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Massimo Monteduro
Ruolo
Professore Associato
Organizzazione
Università del Salento
Dipartimento
Dipartimento di Scienze Giuridiche
Area Scientifica
Area 12 - Scienze giuridiche
Settore Scientifico Disciplinare
IUS/10 - Diritto Amministrativo
Settore ERC 1° livello
SH - Social sciences and humanities
Settore ERC 2° livello
SH2 Institutions, Values, Environment and Space: Political science, law, sustainability science, geography, regional studies and planning
Settore ERC 3° livello
SH2_4 Legal studies, constitutions, comparative law
This book represents the first attempt to investigate the relations between Law and Agroecology
Il capitolo propone una concettualizzazione delle relazioni tra il diritto dell’ambiente e il diritto dell’alimentazione che superi il paradigma della dissociazione tra i due settori disciplinari, in favore di una progressiva e crescente integrazione tra essi. Il nucleo di questa tesi è rappresentato dall’idea secondo cui il diritto dell’ambiente non dovrebbe essere considerato un limite esterno al diritto dell’alimentazione, ma piuttosto una disciplina giuridica presupposta al diritto alimentare, che quindi si salda con esso su un piano inter-disciplinare, e ancor più ampiamente, con le scienze ambientali e alimentari su un piano trans-disciplinare. In questa prospettiva, lo studio giuridico dell’alimentazione esige un’alleanza tra saperi oltre steccati monosettoriali non in grado, isolatamente, di cogliere la pluridimensionalità del trinomio ecosistemi-alimenti-sociosistemi.
Il saggio muove dall’idea che il diritto ambientale sia innanzitutto un diritto volto alla protezione dell’integrità funzionale dei sistemi socio-ecologici; se si assume questa prospettiva, è plausibile ritenere che le definizioni giuridiche nel diritto dell’ambiente siano, a pieno titolo, una tecnica di pre-decisione in ordine all’an, al quid e al quantum della protezione, secondo il paradigma inclusio unius est exclusio alterius. Le definizioni giusambientali fornite dal legislatore e dalla giurisprudenza incorporano cioè scelte discrezionali (sia pur con i diversi connotati e gradi di intensità che distinguono discrezionalità del legislatore e discrezionalità del giudice) in ordine al modello di tutela dei sistemi socio-ecologici: la crucialità di simili scelte esige che esse siano portate allo scoperto e messe in luce nella loro veste non neutrale rispetto all’intensione e all’estensione del corpus di guarentigie giuridiche che, in un dato momento, un ordinamento è disposto effettivamente ad assicurare rispetto ad alcuni sistemi socio-ecologici. Ogni definizione giuridica è dunque espressione di precisi giudizi di valore. Il saggio mostra come anche i lemmi “bosco” e “foresta” siano oggetto di un’irrisolta vicenda legislativa e giurisprudenziale che ruota intorno alla loro definizione e ri-definizione. Nelle conclusioni, il saggio sottolinea che la relatività delle definizioni giuridiche di bosco e foresta rende fisiologico il pluralismo di queste ultime. Per evitare, tuttavia, che la proliferazione di polimorfe definizioni funzionalmente orientate degeneri in caos, in babele delle lingue, appare necessario un percorso dei formanti dell’ordinamento che tenti, anziché di pervenire ad una forzosa reductio ad unum sulla base di un modello “accentrato” che sarebbe in contrasto con il connotato ineludibile della multifunzionalità, di favorire l’individuazione di un criterio qualitativo quale nucleo in grado di fondare, al contempo, la differenziazione e la coerenza delle varie definizioni. Un percorso di questo tipo potrà schiudersi solo se le scienze giusambientali saranno in grado di avviare un autentico e fecondo dialogo transdisciplinare con le scienze ambientali, costruendo il fondamento minimo ed essenziale di ogni definizione giuridica di bosco e foresta intorno al concetto di sistema socio-ecologico . Si tratta di un dialogo difficile da costruire e da impostare correttamente, a causa della distanza che storicamente si è acuita tra queste due aree della conoscenza, entrambe iperspecializzate e ipertecnicizzate, evolutesi l’una ignorando sostanzialmente l’altra, con problemi di comprensione che nascono già al livello del linguaggio, della terminologia, delle definizioni selettive e delle categorie ordinanti utilizzate, e si manifestano poi nel diverso modo di intendere la cogenza delle “leggi” della natura e del diritto e di strutturarne concettualmente le relazioni. La definizione legislativa di cui all’art. 2 del D.Lgs. 227/2001 (così come la maggior parte delle leggi regionali attualmente vigenti) appare distonica con questa prospettiva: il legislatore statale ed i legislatori regionali, infatti, hanno scelto un approccio riduzionistico, volto a definire il bosco (e la foresta) in termini di estensione (metri quadrati), larghezza (metri lineari), copertura (percentuale quantitativa di area coperta da alberi rispetto all’area complessiva), attraverso una geometrizzazione in cui boschi e foreste appaiono come oggetti inanimati, collocati in uno spazio cartesiano tridimensionale, come una somma di alberi, formazioni vegetali e suolo. A tale impostazione ha tuttavia reagito una parte della giurisprudenza, la quale ha compreso esattamente che, per definire ed identificare un bosco e una foresta, occorre riconoscerli come un tutto (un sistema di relazioni) che è più della somma delle sue parti, come ecosistemi che vivono (li
Il contributo analizza in chiave critica la categoria giuridica dei "contratti misti" nel diritto europeo e nazionale dei contratti pubblici, muovendo dal diritto comunitario e dai due criteri da esso codificati in materia: il valore economico (sul piano quantitativo) e la principalità/accessorietà (sul piano qualitativo). La ratio sottesa alla disciplina comunitaria dei contratti misti è individuata in due pilastri assiologici: la certezza del regime giuridico e la tutela della concorrenza. Il contributo dimostra che, alla luce del recepimento del modello comunitario nell'ordinamento italiano, la categoria pubblicistica dei contratti misti è irriducibile al modello civilistico. Il contributo, dopo aver perimetrato l’ambito di applicazione dell’art. 14 del D.Lgs. 163/2006 rispetto agli appalti e alle concessioni, si sofferma sui criteri del valore economico e della principalità/accessorietà nell’art. 14. La principalità/accessorietà è ricostruita distinguendo tra l'intenzione soggettiva della stazione appaltante e la strutturazione oggettiva del complesso delle prescrizioni della lex specialis. Si analizza infine la regola di chiusura di cui al comma 4 dell'art. 14, ossia il limite di tolleranza dell’eterogeneità nel contratto misto pubblicistico, caratterizzato dalla dialettica accorpamento vs. scissione.
Il contributo analizza il problema dei requisiti di qualificazione che gli operatori economici devono possedere per la partecipazione alle procedure di affidamento di "contratti misti", nel quadro del diritto europeo e nazionale dei contratti pubblici. Vengono ricostruite la genesi e l'evoluzione della disposizione di cui all'art. 15 del D.lgs. 163/2006, a partire dai suoi precedenti nella L. 109/1994, e si sottolinea come essa non trovi nel diritto comunitario una previsione corrispondente, pur potendosi considerare senz'altro compatibile con i principi comunitari. Viene esaminata, in particolare, la regola della necessaria compresenza dei requisiti di qualificazione e di capacità. Si sottolinea che l'art. 15 garantisce un parziale contemperamento del modello dell'attrazione ad opera dell'oggetto predominante, che ispira invece il precedente art. 14. Un esame critico della casistica giurisprudenziale conclude l'analisi.
Il contributo ha ad oggetto l'inquadramento sistematico della categoria giuridica dei "contratti esclusi" nell’architettura del Codice dei contratti pubblici e alla luce dell’ordinamento comunitario. In primo luogo, viene operata una perimetrazione dell’ambito di applicazione dell’art. 27 del D.Lgs. 163/2006, attraverso l'esame della nozione di «contratti esclusi» anche alla luce della novella di cui all’art. 4, c. 2, lett. a) della l. 12.07.2011 n. 106. Il contributo esamina il catalogo dei principi e il rinvio agli artt. 2 e 118 contenuto nell'art. 27 del D.Lgs. 163/2006. La concreta declinazione in regole puntuali dei principi generali viene analizzata anche attraverso la casistica giurisprudenziale. Si affrontano i problemi del cd. autovincolo e il profilo procedimentale relativo all’invito ad almeno cinque concorrenti: sul punto, viene evidenziata la duplicità di interpretazioni prospettabili (invito subordinato a preventive forme di pubblicità vs. invito diretto). Il contributo esamina la fattispecie particolare rappresentata dall’affidamento dei contratti di finanziamento stipulati dai concessionari di lavori pubblici. Infine, si analizzano i profili processuali, con riguardo all’applicazione del rito accelerato di cui agli artt. 119, c. 1, lett. a) e 120 del Codice del processo amministrativo.
