio stesso
Il saggio di Forcina che introduce il tema analizzato nel volume, mostra con una serie di esempi come generazioni di donne abbiano agito la propria libertà, che si è resa sempre più tangibile e viva nello spazio pubblico e privato, nel lavoro e nelle professioni. Ciò ha reso paradossale e stridente il confronto con un sistema di potere che sembra operare una serie di controriforme per dare stabilità solo a se stesso. Il saggio indica come accade che quel potere venga travolto proprio dalla libertà femminile che avrebbe voluto usare per sé in maniera grottesca. E al contrario è indicato come l’eccellenza femminile abbia saputo e sappia costruire percorsi impensati di felicità anche ribaltando il consueto rapporto tra denaro, lavoro, benessere economico e politiche di inclusioneesclusione. Perché, nella crisi che le società di mercato stanno attraversando, la relazione tra le generazioni di donne ha costruito una continuità di desiderio di politica contro il potere-godimento e contro la violenza dei rapporti che corrompono, le privatizzazioni che escludono, le precarizzazioni che rendono instabili, contro i ricatti del pensiero unico. Infatti, nella crisi economica, esasperata dalla grande illusione del mercato, che ha monetizzato ogni tipo di relazione umana, le donne mostrano di sapere come ritrovare spazi di benessere e un modo migliore di essere comunità che consente anche più agio attraverso la riappropriazione del tempo per sé.
Oggi trionfa una cultura dove tutto ha un prezzo e non un valore, dove l’economia di mercato ha monetizzato doni e affetti e cura, e tradotto qualità e valori in quantità e ricchezza ostentabile, e questa non ha più alcun legame con la soggettività e l’identità sociale data da riflessione, pensiero e cultura dei soggetti. Questo è l’esordio dal saggio di Marisa Forcina. Senza mitizzare il passato, afferma che, dietro il “dono” della nascita, o dietro l’espressione “s’era comprato un bambino” era invece una soggettività rappresentata anche dal riflessivo sise, che rendeva le donne portatrici di un’identità sociale e questa, nel bene e nel male, legava a sé il fatto della nascita, rappresentandolo come l’esperienza privilegiata del femminile. Nella storia politica si è parlato di autodeterminazione dei popoli, e anche delle donne, afferma Forcina citando Adriana Cavarero, e si è utilizzato il corpo politico sempre come una metafora organologica, con testa, cuore, membra. Ma, nella metafora politica, tutti questi elementi sono esangui, statici e senza vita, ossia senza possibilità di cambiamento e senza nascita. Semplicemente sono costruiti secondo un’idea e una volta per tutte. Ecco perché occorre innovare lessici e comportamenti: perché una cultura della nascita è una cultura essenzialmente politica, dove, come nella politica, i corpi non possono essere separati. I corpi delle donne e di chi nasce sono insieme soggetti viventi e titolari di diritti e devono essere soggetti di decisione e di responsabilità sia nel privato che nello spazio pubblico, sia nel mondo comune che in quello politico e giuridico.
Attraverso la lettura dei diari inediti e delle lettere di Cesira Pozzolini, Forcina ricostruisce i modelli familiari e politico-sociali che attraversano l’Italia nella seconda metà dell’Ottocento. In particolare, viene illuminato il privato di una famiglia di intellettuali borghesi che si muove tra un nord e un sud di un’Italia ancora fortemente differenziata, ma dove le nuove pratiche di libertà passano attraverso l’istruzione e i processi di democrazia e modernizzazione vengono attivati anche dalle donne che credono nell’istruzione scolastica e nella comunicazione del proprio sentire, e di queste istanze fanno il perno reale e continuativo della propria vita.
Attraverso la lettura dei diari inediti e delle lettere di Cesira Pozzolini, Forcina ricostruisce i modelli familiari e politico-sociali che attraversano l’Italia nella seconda metà dell’Ottocento. In particolare, viene illuminato il privato di una famiglia borghese che si muove tra un nord e un sud di un’Italia ancora fortemente differenziata, ma dove le nuove pratiche di libertà passano attraverso l’istruzione e i processi di democrazia e modernizzazione vengono attivati anche dalle donne che credono nell’istruzione scolastica e nella comunicazione e di queste istanze fanno il perno reale e continuativo della propria vita.
La posfazione di Forcina chiude l’insieme di contributi dedicati al pensiero e all’impegno politico di Françoise Collin, mostrando la prossimità intellettuale che ha legato per più di vent’anni la filosofa francese alla comunità universitaria del Salento, attraverso letture comuni di autori inconsueti nel panorama accademico, ma che costituivano un modo di pensare fuori dagli schemi del potere e dalle regole della competizione economica.. I temi trattati da Collin e il suo impegno politico trovavano eco e risonanza inoltre nel medesimo progetto di far diventare la creazione e la parola femminile un vero luogo di generazione simbolica.
