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Valter Leonardo Puccetti
Ruolo
Professore Associato
Organizzazione
Università del Salento
Dipartimento
Dipartimento di Studi Umanistici
Area Scientifica
AREA 10 - Scienze dell'antichita,filologico-letterarie e storico-artistiche
Settore Scientifico Disciplinare
L-FIL-LET/10 - Letteratura Italiana
Settore ERC 1° livello
SH - Social sciences and humanities
Settore ERC 2° livello
SH5 Cultures and Cultural Production: Literature, philology, cultural studies, anthropology, study of the arts, philosophy
Settore ERC 3° livello
SH5_2 Theory and history of literature, comparative literature
Il saggio fornisce un’analisi ravvicinata, una close reading dell’ultima raccolta poetica pubblicata in vita da Vittorio Bodini, «Metamor», di cui si investigano le radici nel surrealismo europeo, aggiornato alla crisi esistenziale e culturale indotta dal boom economico degli anni Sessanta e dall’assalto vincente del capitalismo, e la rete di intertestualità, allargate ai precedenti ottocenteschi di Lautréamont e Mallarmé e a quello nostrano e novecentesco di Campana (nel mezzo i fermenti ispanici, con Lorca e con Buñuel, che professionalmente e professoralmente Bodini dominava con perizia straordinaria). L’indagine metrica dei versi bodiniani è molto insistita, i simbolismi oggettuali indagati per serie e per contesti.
L’articolo affronta nella sua prima parte il rapporto editoriale e culturale fra Giorgio Bassani e Enzo Siciliano, con particolare riguardo alla comune polemica contro la neoavanguardia. Nella seconda e più vasta parte, si analizza la lettura critica che Siciliano fece dell’opera narrativa dell’autore ferarrese in un ampio e importante saggio del 1966 (con un’appendice del 1968), in cui Siciliano, sulla scia di alcune osservazioni di Pier Paolo Pasolini, intendeva demistificare ideologicamente l’approccio storicistico di Bassani, mostrando i tratti conservativi borghesi della sua retrospezione memoriale. Il punto d’incontro, su un piano di poetica, fra Siciliano e Bassani risiede comunque nella concezione del personaggio di romanzo, enigma per lo stesso autore, al quale si impone con una forza e con un’evidenza la cui natura rimane ineffabile e irriducibile.
All’interno di un volume collettaneo, curato da Anna Dolfi e dedicato al commento di singoli testi (quasi specimini) dei più significativi poeti italiani del Novecento, l’Autore offre il suo esercizio di lettura di "Diana la cacciatrice soleva avvicinarsi", pièce tratta dalla "Serie ospedaliera" di Amelia Rosselli, mostrando come la poetessa riesca, come in gran parte della sua opera poetica, a metabolizzare psichismi, che le furono esistenzialmente devastanti, in rabdomanzie dell’assoluto del linguaggio, in teoremi metalinguistici sottoposti alla grammatica dell’incertezza e al principio di indeterminazione di una poesia che cerca nella deriva verbale una password di salvezza.
Il contributo analizza le prove di autocommento di Amelia Rosselli, a lungo rimaste inedite, portate sopra la sua prima raccolta, "Variazioni belliche" e dapprima inviate a Pasolini affinché accompagnassero la pubblicazione delle poesie. Sulla scorta delle opere cliniche di studiosi del linguaggio schizoide (ad esempio quello stesso Binswanger che ebbe in cura Amelia Rosselli negli anni Cinquanta e che scrisse pagine memorabili sul manierismo del linguaggio psicotico, Stuchlik con la sua teoria delle "druse verbali", Pfersdorff coi suoi studi sull'ossessione interpretativa paraetimologica ancora nelle patologie psicotiche) ed effettuando una minuziosa ricostruzione dell'infanzia di Amelia e dei suoi traumi nel rapporto con la tragedia familiare (la Rosselli era figlia di Aldo martire dell'antifascismo), l'autore cerca di dimostrare le interferenze del linguaggio psicotico nella poesia della Rosselli, sottraendola a una superficiale, indistinta e impura voga celebrativa ma anche additando i punti di fuga verso esiti liberatori di grande valore lirico nella lotta hölderliniana che la poetessa condusse per tutta la vita, fino al suicidio, contro il demone della follia.