SOMMARIO: I. SEDIMENTAZIONE STORICA E STRATIFICAZIONE DISCIPLINARE DELLA FIGURA DEL CONTRATTO MISTO NEL DIRITTO DEI CONTRATTI PUBBLICI. – 1. Premessa. – 2. Evoluzione storica della disciplina anteriormente alle direttive UE nn. 23, 24 e 25 del 2014. – 3. (Segue) Ratio iuris dell’istituto nella prospettiva comunitaria: l’irriducibilità al paradigma domestico dei contratti misti di diritto privato. – 4. I contratti misti di appalto negli artt. 3 della Direttiva 2014/24/UE, 5 e 6 della Direttiva 2014/25/UE, recepiti nell’art. 28 del d.lgs. 50/2016: schema descrittivo di sintesi delle disposizioni normative. – II. PROFILI RICOSTRUTTIVI DELLA DISCIPLINA IN CHIAVE SISTEMATICA. – 1. Una possibile quadripartizione ricavabile per astrazione sul piano ricostruttivo: (A) contratti misti di appalto tra fattispecie con regimi a basso tasso di eterogeneità (prevalenza concreta sul piano aritmetico/economico/quantitativo come criterio unico, di natura sostanziale); (B) contratti misti di appalto tra fattispecie con regimi a medio tasso di eterogeneità (prevalenza concreta sul piano funzionale/teleologico/qualitativo come criterio unico, di natura sostanziale); (C) contratti misti di appalto tra fattispecie con regimi ad alto tasso di eterogeneità (prevalenza concreta sul piano funzionale/teleologico/qualitativo e prevalenza astratta per presunzione ex lege come criteri alternativi, rispettivamente di natura sostanziale e formale); (D) contratti misti di appalto tra fattispecie con regimi ‘regola/deroga’ per la garanzia di interessi sovraordinati legati a difesa o sicurezza (prevalenza astratta per presunzione ex lege come criterio principale, di natura formale). – 2. Il limite generale del divieto di configurazione artificiosa (per frazionamento o accorpamento) di contratti con scopo fraudolento in prospettiva comunitariamente orientata. – 3. Il problema del calcolo del valore stimato dell’appalto misto in relazione alle diverse soglie comunitarie. – 4. Valutazioni di separabilità/inseparabilità oggettiva e scelte di separazione/accorpamento delle parti costitutive del contratto misto: il perimetro della discrezionalità delle stazioni appaltanti e i riflessi sull’obbligo di motivazione. La non assoluta neutralità della normativa europea e nazionale circa la scelta tra separazione e accorpamento. – 5. Il concetto di “oggetto principale del contratto” tra intenzione soggettiva della stazione appaltante e natura oggettiva dei bisogni pubblici, alla luce della strutturazione del complesso delle prescrizioni della lex specialis. – 6. La c.d. combinazione dei requisiti di qualificazione e di capacità degli operatori economici ai fini degli appalti misti: principio o eccezione? – 7. Profili processuali.
Il commento analizza criticamente l’istituto degli “elenchi ufficiali di fornitori o prestatori di servizi” cui è dedicato l’art. 45 del Codice dei contratti pubblici, alla luce delle innovazioni apportate dall'art. 52 della Direttiva 2004/18/CE. Vengono esaminati, in particolare, profili problematici quali: - la recezione “selettiva” della disposizione comunitaria nell’art. 45 del Codice dei contratti pubblici; - il perimetro di applicazione dell’art. 45 e la sua autonomia rispetto alle fattispecie normate negli artt. 39, 40, 125 e 232 del d.lgs. 163/2006; - la funzione degli elenchi ufficiali come strumento di semplificazione probatoria per le stazioni appaltanti e per le imprese concorrenti; - i limiti dell’efficacia probatoria sul piano del contenuto e, in particolare, la circoscrizione ai soli requisiti “minimi” di partecipazione; - i limiti dell’efficacia probatoria sul piano del grado di vincolatività, con riferimento al carattere iuris tantum della presunzione di idoneità (dal lato della stazione appaltante) e alla non obbligatorietà dell’iscrizione agli elenchi (dal lato delle imprese concorrenti); - l'iscrizione agli elenchi ufficiali da parte di operatori economici di altri Stati membri; - l' avvalimento “infragruppo”; - il procedimento di istituzione degli elenchi ufficiali; - il procedimento di iscrizione negli elenchi ufficiali; - la “non immotivata contestazione” dei dati risultanti dagli elenchi ufficiali, quanto alle modalità procedurali ed ai contenuti sostanziali; - la qualificazione del silenzio della stazione appaltante a fronte della domanda di iscrizione ad un elenco ufficiale.
Il commento ha ad oggetto l’istituto dei chiarimenti e della regolarizzazione documentale e dichiarativa cui è dedicato l’art. 46 del Codice dei contratti pubblici, oggetto di un intenso dibattito dottrinale e giurisprudenziale. Vengono esaminati, in particolare, profili problematici quali: - la frammentazione del quadro normativo previgente e le disposizioni “unificanti” introdotte dall’art. 51 della Direttiva 2004/18/CE e dall’art. 46 del D.lgs. 163/2006; - il dibattito giurisprudenziale circa la configurazione dell’istituto, con riferimento alle contrapposizioni "facoltà/obbligo" e "regola/eccezione"; - i limiti relativi all’oggetto della regolarizzazione, alla luce del richiamo agli artt. da 38 a 45; - i limiti relativi al contemperamento dell'istituto con il principio di par condicio; - la fattispecie delle dichiarazioni o dei documenti fisicamente mancanti; - l'individuazione degli "elementi essenziali"; - la fattispecie della sostituzione o modificazione postuma; - l'applicabilità dell'istituto a fronte del tenore chiaro ed inequivoco di prescrizioni della lex specialis di gara espressamente sanzionate con l’esclusione; - il rapporto tra l’istituto di cui all’art. 46 del D.lgs. 163/2006 e la disposizione generale di cui all’art. 6, comma 1, lett. b), della L. 241/1990.
Il commento analizza le disposizioni di cui all'art. 47 del Codice dei contratti pubblici, aventi ad oggetto la tutela degli operatori economici stabiliti in altri Stati membri della UE, sulla base dei principî di non discriminazione e di mutuo riconoscimento, nonchè la tutela degli operatori economici stabiliti in Stati extracomunitari, sulla base del principio di reciprocità, con particolare riferimento ai Paesi non comunitari aderenti agli accordi GATT (prima) e OMC (poi). Vengono esaminati, nel dettaglio, profili quali: - il contenuto e l’ambito soggettivo di applicazione del regime di tutela, con riferimento agli operatori economici di altri Stati dell'Unione Europea, agli accordi in sede OMC, alle norme internazionali ed agli accordi bilaterali; - il limite della reciprocità; - l’ambito oggettivo di operatività della tutela, con particolare riguardo all'applicazione diretta agli appalti di lavori e all'applicazione analogica agli appalti di servizi e di forniture; - la questione della partecipazione di operatori economici stabiliti in Paesi extracomunitari, alla luce di una serie di casi affrontati dalla giurisprudenza.
Il commento esamina criticamente la disciplina dei controlli sul possesso dei requisiti di partecipazione, operati dalla stazione appaltante prima dell'apertura delle offerte e dopo l'aggiudicazione, ai sensi dell'art. 48 del Codice dei contratti pubblici. Vengono analizzati, in particolare, profili problematici quali: - l'evoluzione dell'assetto normativo, dall’art. 10, comma 1-quater, della L. 109/1994 all’art. 48 del D.lgs. 163/2006, fino agli interventi dell’AVCP e al “terzo correttivo” di cui al D.lgs. 152/2008; - la natura e gli scopi dell’istituto; - il rapporto con le discipline generali di cui alla L. 241/1990 e al D.P.R. 445/2000; - l’ambito oggettivo di applicazione; - il problema della natura e del regime dei termini procedimentali di cui ai commi 1 e 2 dell’art. 48; - il controllo sul possesso dei requisiti prima dell’apertura delle offerte (comma 1); - il controllo sul possesso dei requisiti dopo l’aggiudicazione (comma 2); - le misure repressive in caso di esito negativo del controllo.