Nella prefazione al volume di poesie di Nicoletta Nuzzo, Forcina mette in evidenza il rapporto intessuto dall’autrice tra passato e futuro, tra storia, memoria e aspettative imbevute di corporeità e di vita in una dimensione politica dove non contano i programmi e le pianificazioni, ma i tesori ereditati dal passato, che, una volta compresi, digeriti, assimilati e ricreati da noi, diventano, come sosteneva S. Weil, fra tutte le esigenze dell’anima umana, quella più vitale.
In tutto il volume e in particolar modo nel saggio introduttivo di Forcina è affrontata la relazione tra situazione economica e benessere, relazione che scaturisce dalla domanda sul senso della felicità e dal rapporto tra denaro, lavoro, benessere economico e politiche di cittadinanza. La “differenza” di sguardo e di esperienza apre a una lettura politica radicale e mostrao che quello che accade a ciascunao di noi, non riguarda solo noi. Questo consente di agire con consapevolezza, fiducia e responsabilità politica anche nella ricerca della felicità. Ne deriva una interessante lettura, che pone la felicità in un benessere che non è casuale e neppure determinato, ma fondato su scelte orientate da desideri. Si tratta di una posizione ben diversa da quella che invoca “il diritto alla felicità”, perché questo genera radicalismo individualistico e spinge a conseguire il massimo della soddisfazione e godimento senza desiderio, che non è felicità. Viene a profilarsi un interessante modo di essere comunità che consente un più vero benessere, anche attraverso la riappropriazione del tempo per sé, e ne deriva una concezione della felicità che non va mai intesa come felicità interiore, così come la libertà femminile non è stata mai intesa come libertà interiore. Emerge il dato che la crisi che le società di mercato stanno attraversando non è solo crisi economica, ma è crisi relazionale, esasperata dalla grande illusione del mercato che ha monetizzato ogni tipo di relazione umana.
In tutto il volume e in particolar modo nel saggio introduttivo di Forcina è affrontata la relazione tra situazione economica e benessere, relazione che scaturisce dalla domanda sul senso della felicità e dal rapporto tra denaro, lavoro, benessere economico e politiche di cittadinanza. La “differenza” di sguardo e di esperienza apre a una lettura politica radicale e mostra che quello che accade a ciascunao di noi, non riguarda solo noi. Questo consente di agire con consapevolezza, fiducia e responsabilità politica anche nella ricerca della felicità. Ne deriva una interessante visione, che pone la felicità in un benessere che non è casuale e neppure determinato, ma fondato su scelte orientate da desideri. Si tratta di una posizione ben diversa da quella che invoca “il diritto alla felicità”, perché questo genera radicalismo individualistico e spinge a conseguire il massimo della soddisfazione e godimento senza desiderio, che non è felicità. Viene a profilarsi un interessante modo di essere comunità che consente un più vero benessere, anche attraverso la riappropriazione del tempo per sé, e ne deriva una concezione della felicità che non va mai intesa come felicità interiore, così come la libertà femminile non è stata mai intesa come libertà interiore. Emerge il dato che la crisi che le società di mercato stanno attraversando non è solo crisi economica, ma è crisi relazionale, esasperata dalla grande illusione del mercato che ha monetizzato ogni tipo di relazione umana.
In tutto il volume e in particolar modo nel saggio introduttivo di Forcina è affrontata la relazione tra situazione economica e benessere, relazione che scaturisce dalla domanda sul senso della felicità e dal rapporto tra denaro, lavoro, benessere economico e politiche di cittadinanza. La “differenza” di sguardo e di esperienza apre a una lettura politica radicale e mostrao che quello che accade a ciascunao di noi, non riguarda solo noi. Questo consente di agire con consapevolezza, fiducia e responsabilità politica anche nella ricerca della felicità. Ne deriva una interessante lettura, che pone la felicità in un benessere che non è casuale e neppure determinato, ma fondato su scelte orientate da desideri. Si tratta di una posizione ben diversa da quella che invoca “il diritto alla felicità”, perché questo genera radicalismo individualistico e spinge a conseguire il massimo della soddisfazione e godimento senza desiderio, che non è felicità. Viene a profilarsi un interessante modo di essere comunità che consente un più vero benessere, anche attraverso la riappropriazione del tempo per sé, e ne deriva una concezione della felicità che non va mai intesa come felicità interiore, così come la libertà femminile non è stata mai intesa come libertà interiore. Emerge il dato che la crisi che le società di mercato stanno attraversando non è solo crisi economica, ma è crisi relazionale, esasperata dalla grande illusione del mercato che ha monetizzato ogni tipo di relazione umana.
Quando la differenza fa la politica non indica la politica fatta dalle “donne in quanto donne”, ma vuole cercare tracce e testimonianze di un altro modo di intendere e di praticare la politica, un modo più efficace, sovversivo e inedito; un modo che mostri le donne come presenza viva e parlante e non come oggetto del discorso politico, non come una questione sociale o come una categoria colpita da determinate ingiustizie e violenze o, peggio come un criterio numerico da adottare per i consigli di amministrazione. Quando la differenza fa la politica vuole mettere in scena la parola autorevole delle donne, la competenza simbolica del reale che esse hanno o hanno avuto, e più che una questione di presenze o di quote vuole lamentare l’assenza del sapere politico delle donne dalle analisi e dalle pratiche che la storia del pensiero filosofico-politico-economico ha raccontato; vuole cercare il perché a pochissime donne sia stata data e riconosciuta parola autorevole, vuole sottolineare il dato che l’assenza della loro parola e della loro prospettiva autorevole ha indebolito le osservazioni e le pratiche rilevanti del sapere, ha impoverito scelte istituzionali e distorto valutazioni economiche di interi paesi. Quando la differenza fa la politica vuole sottolineare che l’esperienza e il punto di vista delle donne, quello che esse vivono e pensano è condizione ormai irreversibile per leggere i rapporti sociali e politici.