Il saggio affronta gli elementi di intertestualità correnti fra le varie parti del «Romanzo di Ferrara» di Giorgio Bassani e l'opera narrativa di Hawthorne, mettendo in luce, soprattutto, il tema del voyeurismo o della visione dall'alto, quello dello scomparso al modo di Wakefield e quello della casa «hantée». Anche il romanzo «Antonio Adverse» di Hervey Allen e i «Quaderni» di Simone Weil sono rivelati come ispiratori dialettici di alcuni luoghi dell'opera bassaniana.
Il saggio affronta il problema della presenza di temi artistico-paesaggistici nella narrativa di Giorgio Bassani: il grande narratore fu fondatore e poi presidente dell'associazione "Italia Nostra", instancabile difensore del patrimonio nazionale ambientale e architettonico. Attraverso un'analisi puntuale dell'opera bassaniana lo scrivente conclude a una netta separazione d'interessi e al rifiuto, da parte di Bassani, di qualsiasi cedimento estetistico o delibatorio verso la descrizione (ecfrasi) dei tesori d'arte o paesistici che lo stesso Bassani difese dalle aggressioni degli speculatori edilizi e della cattiva politica. Nel saggio si individuano per la prima volta con precisione anche alcune tappe urbanistico-monumentali (con riferimenti intertestuali a Kafka e a Proust) sapientemente mistificate, rispetto agli originali codigoresi, nel romanzo "L'Airone".
In questo saggio l’autore analizza la presenza dell’omosessualità, nonché dei suoi equivalenti simbolici della virilità lesa o diminuita, nella narrativa di Giorgio Bassani. In tale direzione, i testi bassaniani più significativi vengono considerati Gli occhiali d’oro (in cui il tragico protagonista è un omosessuale), Dietro la porta e L’airone, ma anche la figura di Alberto (e, in parte, dello stesso protagonista) nel Giardino dei Finzi-Contini e quella di Barilari in Una notte del ’43 sono oggetto di interpretazione tematica. L’autore del saggio cerca di mostrare che l’identità omosessuale non è da Bassani indagata in sé e legittimata ontologicamente, ma assume un puro valore di metafora dell’esclusione, anche violenta, quella che parallelamente colpì l’identità ebraica dopo l’emanazione delle leggi razziali in Italia. Secondo questa angolazione di lettura, il dubbio sulla “conformità” della propria sessualità, il timore di un’omologazione di essa agli stereotipi della propaganda di regime o (in Dietro la Porta) la proiezione liberatoria di questi ultimi su un personaggio antagonistico / alteregoico, sembrano abitare i protagonisti dei romanzi e interrogativi deviati o elusi, i tormenti della falsa coscienza.
L'autore traccia un profilo biografico-letterario di Antonio Delfini, notevole e sottovalutato scrittore italiano del Novecento. Nel saggio si descrive l'ibrida ideologia politica di Delfini (dopo un'iniziale adesione al Fascismo), conciliante un sorta di feudalesimo dinastico e un comunismo industriale, e si passa in rassegna l'opera poetica e in prosa, che audacemente e originalmente innestano gli esiti del Surrealismo europeo nella tradizione italiana. Particolare attenzione è versata al capolavoro delfiniano, «Il ricordo della Basca», ispirato da un eros visionario e romantico e da una tecnica entropica e digressiva, che rompe con la rappresentazione oggettiva e organica del reale propria della narrativa tradizionale.
Cunizza da Romano, sorella del famigerato Ezzelino, è una sorta di calamita intertestuale per la poesia provenzale, soprattutto per quella dei trovatori d’Italia o in Italia. La scandalosa fuga di Cunizza con quel Sordello che sarebbe diventato personaggio importante del capolavoro dantesco ebbe conseguenze ben più importanti in letteratura che in politica, attirando contro la strana coppia di amanti una costellazione di versi satirici incentrati su alcuni dei topoi più costitutivi del genere (l’omofobia, il gioco dei dadi e degli scacchi, la nozione di "mezura" tradita e quella di "semenza" di virtù), su uno sfondo di letteraria e perbenistica moralizzazione della cavalleria e del servizio cortese la quale ebbe, nel Veneto “Marca gioiosa”, il suo abile ideologo e formulatore in Uc de Saint Circ. L’autore di questo libro indaga con ricchezza e con minuzia di analisi il diverso affluire e le sottili conversioni di questa tradizione e insomma della “leggenda” poetica di Cunizza nel grande alveo della Commedia dantesca, dove la nobildonna da Romano occupa (davvero a sorpresa e in contraddizione con la condanna di Ezzelino fra i violenti dell’"Inferno"? Anche di questo è materia nel libro) un posto eminente e profetico fra le anime beate.