ABSTRACT IN ITALIANO. Interpretando alla luce del paradigma dei «social-ecological systems» la definizione giuridica di «ambiente» fornita dall‘art. 5, comma 1, lett. c), del d.lgs. n. 152/2006, emerge un concetto di ambiente in senso giuridico come sistema di relazioni tra fattori ecologici e sociali (compresi, tra questi ultimi, quelli culturali ed economici). Lo scopo del diritto dell‘ambiente, in questa prospettiva, appare quello di presidiare la durabilità delle condizioni indispensabili per la sopravvivenza dei sistemi socio-ecologici: prima tra esse, la diversità bioculturale, presupposto fondamentale per la tutela della vita a tutte le scale (degli individui, delle società, degli ecosistemi). La disciplina dell‘alimentazione si intreccia con la tutela della vita e la diversità degli alimenti è un‘importante espressione della diversità bioculturale. Per queste ragioni il problema della salvaguardia della diversità alimentare non può considerarsi estraneo al diritto dell‘ambiente. Sul piano dell‘analisi giuridica, la diversità alimentare è suscettibile di essere ricostruita come un valore di sintesi: diversità delle fonti biologiche del cibo; diversità dei territori di origine e delle relative comunità, eredi e custodi del cibo; diversità delle arti e delle tradizioni alimentari, culinarie, gastronomiche; diversità della dieta ai fini della tutela della salute; diversità degli stili e delle scelte alimentari. La diversità alimentare è dunque un valore-sistema, in cui convergono e si compongono numerosi valori giuridici di primario rango costituzionale (ambiente/biodiversità; autonomia e differenziazione territoriale; paesaggio; patrimonio culturale, artigianato; salute; libertà personale, scelte educative della famiglia). Si osserva un frequente antagonismo tra gli interessi economici legati alla concorrenza e gli interessi ecologici/sociali/culturali di cui la diversità alimentare è sintesi; ciò chiama in causa il diritto dell‘ambiente. Il meta-criterio di risoluzione dei conflitti, nel diritto dell‘ambiente, è rappresentato dal «principio dello sviluppo sostenibile», declinato nella formulazione dell‘art. 3-quater del d.lgs. 152/2006: in caso di conflitto tra interessi non risolvibile attraverso le ordinarie strategie di bilanciamento, il principio dello sviluppo sostenibile ex art. 3-quater impone di far recedere le esigenze economiche a fronte delle esigenze ambientali e culturali, le quali devono considerarsi prioritarie. ABSTRACT IN INGLESE. The legal definition of the «environment» given in Article 5 paragraph 1 of Legislative Decree no. 152/2006, interpreted in the light of the paradigm of «social-ecological systems», reveals a concept of the environment in the legal sense as a system of relationships between ecological and social factors (including among the latter the cultural and economic ones). In this perspective, the purpose of Environmental Law seems to be to ensure the lastingness of the essential conditions for the survival of social-ecological systems, especially with regard to biocultural diversity as a prerequisite for sustaining life at all scales (of individuals, societies, ecosystems). Food is intertwined with life and food diversity is an important expression of biocultural diversity. For these reasons, the problem of preserving food diversity cannot be regarded as being outside the Environmental Law. From the legal point of view, food diversity can be theoretically reconstructed as a synthesis of multiple diversities: biodiversity of ecological sources of food supply; socio-territorial diversity (regarding differences among the territories as origin of different food specialties and the territorial communities as heirs and guardians of food identities); cultural diversity of food traditions and culinary and gastronomic arts and crafts; dietary diversity in order to protect human health; diversity
While the Spanish Constitution (article 103) expressly establishes the principle of "objectivity" of administrative action, in the same article in which the principle of "impartiality" is stated below, the Italian Constitution (Article 97) establishes the principle of administrative "impartiality", without, in any case, using the phrase "objectivity". Likewise, the general law of Italian administrative procedure (L. 241/1990), in setting the general principles of administrative activity, follows the same scheme. However, by examining the Italian legal system, it can be observed that, on numerous occasions, both the current legislation and the case law expressly refer to the principle (or canon or criterion) of "objectivity" of the Administration's actions. In light of these symptoms, it seems appropriate to ask about the existence and consistency of the paradigm of administrative "objectivity" in Italian law. In the present work the relations between impartiality and objectivity are explored. From the analysis of jurisprudence and normative sources, there seems to be a tendency to circumscribe "objectivity" to a specific meaning. The principle of objectivity, in this meaning, is identified with a duty of self-limitation, preventive and analytical, by public administrations, through a self-binding assessment criteria and procedural schemes established and published by the same Administrations, with the In order to take subsequent decisions not completely bound by law. The principle of objectivity, in itself, can occupy an autonomous space within a wider circle represented by the principle of impartiality. The technique of reducing the administrative bias of the principle of objectivity, in particular, seems to consist in the de-subjectivization of the discretionary valuations of public administrations.
Agriculture, one of the oldest activities subject to legal regulation, is undergoing a revolutionary redefinition of its own identity. From a monofunctional idea (in which agriculture was exclusively focussed on producing goods for private use and on the economic remuneration of the producers) we have now passed to a multifunctional idea (in which agriculture is perceived as a source of providing the community with a series of public ecosystemic services, whose global value is inestimable). This change has been accompanied by the birth of a new interdisciplinary science: agroecology, established in the 1980's. Agroecology has progressively integrated the viewpoint of disciplines like agronomy, ecology, sociology, economy, philosophy, until it has become fully transdisciplinary. However, law has remained outside the lines of research of the young science agroecology. It is important to attempt to include the viewpoint of law within agroecology. In order to do so, legal practitioners should go beyond the current limits of the academic sectors and exceed the distinction between agricultural law and environmental law. A new analysis is necessary. A law of sustainable agricultural ecosystems has to be drawn up. More radically, the whole environmental law field has to be re-thought and reconstructed as a general law and special law of ecosystems, meaning suppliers of diversified public services. The general part of law of ecosystems should determine the common legal principles, which are valid for protecting all ecosystems. The special part of law of ecosystems should be divided into homogeneous areas, which correspond to the different types of ecosystems according to the classifications of ecology.
Rus, the rural phenomenon understood in its entirety, marks the plurality and the interdependence of different complex systems that are based jointly on the land as a central point of reference. “Rural” expresses a quid pluris as compared to “agricultural”: if agriculture is understood traditionally as an activity aimed at exploiting the land for the production of material goods for use, consumption, and private exchange, rurality marks the reintegration of agriculture into a wider sphere, not only productive but also social and cultural; not only material but also ideal, relational, historic, and symbolic; not only private but also public. The natural and social sciences (scientia ruris), in approaching rus, at first became specialized, multiplied, and compartmentalized in a plurality of “first-order” disciplines; later, above all in recent decades, they have set up a process of integration into agroecology as a “second-order” polyocular, transdisciplinary, and common platform. The law (scientia iuris) seems instead to be frozen at the first stage. Following a reductionistic and hyperspecialized approach, the law has deconstructed and shattered the complex universe of rus into disjointed legal elementary particles, multiplying the planes of analysis and regulation (agricultural law, business law, environmental law, landscape law, town planning law, etc.), without caring to construct linkage platforms among the various legal fields. In this chapter, after examining some important experiences underway internationally, it is asserted that scientia iuris should experiment with the development of an agroecological law, like that which agroecology is today for scientia ruris. Agroecological law should counteract the antinomic interlegalities (among the various legal fields that deal with rural phenomena) through tools of negative coordination and favor instead compatible interlegalities through tools of positive coordination. In the conclusions are proposed by way of example four types of coordination tools: agroecological information collecting and sharing (AICS), agroecological zoning (AZ), agroecological planning (AP), and agroecological impact assessment (AIA).