Una lettura nuova della cittadinanza intesa non solo come insieme di tutele e garanzie giuridiche, ma come il processo del costituirsi consapevole dei soggetti, il cui sguardo cosciente e critico è in grado di dare consistenza alla comunità politicamente organizzata. Nella cittadinanza intesa come capacità di lasciare segni, non di richiedere continuamente diritti
La tesi di M.F. configura la cittadinanza non come fruizione dei diritti o privilegi del soggetto politico, quanto come il costituirsi consapevole di tale soggetto. E’ lo sguardo cosciente di tale soggetto a dare consistenza alla comunità politicamente organizzata. La cittadinanza definisce pertanto la capacità degli individui di essere presenti nella comunità con sguardo critico e propositivo e con pratiche che traducono il desiderio soggettivo e privato in un modo pubblico di apparire ed essere parte della comunità. Indica quindi la loro capacità di lasciare segni, non di utilizzare o consumare diritti.
Forcina evidenzia come sia nell’invidia che nella gratitudine la libertà appaia limitata in confronto a quella di cui l’altroa ci sembra fruire. Si tratta della visione distorta e immediata di una libertà che non ha cura dei limiti e si pensa come azione volontaristica. Il modo più semplice per riacquistare la libertà di cui ci sentiamo privati a causa del vincolo della percezione del proprio limite, nella modalità dell’invidia, o del bisogno di restituzione, nella modalità della gratitudine, è quello di riaffermare la propria libertà. Questo è possibile se si innesta una nuova situazione: la cura dell’altrao ci restituisce alla condizione di soggetto libero, oppure il conflitto con l’altrao può porci in una condizione di parità. In ambedue i casi la subalternità imposta dalla percezione di un limite alla nostra libertà è superata. Nella cura e nel conflitto ci si afferma come soggetti liberi.
Il saggio di Forcina, che funge anche da introduzione al volume omonimo, mostra come in una società in crisi e sempre pronta a rimescolare obiettivi e strategie e sempre pronta a trovare una o più parole che rispondano ad un’intenzione di “rifondazione” sia necessario fare il punto. Ripartendo da una grammatica che consente di chiarire ciò è essenziale, contro ogni ipostasi ideologica, l’autrice mostra come la differenza sessuale diventa un punto fermo nella costituzione del mondo e nella libera espressione di sé, nella capacità di dare conto e racconto del proprio essere donna e uomo nel riconoscimento del valore della relazione.
Il saggio di Forcina, che funge da introduzione al volume omonimo, mostra come in una società in crisi e sempre pronta a rimescolare obiettivi e strategie e a trovare una o più parole che rispondano ad un’intenzione di “rifondazione” sia necessario fare il punto. Ripartendo da una grammatica che consente di chiarire ciò è essenziale, contro ogni ipostasi ideologica, l’autrice mostra come la differenza sessuale diventa un punto fermo nella costituzione del mondo e nella libera espressione di sé, nella capacità di dare conto e racconto del proprio essere donna e uomo nel riconoscimento del valore della relazione.
Il progetto indaga una genealogia femminile che dall'azione intrapresa da alcune donne eccellenti agli inizi del 900 diventa risorsa per il presente. Si centra sulla Fondazione Le Costantine (Uggiano la Chiesa) che coniuga tessitura di alto pregio con metodi tradizionali, agricoltura biodinamica e accoglienza sociale, per indagarne le radici nella cultura e concezione delle fondatrici e metterne in luce il valore attuale. Obiettivi: 1. Ricerca storica volta a ricostruire le vite e le personalità di 5 donne della famiglia De Viti de Marco che crearono la Fondazione e la rete di relazioni femminili che consentirono di mettere la tessitura salentina al centro di un circuito internazionale 2. Ricerca-azione con operatrici e operatori della Fondazione al fine di indagare in profondità gli aspetti artistici, culturali, ambientali, sociali ed etici del loro lavoro 3. Impostazione di un progetto transnazionale tra Puglia e Sudafrica per ricostruire storicamente e riattivare operativamente lo scambio tra imprese sociali dedite alla tessitura. Rilevanza del progetto: 1. Empowerment delle donne coinvolte direttamente e indirettamente in termini di autoimprenditorialità, specializzazione e consapevolezza del valore sociale e culturale del lavoro 2. Promozione di una impresa eccellente fondata su saperi femminili tradizionali come buona pratica esportabile in altri contesti 3 Creazione di una rete internazionale di scambio e di progettazione.
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