Il contributo consiste in un’analisi minuziosa e puntuale del Pater Noster intonato dai penitenti superbi nell’incipit (vv. 1-24) dell’undecimo canto del Purgatorio dantesco, con vasti riferimenti alla patristica e con una rilevante novità metodologica: infatti, il commento verso a verso del brano evidenzia graficamente in grassetto le innovazioni interpretative dell’autore del saggio, mentre in caratteri tondi viene presa in rassegna l’esegesi del canto fin dai primi commentatori del poema dantesco e, con tecnica di collage, viene «montata insieme» l’interpretazione poziore, di risulta da tutte le interpretazioni precedenti.
E’ uno studio comparativo del racconto di Bassani «Una notte del '43» e del film di Vancini «La lunga notte del '43», focalizzante il ruolo presumibilmente avuto da Pasolini in alcune scelte di sceneggiatura che configurano una dialettica antagonistica col racconto bassaniano. Una lettura ideologica è adibita al personaggio, assente nel racconto ispiratore, dell'amante di Anna e al finale del film, nella ricerca di una controfigura autoriale che Pasolini e Vancini avrebbero trasposto da diversi luoghi del «Romanzo di Ferrara». Reperite altresì fonti ecfrastiche e intertestualità col «Mercante di Venezia» scespiriano, con le poesche «Avventure di Gordon Pym», col viscontiano «Senso» e con la cinematografia hitchcockiana.
Nel saggio l’autore mostra come, nei suoi racconti (contenuti nelle raccolte «Le cinque storie ferraresi» e «L’odore del fieno»), Giorgio Bassani persegua una tecnica dell’aprosdóketon (per usare termine della retorica antica), e cioè della sorpresa o del rovesciamento nel finale, secondo i più maturi risultati del racconto breve nella modernità. Le analisi puntuali dei testi sono accompagnate da riferimenti alla teoria del racconto nelle pagine di grandi narratologi (da Lukács a Ejchenbaum) e di grandi scrittori (da James a Musil a Cortázar).
Il saggio indaga la posizione che assume l'autore anonimo del «Novellino» nella catena medievale di trasmissione della parabola delle «tre anella», fra i precedenti medio-latini e il «Decameron», nelle relazioni entro la macrostruttura della raccolta di novelle che comprende quella, appunto, sul «giudeo» e il «Soldano», e focalizzando l'analisi sul valore escatologico, per la cultura ebraica, del messaggio di tolleranza e sulla specificità negativa che, nel «Novellino», riveste la figura del Saladino rispetto all'immagine cavalleresca delle fonti, letterarie e no, di area romanza.
E' la lettura di una canzone di Dante generalmente attribuita alla giovinezza del poeta e che l'autore del saggio crede invece di dimostrare risalente agli anni dell'esilio, attraverso prove interne, storiche e stilistiche, filologicamente riscontrate. La close reading adibisce anche una scomposizione metrico-formale e richiami intertestuali che da Petrarca, via Tasso, giungono fino a Montale.
Il saggio analizza il primo momento del Moravia "surrealista", quello rappresentato dai «Sogni del pigro», puntualmente individuando le fonti di ispirazione nella satira swiftiana e huxleiana, nel "conte philosophique", nelle "Vies imaginaires" di Schwob e, soprattutto, nella grafica di Max Ernst (soprattutto da "Una settimana di bontà"). I racconti della raccolta moraviana sono analizzati partitamente ma portando alla luce serialità e isotopie nelle sequenze, delineando un quadro di continuità tematica con la precedente e susseguente narrativa realistica dell'autore e districando i riferimenti allegorici e «in chiave» dei racconti surrealisti moraviani al regime fascista.