Non risultano precedenti studi monografici dedicati ai consorzi fra cooperative finalizzati alla partecipazione alle procedure di affidamento di contratti pubblici. Questo dato, a prima vista, sorprende, ove si consideri che i consorzi fra cooperative sono intrecciati al complesso universo giuridico degli appalti pubblici da un legame più che secolare, in forza di una legislazione (in parte ancora vigente) che risale agli albori del XX secolo; nel corso dei decenni, la loro importanza all’interno del panorama delle figure soggettive rilevanti per il diritto dei contratti pubblici non è in alcun modo diminuita, ed anzi è aumentata, così come sono cresciuti il loro impatto e la loro dimensione in termini economici e occupazionali; in più, proprio i consorzi fra cooperative sono stati, e tuttora restano, oggetto di un’elaborazione giurisprudenziale densa e problematica, alla quale si è aggiunto il significativo contributo dell’Autorità di Vigilanza (oggi ANAC). Le ragioni della scarsa attenzione riservata dalla dottrina al tema derivano, in realtà, dalla notevole complessità di quest’ultimo: il diritto cooperativo, già di per sé problematico, nel momento in cui viene a contatto con il diritto dei contratti pubblici dà luogo a un mix affascinante ma di non semplice decifrabilità tra le sfere del diritto privato/commerciale e del diritto pubblico/amministrativo. Il volume, oltre ad una ricognizione dell’evoluzione storica del modello dal 1909 ad oggi, propone un filo di Arianna in grado di guidare non solo gli “iniziati” della materia, ma anche gli operatori che quotidianamente praticano il mercato delle commesse pubbliche, focalizzando l’attenzione su alcuni “nodi” che: - assurgono a connotati-chiave di identificazione e differenziazione del peculiare modello dei consorzi fra cooperative rispetto a tutte le altre figure aggregative di operatori economici; - sintetizzano i problemi più discussi nel dibattito giurisprudenziale e oggetto di numerosi interventi normativi; - contengono in sé le sfide che, in prospettiva, il modello dei consorzi fra cooperative si trova a fronteggiare anche per il futuro. Tali nodi sono, in particolare, i seguenti. A) Il particolare e identitario legame di «immedesimazione organica» che lega i consorziati al consorzio, fulcro di una «poligonalità complessa dei rapporti giuridici tra stazioni appaltanti, consorzi di cooperative, consorziate e terzi»; sul punto, emergono impostazioni differenti tra la giurisprudenza amministrativa, con riferimento alle relazioni con le stazioni appaltanti, e la giurisprudenza della Cassazione, con riferimento ai rapporti con i terzi; in ogni caso, proprio da tale nesso organico, trascendente schemi ordinari quali il mandato e il subappalto, discendono importanti e non scontati corollari in termini di regime giuridico e di responsabilità. B) Il carattere solo «imperfetto» del «parallelismo» con la contigua – ma distinta – figura dei consorzi stabili. C) La possibilità di partecipazione contemporanea alla stessa procedura di gara del consorzio e dei consorziati non designati dal consorzio medesimo come esecutori. D) La possibilità per il consorzio di sostituire i consorziati designati (nel volume si analizzano le fattispecie, i momenti temporali e i limiti relativi a tale sostituibilità). E) Il non agevole coordinamento tra la disciplina dei consorzi fra cooperative e la disciplina antimafia; nel volume viene condotta, in particolare, una serrata analisi critica alla novella del Codice Antimafia originariamente introdotta dall’art. 27 della l. 161/2017, che aveva generalizzato l’obbligo di riferire la documentazione antimafia indistintamente a tutti i consorziati, anche se titolari di quote di partecipazione infinitesimali nel consorzio di cooperative, evidenziandone i profili di dubbia compatibilità sul piano comunitario e costituzionale e di problematica armonizzazione con
La disciplina giuridica dei procedimenti sanzionatori delle Autorità indipendenti esibisce una marcata differenziazione, ai limiti dell’incoerenza del quadro complessivo. Ciascuna Autorità sembra enfatizzare la particolare complessità delle proprie funzioni come giustificazione per un esercizio del potere di autonormazione, in forma regolamentare, in maniera tale da disegnare modelli procedimentali eterogenei e multipli, su misura delle proprie peculiarità: ne emerge una tendenza centrifuga che dà vita, agli occhi dell’interprete, a un paesaggio estremamente frastagliato. Muovendo dalla marcata eterogeneità tra i procedimenti sanzionatori delle Autorità indipendenti in base ai rispettivi regolamenti, il contributo affronta innanzitutto il problema dei rapporti tra le fonti (l. n. 241/1990, l. n. 689/1981, leggi di disciplina delle Autorità e relativi regolamenti sanzionatori) ai fini dell’individuazione di principi comuni applicabili ai procedimenti sanzionatori delle Autorità indipendenti. Criticando il paradigma dominante (che postula una “cedevolezza” della legge generale sul procedimento amministrativo rispetto alle discipline speciali proprie di ogni Autorità), il contributo riafferma la centralità ordinamentale della l. n. 241/1990. Quanto ai rapporti tra la l. n. 241/1990 e la l. n. 689/1981, il criterio della specialità viene messo a confronto con la plurifunzionalità del potere sanzionatorio delle Autorità indipendenti. La tesi sviluppata è quella secondo cui il potere sanzionatorio delle Autorità partecipa non solo della classica funzione punitiva e dissuasiva, consustanziale all’intero sistema della l. n. 689/1981, ma anche, ed in misura forse prevalente, della funzione di regolazione propria delle Autorità, fino a qualificarsi come attività di regolazione ex post e singulatim, vale a dire come verifica dell’efficacia, ricalibratura nel caso concreto e assestamento rispetto ai singoli operatori dell’attività di regolazione svolta ex ante e generaliter. L’attività di regolazione amministrativa indipendente viene ricostruita come circolo di azione, reazione e retroazione, distinguendo tra regolazione ex ante e generaliter (in sede di indirizzo) e regolazione ex post e singulatim (in sede sanzionatoria). Il contributo si focalizza infine sulle conseguenze di questo mutamento di paradigma, evidenziando l’impatto dei principi della l. n. 241/1990 sul procedimento sanzionatorio delle Autorità rispetto alla fase di iniziativa e pre-istruttoria e al termine massimo di conclusione del procedimento. Infine, viene formulata una proposta ricostruttiva alla luce dell’art. 6 della CEDU e dell’art. 41 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea: la presunzione iuris tantum di illegittimità dei provvedimenti sanzionatori adottati in violazione del termine massimo di 180 giorni ex art. 2, c. 4, l. n. 241/1990.
1. Premessa: i connotati della tutela cautelare nel sistema di diritto processuale amministrativo. – 2. Le misure cautelari dalla tipicità all’atipicità: breve profilo storico. – 3. I presupposti della tutela cautelare e la cauzione. – 4. Gli atti sospendibili (cenni e rinvio). – 5. I procedimenti. – 5.1. – Il procedimento collegiale. – 5.2. – Il procedimento monocratico. – 5.3. – Il procedimento ante causam. – 6. La decisione. – 7. Tutela cautelare e questioni incidentali. – 8. La revisione cautelare: appello, riesame e revocazione. – 9. L’attuazione delle misure cautelari. – 10. La tutela cautelare in relazione all’impugnazione delle sentenze.
L’analisi si appunta sulla delibera Agcom n. 136/06/CONS, recante il nuovo «Regolamento in materia di procedure sanzionatorie». Quanto al metodo dell’analisi, il contributo privilegia una specifica chiave di lettura: il confronto costante, per ciascuna fase del procedimento sanzionatorio, tra il Regolamento di cui alla delibera n. 136/06/CONS e la superiore disciplina rinvenibile nella l. 241/1990, nella parte in cui quest’ultima fissa (cfr. art. 29) i «livelli essenziali delle prestazioni [LEP] di cui all’articolo 117, secondo comma, lettera m), della Costituzione» rispetto ai quali tutte le amministrazioni della Repubblica, comprese le autorità indipendenti, «non possono stabilire garanzie inferiori». Da tale impostazione scaturiscono conseguenze rilevanti, giacché il Regolamento Agcom sui procedimenti sanzionatori si rivela, in più parti, non in linea con i LEP fissati dalla l. 241/1990. Da tale distonia discende l’illegittimità delle disposizioni regolamentari “fuori asse” rispetto agli stessi LEP, con conseguente necessità di disapplicazione di queste ultime in forza del rapporto gerarchico tra legge e regolamento. Ciò emerge, ad esempio, per la pre-istruttoria, che il Regolamento Agcom ha scelto di disciplinare come fase extra-procedimentale, sottraendola alle garanzie stabilite dalla l. 241/1990, con particolare riguardo agli obblighi di garantire la partecipazione dell’interessato al procedimento, di concludere il procedimento entro il termine prefissato, di rispettare le disposizioni della l. 241 relative alla durata massima dei procedimenti e di assicurare l’accesso alla documentazione amministrativa; o rispetto alle previsioni del Regolamento Agcom che riguardano le modalità di presentazione e i casi di archiviazione delle diverse tipologie di denunce, sulla base di una criticabile discriminazione tra denunce a tutela privilegiata, a tutela ordinaria e a tutela affievolita. Dopo aver affrontato la complessa questione dell’identificazione, della natura e dell’efficacia giuridica degli atti conclusivi del procedimento pre-istruttorio, il contributo analizza la scansione del procedimento sanzionatorio: l’avvio con notificazione dell’atto di contestazione; l’istruttoria in contraddittorio; la decisione; la notificazione, comunicazione e pubblicazione del provvedimento. Un approfondimento specifico è dedicato al tema della proposta e della decisione sugli «impegni». Il contributo critica la scelta del Regolamento AGCOM di configurare l’intero ciclo di vita procedurale degli impegni (presentazione – discussione – valutazione – approvazione – verifica di adempimento – eventuale revoca) come un sub-procedimento da incastonare all’interno del procedimento sanzionatorio avviato con la notifica dell’atto di contestazione. Questa scelta, infatti, determina una durata complessiva abnorme del procedimento sanzionatorio, infrangendosi contro l’esigenza di rispettare i LEP di cui alla l. 241/1990: pertanto, il contributo sottolinea la necessità di riconsiderarla de iure condendo. Una strategia di ricostruzione alternativa potrebbe passare dal preliminare accoglimento della tesi dottrinale secondo cui gli «impegni » sarebbero riconducibili al genus degli accordi amministrativi di cui all’art. 11 della l. 241/1990. Sviluppando questo assunto, il contributo propone di scindere in due blocchi la sequenza procedurale degli impegni: (i) da un lato, la fase “ascendente” di presentazione, discussione, valutazione ed approvazione degli impegni; (ii) dall’altro, la fase “discendente” di verifica dell’esecuzione degli impegni e di assunzione dei conseguenti atti e provvedimenti (diffida, revoca e irrogazione di sanzioni per l’ipotesi di inadempimento). Il vantaggio di questa ricostruzione alternativa è che solo il blocco sub (i) rimarrebbe all’interno del procedimento sanzionatorio, mentre il blocco sub (ii) dovrebbe esserne espunto. In parti
SOMMARIO: 1. Premessa. La centralità della legge sul procedimento amministrativo. 2. La sequenza interesse pubblico - dovere - potere - procedimento - provvedimento. Il provvedimento come atto giuridico di adempimento di un dovere e, mediatamente, atto di esercizio di un potere strumentale all’adempimento del dovere. 3. Il problema della qualificazione: il perimetro della nozione di provvedimento amministrativo. 4. Concretezza del provvedimento ed effetto dichiarativo minimo. Provvedimenti positivi e negativi.
1. Stabilità relativa degli effetti del provvedimento amministrativo. Tipizzazione dei provvedimenti di secondo grado e limiti alla «autotutela». 2. Eccezionalità delle fattispecie di nullità rispetto al regime dell’invalidità. 3. L’annullabilità come figura ordinaria di invalidità: violazione di legge, incompetenza, eccesso di potere. Le ipotesi di dissociazione tra illegittimità e annullabilità.
SOMMARIO: 1. Premessa. Il regime normativo conseguente alla qualificazione di «provvedimento amministrativo». 2. L’autoritatività del provvedimento come eccezionalità del richiamo alla disciplina privatistica. 2.1. Questioni connesse: gli elementi essenziali e accidentali del provvedimento; i criteri di interpretazione del provvedimento. 3. L’obbligo di motivazione. 4. Efficacia, esecutività, esecutorietà. Il problema dell’ammissibilità di provvedimenti ad efficacia retroattiva.
Il contributo indaga un problema non affrontato in precedenza dalla dottrina amministrativistica: il rapporto tra i criteri di interpretazione giuridica (in particolare, delle prescrizioni degli strumenti urbanistici) e il fenomeno dell’abusivismo edilizio. Tra il momento della creazione della regola di diritto per preordinare le condotte edilizie ed i successivi momenti della vigilanza sull’osservanza e della sanzione per l’inosservanza della regola medesima, vi è un momento intermedio, ulteriore e distinto, caratterizzato da una marcata autonomia: quello della corretta interpretazione della regola posta (a monte) ma ancora da applicare (a valle). Questo momento è sempre necessario, per quanto l’operatore pratico del diritto spesso non riservi adeguata attenzione alla delicatezza dell’operazione interpretativa che è presupposta a qualsiasi attività di applicazione di comandi. E’ evidente, infatti, che vi sarà una distorta applicazione della regola se vi è una scorretta interpretazione della stessa da parte dei soggetti pubblici istituzionalmente deputati a farla rispettare. E l'impropria applicazione (da parte delle amministrazioni) rappresenta uno dei fattori “nascosti” che facilitano la violazione (da parte degli attori dell’abusivismo). Emergono due nodi: la crucialità dell’interpretazione rispetto all’applicazione e, perciò, ai fini dell’accertamento circa la sussistenza stessa di una violazione; la conseguente crucialità della scelta di quali criteri di interpretazione reggano lo svolgimento dell’interpretazione-attività, perché solo l’utilizzo di tali criteri consente di discernere tra interpretazioni-prodotto ammissibili e inammissibili. Il contributo tenta di individuare i criteri per una corretta interpretazione degli atti di pianificazione urbanistica. La tesi prospettata è articolata sulla base dei seguenti assunti: (1) può argomentarsi, sotto più profili, la preminenza, nei pur differenti atti di pianificazione urbanistica, della natura amministrativa; (2) da tale preminenza, per ragioni di certezza, discende la necessaria attrazione dei piani urbanistici nell’alveo del regime giuridico dell’atto amministrativo e la loro sottrazione al regime dell’atto normativo; (3) muovendo dal presupposto che i piani urbanistici abbiano natura (almeno prevalente) di atti amministrativi, i criteri fondamentali di interpretazione da applicare alla species dei piani devono essere quelli propri del genus degli atti amministrativi; (4) rispetto agli atti amministrativi, è da decenni consolidato in dottrina e in giurisprudenza il paradigma della mutuazione, secondo cui i criteri di interpretazione degli atti amministrativi, in assenza di una disciplina legale, dovrebbero essere i medesimi criteri tipizzati dagli artt. 1362-1371 cod. civ. per l'interpretazione dei contratti, salva la necessità di alcuni adattamenti; (5) tuttavia, il paradigma della mutuazione presta il fianco a decisive obiezioni e merita di essere superato, per una pluralità di argomenti che nel contributo vengono sviluppati; (6) nel segno di un trapasso dalla prospettiva della mutuazione a quella dell'autonomia, dovrebbero enuclearsi, dall’interno del sistema di diritto amministrativo e dunque in coerenza con i principî fondamentali che governano l’azione amministrativa per come desumibili soprattutto dalla L. 241/1990, criteri di interpretazione propri del provvedimento amministrativo in quanto foggiati sul peculiare statuto giuridico di quest’ultimo, in grado di intessersi in un sistema organico ed autosufficiente di canoni ermeneutici affrancati dall’ipoteca giusprivatistica. Il contributo propone, nelle conclusioni, di individuare quattro criteri “basici” di interpretazione, concorrenti e non alternativi, propri del provvedimento amministrativo. Con riferimento al testo del provvedimento, la centralità della motivazione espressa rispetto a tut
SOMMARIO: 1. Il magistero di Paolo Grossi e la sua lettura della vicenda storica degli assetti fondiari collettivi: un inestimabile ‘ponte’ in grado di mettere in comunicazione le scienze giuridiche e le scienze ambientali nell’era della crisi ecologica. – 2. La prospettiva dell’agroecologia come piattaforma scientifica globale e transdisciplinare e la sua asincronia con l’impostazione dominante negli studi giuridici sul rapporto uomo/terra. – 3. Inversione della polarità soggetto/cosa nelle rappresentazioni legale ed (agro)ecologica dei rapporti di appartenenza. – 4. (segue) Inversione della polarità singolo/gruppo e primazia della dimensione collettiva: il disallineamento delle scale temporali nei cicli vitali a livello individuale, sociale ed ecosistemico ed il concetto di «memoria socio-ecologica». – 5. Insistenza, coesistenza, sussistenza, persistenza.
Il confronto tra le germane esperienze giuridiche del "procedimento" e del "processo" è sempre euristicamente fecondo. Procedimento e processo, lungi dal rappresentare mondi irriducibili, sono intimamente legati dall'ascrizione al genus comune della procedura: comparare le soluzioni elaborate da ciascuna di tali esperienze, pertanto, può contribuire all'enucleazione della regola di "buona procedura" da applicare in risposta a specifici hard cases, ove la legislazione non fornisca indicazioni risolutive. Scorrendo le pronunce della giurisprudenza amministrativa è frequente rinvenire riferimenti all’eventualità in cui il cittadino proponga, nei confronti della p.a., domande che appaiano prima facie "manifestamente infondate". Si sostiene, da parte della giurisprudenza, con l’avallo della dottrina, che la manifesta infondatezza della domanda non farebbe nascere per la p.a., in radice, alcun obbligo di avviare un procedimento amministrativo né di concluderlo. Una tale soluzione, tuttavia, stride con quella adottata nell’esperienza del processo: in essa, in forza del divieto di omissione di pronuncia, l’obbligo di provvedere sussiste anche nei confronti di domande manifestamente infondate. Sembra emergere, in tal modo, una discrasia: mentre nel processo ogni ricorso merita una risposta da parte del giudice, sarebbero invece configurabili atti di impulso procedimentale senza procedimento amministrativo, ovvero domande immeritevoli di risposta da parte della p.a. Nel lavoro, in opposizione alle opinioni maggioritarie, si argomenta la seguente tesi: - con riferimento tanto al processo giurisdizionale quanto al procedimento amministrativo, ad ogni domanda fondata, infondata, manifestamente fondata, manifestamente infondata, corrisponde comunque un obbligo di provvedere da parte del pubblico potere (giudice o pubblica amministrazione); - l’obbligo di provvedere a fronte della domanda è inderogabile e comporta la necessaria apertura della sequenza procedurale (processo giurisdizionale o procedimento amministrativo) da parte del pubblico potere; - la procedura aperta dalla proposizione della domanda è retta dai principî fondamentali del contraddittorio, della partecipazione, della trasparenza, il che implica, nel caso del procedimento amministrativo, il rispetto delle disposizioni di garanzia dettate dalla L. 241/1990; - il procedimento amministrativo (come il processo per il giudice) è l’unica “forma di giudizio” cui l’ordinamento giuridico riconosca validità ai fini della valutazione, da parte della p.a., della fondatezza o infondatezza (manifeste o meno) della domanda del cittadino; - pertanto, fuori dal procedimento e prima del procedimento la p.a. non può legittimamente presumere l’inaccoglibilità a priori della domanda, né assumere una sorta di “indegnità assoluta” della medesima a formare oggetto di vaglio procedimentale ad opera del potere pubblico; - l’atto conclusivo del procedimento amministrativo non muta la sua qualificazione giuridica di provvedimento per il fatto di avere ad oggetto, anziché l’accertamento dell’infondatezza non manifesta della domanda, l’accertamento dell’infondatezza manifesta della stessa; - in entrambi i casi, infatti, vi è comunque una decisione di segno negativo della p.a. circa la domanda, che sbarra al cittadino la strada per il conseguimento del bene della vita cui lo stesso aspira; - se così è, il cittadino non può essere espropriato né, a valle, dei propri diritti di reazione giurisdizionale avverso la decisione negativa una volta emessa, né, a monte, dei propri diritti partecipativi rispetto al procedimento amministrativo propedeutico all’adozione della decisione negativa; proprio per questo, il procedimento amministrativo deve sempre essere avviato e celebrato dalla p.a. che riceva una domanda di provvedimento da parte di un cittadino, senza eccezioni o deroghe che dipendano da un’ar
Le législateur italien a choisi de donner, pour la première fois, une définition explicite du concept juridique d’« environnement », l’introduisant dans le texte normatif le plus important dans le domaine environnemental, c’est-à-dire le décret législatif du 3 avril 2006, n° 152 (le Code de l’Environnement, ainsi dit). Il s’agit d’une nouveauté de grande importance, si l’on considère surtout l’originalité et la complexité de la formule législative. Dans cette contribution, l’on propose de lire cette définition juridique de l’« environnement » à la lumière d’un paradigme conceptuel qu’elle présuppose : le modèle des « social-ecological systems » (SESs). Dans cette interprétation, l’environnement, conçu d’un point de vue juridique, ne s’épuise pas dans les écosystèmes ni dans les socio-systèmes considérés individuellement et séparément, mais il s’élève à un méta-système socio-écologique de systèmes écologiques et sociaux, qui interagissent en s’organisant en un tout qui est plus la somme de ses parties et qui manifeste des propriétés émergentes. Les conséquences qui en dérivent sont remarquables également pour le droit de l’environnement en tant que discipline : il confirme sa vocation de droit “fédérateur”, parce qu’il ne prive, ni destitue, ni substitue des branches juridiques différentes, mais les coordonne et les intègre à un niveau de réglementation plus complexe.