Il contributo verte sulla presenza intertestuale del «Decameron» nelle due serie dei «Racconti romani» moraviani (un accenno anche a «Vita balorda», film di Bolognini, sceneggiato da Pasolini e tratto dal racconto di Moravia «Il naso», ispirato direttamente dalla novella boccacciana di Andreuccio) e indaga l'influenza dei temi delle novelle del Boccaccio su Moravia anche per il tramite del saggio che Moravia, negli stessi anni di composizione dei «Racconti romani», scrisse sul «Decameron» (saggio poi versato nel volume «L'uomo come fine»). Puntuale la rassegna delle recensioni d'epoca ai «Racconti romani», a documentare e ad avvalorare il percorso intertestuale.
In questo breve e denso saggio l’autore rileva, nel pensiero di Northrop Frye (e in particolare partendo da alcune pagine del gran libro «La scrittura secolare», che il critico canadese dedicò al romance), un’opposizione fra Genesi sacerdotale e Genesi javetica: Fry attribuiva alla prima un creazionismo gerarchico, ‘tecnologico’, esemplato sull’iniziativa umana e questa legittimante per analogia, mentre la seconda configurerebbe un creazionismo in medias res, un’anteriorità mitica, femminile o piuttosto androgina, conciliata ma sempre fervida dell’«identità […] che non siamo riusciti a realizzare», per dirla con Frye stesso. La Genesi sacerdotale, allora, instaurerebbe parametri di narrazione realistici, orizzontali, causali: un Dio ordinatore e razionalizzatore sarebbe all’opera, un Dio che col suo esempio formerebbe l’uomo apprendista al mestiere di una creazione che è discrimine, separazione di elementi e coordinazione di essi. Se la Genesi del Giardino ha a che fare con l’Anima junghiana e il suo scriba è Dio stesso, ed è fonte mitica di ogni romance letterario, la Genesi dei sette giorni della creazione sarebbe piuttosto una proiezione superegoica freudiana e il suo scriba un funzionario del Tempio, una figura dell’istituzione, un garante della collettività.
Ampio saggio che affronta la concezione dell'identità nazionale in Tommaseo, con riguardo al trattato «Dell'Italia», agli scritti sulla questione illirica, al ricchissimo epistolario e all'opera narrativa (soprattutto a «Fede e Bellezza»). Secondo l'autore dell'articolo, il modello utopico e federalistico tommaseano si fonda su una concezione idealizzante dell'italianità e sul mito romantico del popolo creatore. Il modello negativo è per Tommaseo la Francia, tanto più in quanto invasivo nell'Europa dell'epoca: secondo il dalmata la società e la cultura francesi peccano in astratta, indiscreta e anticristiana rivendicazione di diritti e di princìpi non accompagnati dal richiamo ai doveri e alla solidarietà.
Il lungo saggio rielabora una lectura Dantis del canto ventunesimo del «Paradiso», tenuta il 31 ottobre 2013 in Orsanmichele per i cicli organizzati dalla Società Dantesca. E' un'interpretazione del canto in oggetto che si nutre di molte scoperte di intertestualità con opere del suo protagonista Pier Damiani e che rivela nel canto medesimo, e in quelli ad esso adiacenti, una trama di rispondenze interne di immagini, trasfiguranti nodi teologici fondativi nella concezione del paradiso dantesco.
Il saggio affronta l'approccio critico di Aldo Vallone, grande italianista e specificamente dantista, scomparso nel 2002 e professore emerito dell'Università degli Studi di Napoli, alle «Rime» dantesche. L'autore ha individuato una ricostruzione dell'iter lirico dantesco, da parte di Vallone, come di un processo organico, «per gradazioni», a dirla con parole dello stesso critico salentino, e ciò in contrapposizione alla teoria del pur da Vallone ammirato Contini, di uno sperimentalismo cioè frammentario e per folgorazioni nelle «Rime», su materiali di prova per la grande macchina della «Commedia». Vallone sembra scostarsi dalle tecniche e dalla visione estetica della critica stilistica spitzeriana e muoversi piuttosto in analogia col New Criticism (di cui non vi sono però testimonianze di frequentazione di studio da parte di Vallone stesso), per via di close readings, che misurano le tensioni del testo poetico con un richiamo precondizionante all'unità del testo, al modo in cui questo si forma o fallisce in base alle premesse che esso si dà, alla relazione di interdipendenza delle parti e alla resistenza del testo medesimo a un «paraphrasable core» (per dirla con Brooks).
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