Las nanotecnologías, nueva frontera de las “tecnologías emergentes”, serán en breve un hecho cotidiano con el que convivir: las importantes innovaciones que la manipulación promete a nanoescala afectarán de forma progresiva a los distintos ámbitos que componen el ambiente como sistema de relaciones jurídicas (contaminación y rehabilitación, energía, agricultura, alimentación, salud, y otros). Sin embargo, en la actualidad todavía no se han llegado a conocer en profundidad las propiedades de las nanopartículas y, en consecuencia, tampoco los potenciales impactos negativos derivados del empleo de los dispositivos que las contienen. El estado de incertidumbre científica influye de forma inevitable en el ámbito del derecho, cuyos operadores carecen de puntos de referencia para elaborar una normativa adecuada que dé respuesta a las necesidades de las nanotecnologías y un sistema apropiado de gestión del riesgo. Este trabajo, sobre la base de una investigación previa dirigida a identificar los pros y contras de las nanotecnologías, tiene como intención señalar los problemas de los diferentes modelos de reglamentación objeto de debate a nivel comunitario, compararlos con las experiencias en curso en algunos Países europeos y extracomunitarios y hacer unas reflexiones como conclusión sobre la actual ausencia de una normativa italiana sobre las nanotecnologías.
This collective volume is the outcome of an experiment in transdisciplinary scientific research started in 2012 with the creation at the University of Salento (Italy) of a group of researchers called LAIR (an acronym for “Law and Agroecology – Ius et Rus”), and continued in 2013 with the organisation of an International Conference in Lecce entitled "Agroecology and Law: A Transdisciplinary Dialogue". On the level of the academic training of the authors, the approach based on transdisciplinarity explains why in the volume are included, besides legal scholars, also scholars of ecology, landscape ecology, agronomy, food governance, chemistry, engineering, history of agroecosystems and political institutions, rural sociology, and ethics. Among the legal scholars are representatives of various fields: from Roman law to international and comparative law; from constitutional, public, and administrative law to private and agricultural law; from environmental and landscape law to consumer law. There is a growing awareness of profound changes in the socioeconomic paradigm that have taken place in agriculture. Agriculture has evolved from the monofunctional perspective, referring exclusively to the production of goods for private use (raw materials to be used for food or industrial purposes) and to the remuneration of producers for those goods, towards a multifunctional vision. It is recognised that agriculture provides fundamental ecosystem services, inspired by the principle of sustainable development and conforming to the rule of environmental cross-compliance. This process of transformation has been accompanied by the emergence of a vibrant and expanding field of international research, namely agroecology. Agroecology has progressively integrated the points of view of various disciplines: agronomy, ecology, environmental sciences, geography, sociology, anthropology, history, economics, ethics, and political science. Agroecology has evolved through overcoming the traditional frontiers between “natural” and “social” sciences and examining the concept of agroecosystem viewed as a socio-ecological system. Law, however, has remained separate and very far from the debate within agroecology. This book proposes to explore, for the first time in a direct and broad-spectrum way, the relationship between law and agroecology. These two branches of knowledge that hitherto have not really communicated with each other are now called upon to become reciprocally acquainted, giving rise to a process of coevolution. On the one hand, agroecology is called upon to integrate within itself the point of view of law. This means studying the complexities of agri-food systems also in the light of normative and institutional variables, with the lens of categories such as rights, duties, powers, responsibilities, and procedural safeguards. On the other hand, law is called upon to review its own “internal geometries,” confronting them with the agroecological paradigm. In this sense, it must address the necessity of overcoming the divisive approach that so far has kept separate, on the disciplinary level, agricultural law and environmental law and, more generally, has disarticulated the legal regulation of closely linked matters, such as agriculture, environment, landscape, and food. This volume intends to allow an open exchange between legal and non-legal systems of thought with regard to agroecology. At the same time, it deals with the experiences of different countries, in order to start up a fertile dialogue destined to continue into the future. On a structural level, the volume is composed of three parts. The first part addresses the methodological issues entailed in linking agroecology to law. The second part aims to identify some concrete challenges that agroecology presents to law, highlighting the correspondence between multifunctionality of agriculture and multidimensionality of the relationships bet
SOMMARIO: 1. Premessa: ragioni antiche e nuove della necessità di un dialogo transdisciplinare tra scienze giuridiche e scienze ambientali. – 2. Il processo di integrazione culturale tra ecologia, scienze della vita e della terra e scienze umane e sociali nella letteratura internazionale. – 3. La teoria dei « confini planetari ». – 4. Il modello concettuale dei « sistemi socio–ecologici ». – 5. L’ecologia orientata al diritto: le proposte di ristrutturazione teorica del principio dello sviluppo sostenibile. – 6. Il diritto orientato all’ecologia nella prospettiva internazionale: l’emersione dei principi ecogiuridici di non–regressione, resilienza, integrità ecologica, proporzionalità ecologica, restauro ecopaesaggistico; il diritto dei sistemi socio–ecologici; « rule of ecological law », « rule of law for nature » e « ordre public écologique »; la coevoluzione tra scienze giusambientali e scienze ambientali. – 7. Il diritto orientato all’ecologia nella prospettiva italiana: la tutela giuridica di « uno o più ecosistemi » nella legge–quadro sulle aree protette; la tutela dell’« ecosistema » nel nuovo art. 117 Cost.; l’art. 3–quater del d.lgs. 152/2006; l’approccio ecosistemico alle definizioni giuridiche nella giurisprudenza ambientale. – 8. Prospettive per un’interpretazione ecologicamente orientata del sintagma « aree naturali protette » (cenni).
ABSTRACT ITALIANO. Il contributo muove dai dati forniti, nella letteratura scientifica internazionale, dalle scienze della vita e della terra, che testimoniano l’avvenuto ingresso dell’umanità in un’era di recessione ecologica senza precedenti. Da ciò emerge l’urgenza di un dialogo tra scienze non giuridiche e scienze giuridiche, al fine di fronteggiare, in coalizione transdisciplinare, una sfida di portata epocale per la specie umana. Il diritto amministrativo rappresenterebbe uno dei terreni elettivi per misurare le potenzialità e le prospettive di tale dialogo. Tuttavia, gli schemi teorici tradizionali di ricostruzione di concetti-chiave quali quello di interesse pubblico (concepito come risultante concreta ex post che ripudia predeterminazioni a priori) e di discrezionalità amministrativa (simmetricamente intesa come bilanciamento mobile e variabile di interessi non gerarchizzati ex ante), finiscono per legittimare sequenze diacroniche di micro-recessioni dell’interesse all’integrità ecologica, apparentemente innocue in una prospettiva atomistica, ma in realtà esiziali in una prospettiva sistemica. Emerge pertanto la necessità di revisionare il paradigma dominante in seno al diritto amministrativo, per candidare quest’ultimo ad essere, per il futuro, custode della perpetuazione della vita alla scala ecologica, in quanto sostegno infungibile per evitare il declino – a breve termine – o il collasso – nel medio/lungo termine – della vita alla scala sociale e alla scala individuale. Il contributo mette in evidenza la possibilità di inserzione, all’interno della teoria delle decisioni amministrative, di alcuni principi giuridici prospettati dalla dottrina nel dibattito in corso a livello internazionale, ancora non sanzionati ufficialmente sul piano del diritto positivo ma in via di graduale emersione, con particolare riferimento al principio di non regressione e al principio di resilienza. ABSTRACT INGLESE. This paper is based upon the data provided, in the international scientific literature, from the life and earth sciences, showing that humanity is running into an era of unprecedented ecological recession. It is evident from this that a dialogue between non-legal and legal sciences is becoming an urgent matter in order to face, in a transdisciplinary coalition, a momentous challenge for the human species. Administrative law might provide an ideal breeding ground for measuring the potential and prospects of such a dialogue. However, the traditional theoretical frameworks for reconstructing key concepts such as the public interest (intended as a concrete ex-post result that cannot be predetermined a priori) and administrative discretion (symmetrically understood as a fluid and variable balancing of interests which are not ex-ante hierarchized), end up legitimizing diachronic sequences of micro-regressions – seemingly innocuous, in an atomistic perspective, but a deadly danger in a systemic perspective – of the interest in the ecological integrity. The need therefore arises to revise the dominant paradigms in administrative law, to candidate the latter to become, in the near future, a defender of the perpetuation of life on the ecological scale, as an irreplaceable precondition fo preventing the decline – in the short term – or the collapse – in the medium/long term – of life on the social and individual scales.This paper highlights the possibility of inserting, within the theory of administrative decisions, some legal principles proposed by the doctrine in the ongoing debate at international level, not yet officially incorporated into positive law but gradually emerging: the principle of non-regression and the principle of resilience.
1. Premessa. 2. Unitarietà e complessità della «coesione territoriale» in termini funzionali nella prospettiva europea. 3. Il collegamento tra il concetto eurounitario di «coesione territoriale» ed i valori costituzionali dell’ordinamento italiano. 4. Scissione e limitazione della «coesione territoriale» sul piano organizzativo nell’esperienza italiana. 4.1 Il modello di base: la frammentazione delle politiche di coesione territoriale in plurimi ministeri, dipartimenti e comitati. 4.2 (segue) I tentativi di parziale unificazione sotto l’egida di un ministero per la coesione territoriale. 4.3 (segue) La ‘diarchia’ presidenza del consiglio/agenzia per la coesione territoriale. 5. Insufficienze della formula dell’agenzia nella sua configurazione attuale. 6. Conclusioni.
La Directiva 2006/123/CE, del Parlamento Europeo y del Consejo, de 12 de diciembre de 2006, relativa a los servicios en el mercado interior, fue concebida como una norma de carácter transversal con la que se quería contribuir a eliminar los obstáculos que frenaban el desarrollo de los servicios entre los Estados miembros. Una década después, se ha querido llevar a cabo un seguimiento de esta norma y analizar el impacto que ha tenido finalmente en los ordenamientos jurídicos de distintos países de la Unión Europea –consecuencias a nivel organizativo, ámbitos a los que se ha extendido su filosofía, problemas surgidos y pendientes de resolución o actuaciones en curso–, prestando especial atención a su incidencia a nivel local, dado que muchas de las actividades incluidas en su ámbito de aplicación están comprendidas en su esfera de competencias. Así, en esta obra, tras sistematizar los estados seleccionados para el estudio en función de su modelo de organización territorial y analizar los objetivos perseguidos por la Directiva y su ámbito de aplicación, se lleva a cabo el análisis de su impacto en los ordenamientos jurídicos alemán, croata, esloveno, español, francés, italiano, portugués y del Reino Unido.
Nanotechnology, the new frontier among the “emerging technologies”, will become in short time a fact of everyday life with which to confront our future: important innovations promised by manipulation at the nanoscale will affect each of the elements that compose the environment as a system of legal relationships (pollution and recovery, energy, agriculture, food, health, et alia). However, little is known about the properties of nanoparticles and, consequently, about the potential negative impacts from the use of devices that contain them. This state of scientific uncertainty inevitably influences the sphere of Law: legal operators have no point of reference about the provision of a legal regulation appropriate to the needs of nanotechnologies and to the development of a good system of risk management. This essay, on the basis of a preliminary investigation highlighting some of the pros and cons of nanotechnology perspective, aims to problematize some regulation proposals under discussion at EU level by comparing them with various examples of legal frameworks being applied in some European and non-European countries, and to offer some thoughts about the current lack of regulation for nanotechnology in Italy.
ITALIANO. I processi normativi di concentrazione o separazione soggettiva delle funzioni amministrative pongono il problema, non sempre focalizzato dal legislatore, della configurazione di modelli organizzativi idonei ad assolvere le diverse funzioni e, più a monte, il problema del riconoscimento dei limiti di impiego di ciascun modello, alla luce della proiezione e della retroazione dell’organizzazione sull’attività. Il volume si propone di analizzare, come caso paradigmatico dei rischi di impatto dell’ibridazione organizzativa sullo svolgimento delle funzioni, l’esperienza dell’Agenzia italiana del farmaco (AIFA), istituita nel 2003 «al fine di garantire l’unitarietà delle attività in materia di farmaceutica». L’indagine identifica tre diversi gruppi di funzioni che il legislatore italiano ha scelto di concentrare, seguendo un disegno di razionalizzazione, in capo all’AIFA: [a] le funzioni di ausilio tecnico, scientifico ed operativo di eccellenza in favore degli attori pubblici del sistema farmaceutico; [b] le funzioni di regolazione autoritativa del ciclo di vita del farmaco e di garanzia degli utenti del sistema farmaceutico rispetto alla tutela della salute; [c] le funzioni di salvaguardia dell’equilibrio economico-finanziario nel governo della spesa farmaceutica pubblica (reimbursement, pricing, fissazione dei budget). Comparando il caso dell’AIFA con le esperienze degli altri Paesi europei in materia di organizzazione amministrativa del settore farmaceutico, emerge la peculiarità della scelta, operata dal legislatore italiano, di optare per la riunificazione nell’AIFA di funzioni differenti che, nella maggior parte degli altri Paesi europei, sono allocate separatamente in capo a soggetti pubblici distinti. L’indagine mette in luce come la congiunzione dei diversi gruppi di funzioni, sul piano dell’attività, abbia condotto, sul piano dell’organizzazione, alla commistione di tre modelli eterogenei: - l’agenzia amministrativa, modello appropriato allo svolgimento delle funzioni sub [a]; - l’autorità amministrativa indipendente, modello adatto alle funzioni sub [b]; - l’ente pubblico strumentale, modello maggiormente compatibile con il gruppo di funzioni sub [c]. In chiave critica, l’indagine si conclude osservando come la strategia legislativa di reductio ad unum sul piano dell’attività debba tenere conto di un nodo cruciale messo in luce dalla teoria e dalla prassi dell’organizzazione amministrativa, rappresentato dalla non neutralità dei modelli organizzativi rispetto allo svolgimento delle funzioni. INGLESE. The legislative processes of subjective concentration or separation of administrative functions raise the question – which is not always the matter of focused attention by the rule-makers – of shaping organizational models capable of performing the various functions; before that, there is the problem of recognizing the limits to the use of each organizational model, considering its spillover effects and feedback from the organizational to the functional level. The book aims to analyze, as a paradigmatic example of how an organizational hybridization carries risks of impacting negatively on the performance of administrative functions, the case of the Italian Medicines Agency (AIFA), created in 2003 «with the aim of ensuring the unity of the national pharmaceutical system». The research investigates three groups of functions that the Italian Legislator, pursuing streamlining aims, has assembled and consolidated in the hands of the Italian Medicines Agency: [a] technical, scientific and operational support to the actors operating in the pharmaceutical system; [b] regulatory activities regarding the drug life-cycle in order to ensure high standards of public health protection for all medicines; [c] cost-containment of the public pharmaceutical expenditure in the framework of economic and financial equilibrium
Homo comes from humus. The "land question" regards above all the qualities of coexistence between persons and it expresses the abilities to cultivate that experience.
Da un sommario confronto tra i cardini epistemologici sottesi alle scienze giuridiche e alle scienze ecologiche emergono con evidenza le asimmetrie categoriali e definitorie che hanno impedito l’instaurazione di un dialogo corretto, non fondato su reciproci fraintendimenti, tra i due domini scientifici. Ciò che per il diritto è l’unico organismo dotato di vita giuridica, ossia l’uomo, per l’ecologia è solo uno dei numerosi tipi di organismi esistenti, accanto a quelli non umani; ciò che per il diritto è una comunità, ossia una collettività organizzata di persone, per l’ecologia è semplicemente una popolazione, mentre il concetto ecologico di comunità richiama la necessità della coesistenza, in un sistema vivente di livello superiore, di più popolazioni di specie biologiche differenti; se per il diritto l’ecosistema è semplicemente un «ambiente», ossia un “intorno” fisico che funge da scenario naturale in cui agiscono gli attori umani, per l’ecologia ogni ecosistema è un sistema di comunità che vive, si autoorganizza e si evolve unitariamente, di cui la popolazione umana è solo una componente, minoritaria ed in alcuni casi solo eventuale; se per il diritto il paesaggio e l’ecosistema inteso come «ambiente» sono porzioni di territorio sostanzialmente sovrapponibili, seppur rilevanti a diversi fini in base all’ordinamento giuridico, per l’ecologia il paesaggio è un sistema vivente gerarchicamente sovraordinato agli ecosistemi, et cetera. L’uomo, come singolo e nelle formazioni sociali in cui si svolge la sua personalità – ossia, in termini ecologici, come organismo e come popolazione – può sopravvivere solo a condizione che sopravvivano i livelli di aggregazione della vita ad esso superiori nella scala gerarchica, a partire dalle comunità (comprensive delle popolazioni non umane) e degli ecosistemi: un eventuale collasso di tali livelli biologici, infatti, determinerebbe inesorabilmente l’estinzione dei livelli inferiori in essi ricompresi, incluso l’uomo. Ne deriva che: (i) i sistemi ecologici sono ad esistenza indisponibile per l’uomo, sul piano delle leggi naturali, perché l’uomo non può distruggerli o danneggiarli senza contemporaneamente annichilire anche se stesso o degradare la sua qualità di vita; (ii) i sistemi ecologici sono ad appartenenza necessaria per l’uomo, sempre sul piano delle leggi naturali, per il rapporto di “parte” a “tutto” che intercorre tra l’organismo e i livelli superiori di organizzazione della vita. La prospettiva tratteggiata dall’ecologia costringe dunque il diritto a una rivisitazione delle proprie categorie di esistenza e appartenenza, rispetto alle relazioni tra uomo e natura. Le comunità, gli ecosistemi, i paesaggi, i biomi, la biosfera non possono agevolmente essere costruiti in termini di appartenenza alle popolazioni umane o a singoli individui, secondo lo schema del diritto soggettivo (proprietà o uso) su beni, in quanto lo schema dell’appartenenza risulta rovesciato dall’ecologia: è l’uomo ad appartenere ai sistemi viventi gerarchicamente sovraordinati, non il contrario. La stessa interdipendenza tra uomo e sistemi ecologici è difficilmente incanalabile all’interno degli schemi classici del contratto, sul piano fisiologico, e della responsabilità, sul piano patologico: l’interdipendenza tra parte e tutto, infatti, non è ecologicamente negoziabile, in quanto configura una coesistenza vitale necessaria e indisponibile, né l’aggressione alla sostenibilità della coesistenza tra parte (uomo) e tutto (sistema ecologico) è suscettibile di essere ristorata attraverso forme di compensazione postume, siano esse per equivalente o in forma specifica, almeno nei casi in cui l’intensità del vulnus superi la capacità del sistema ecologico di autorinnovarsi e perpetuarsi secondo gli schemi dell’ecologia del
The essay is based on the assumption that it would be necessary to strengthen and update the comparison between Environmental Law and Ecology. They are two sciences intimately linked but still wary of each other. A review of the international literature shows that Ecology has developed a process of dialogue and cultural integration not only with Life and Earth Sciences, but also with Social and Human Sciences, within transdisciplinary research platforms variously known as «Environmental Science», «Earth System Science», «Science of Earth Stewardship» or «Sustainability Science». Ecology has deeply evolved by going beyond its own disciplinary boundaries, and integrating information resources from multiple disciplines. It has produced fundamental changes: particulary, the «Planetary Boundaries» theory and the concept of «Social-Ecological Systems» are becoming central topics in contemporary ecological research. Recently, Ecology by collaborating with other environmental sciences is facing a further challenge, that is very interesting for legal scholars: the redefinition of «sustainable development» based upon new scientific foundations. All that orients Ecology towards Environmental Law. On the other hand, a review of the international literature shows that Environmental Law is increasingly moving towards Ecology, too. In fact, some legal scholars are trying to derive ‘ecolegal’ principles through an evolutionary interpretation of environmental legal norms at international, EU and comparative constitutional level: e.g., the principles of «non-regression», «resilience», «ecological integrity», «ecological proportionality», «ecoscape restoration». These ‘ecolegal’ principles have the force of Law but, at the same time, are able to incorporate into themselves theoretical advances in Ecology. More ambitiously, some legal scholarship is proposing to explore the possibility of building a «new Law» based on systematic, integrated and comprehensive understanding of «social-ecological systems»; to rethink the idea of rule of law, which could evolve into «ecological rule of law» or «rule of law for nature»; to introduce the legal concept of «ecological public order». According to other opinions, Environmental Law and Environmental Science are co-evolving in a law-science process that is continually in flux. Emergent properties occur at the interface, i.e. unexpected features that stem from interaction between law and sciences: neither science nor law, taken separately, could achieve these properties. The essay highlights that the orientation of Law towards Ecology is also evidenced by legal acts, such as the recently-agreed 7th EU Environment Action Programme (EAP) 2013-2020 (Decision no. 1386/2013/EU of the European Parliament and of the Council of November 20, 2013); the7th EAP is significantly entitled «Living well within the limits of our planet» and is grounded precisely on the recent «Planetary Boundaries» theory. In light of this new context, questions need to be asked concerning whether Italian Law could be compatible with an Ecology-oriented Environmental Law. In this regard, the Italian law seems to be suitable for allowing a cross-fertilization between Environmental Law and Ecology. One needs only to consider the legal protection of «one or more ecosystems» in Italian Law no. 394 of December 6, 1991 (Framework Law on Protected Areas); the legal protection of «ecosystem» in Art. 117 of the Italian Constitution, as amended in 2001; the principle of «sustainable development in order to safeguard the proper functioning and evolution of natural ecosystems» in Art. 3-quater of the Legislative Decree no. 152 of April 3, 2006, also known as the Environmental Code, as amended in 2008; the ecosystem approach to legal definitions that is emerging in some recent Italian case-law. In conclusion, the essay provides a perspective for an ecologi
SOMMARIO. 1. Premessa: il carattere inter-disciplinare e la vocazione trans-disciplinare del diritto dell’ambiente come diritto «per principi». – 2. Un principio dalle potenzialità frustrate: lo sviluppo sostenibile. – 3. Un principio dalle potenzialità latenti: la non regressione. – 4. La progressiva dequotazione dell’interesse alla salvaguardia dell’integrità ecologica nell’attuale quadro teorico di ricostruzione della discrezionalità amministrativa: prospettive future nell’ipotesi di lavoro di una piena espansione dei principi di sviluppo sostenibile e non regressione.
L’indagine ha ad oggetto il problema dell’interpretazione autentica del provvedimento amministrativo. Si tratta di un tema sul quale non esistono precedenti studi monografici nella letteratura amministrativistica. La ricerca è articolata in due parti distinte (vol. I e vol. II). Il volume I è dedicato all’esame di alcune questioni presupposte, complesse sul piano dogmatico, che assumono rilevanza prioritaria e decisiva per lo studio del fenomeno dell'interpretazione autentica del provvedimento amministrativo. Viene affrontato, innanzitutto, il problema della delimitazione dei confini della nozione di «provvedimento amministrativo», essendo quest’ultimo ad un tempo oggetto (provvedimento interpretato) e soggetto (provvedimento interpretante) dell’interpretazione autentica. Il tentativo di fornire una ridefinizione esplicativa della nozione muove dalle indicazioni fornite dal diritto positivo (L. 241/1990 e D.lgs. 104/2010) e perviene ad esiti non coincidenti con quelli prospettati dalle varie opinioni dottrinali in campo, soprattutto in relazione al modo di intendere caratteri quali la concretezza e l’autoritatività del provvedimento e di qualificare gli effetti giuridici di quest’ultimo. Dopo aver delimitato il perimetro della nozione di provvedimento, l’indagine propone un approccio diverso a tale nozione evidenziandone la pluridimensionalità interna. La pluridimensionalità del provvedimento viene colta raffigurando quest’ultimo come punto di un ideale grafico cartesiano a tre assi: «atto», «testo» e «regola». Valorizzando il rapporto di complementarità tra le tre dimensioni, il provvedimento si espone all’indagine dottrinale non solo nelle sue sembianze di atto autoritativo (id quod iubet) ma, contemporaneamente, nel suo essere rapporto plurisoggettivo di durata prefigurato ed ordinato, prescritto come modello di comportamento in quanto regola giuridica (id quod iussum est). L’indagine assume che la distinzione tra atto di enunciazione, enunciato e significato possa risultare feconda, in chiave euristica, per ripercorrere secondo una diversa traiettoria lo studio della nozione di provvedimento amministrativo e per evidenziare il ruolo cruciale che, più di quanto normalmente si ritenga, assume l’attività di interpretazione del provvedimento stesso. Ad un atto e ad un testo significante, infatti, corrispondono più significati possibili. Ne deriva che ad un unico provvedimento amministrativo inteso come atto e come testo corrispondono più provvedimenti amministrativi intesi come regole alternative enucleabili dall’unico atto e dall’unico testo attraverso l’interpretazione, ossia altrettanti modelli alternativi di rapporto plurisoggettivo nell’esperienza sociale: tanti provvedimenti quante interpretazioni. Solo la concezione pluridimensionale del provvedimento consente di comprendere in che modo operi l’interpretazione autentica: essa non incide né sull’«atto» né sul «testo», che restano immutati, ma sulla «regola» che viene fissata selettivamente, con esclusione di tutte le altre, tra i molteplici significati che il testo è in grado di esprimere. Dopo aver messo in luce la centralità strategica dell’interpretazione all’interno della teoria del provvedimento, si affronta infine il problema dell’identificazione dei criteri da utilizzare per l’interpretazione del provvedimento. I canoni ermeneutici sono infatti il prius imprescindibile per l’interpretazione teorica (nell’accezione kelseniana) del provvedimento: quella deputata a tracciare la cornice dei significati possibili, ossia dei diversi significati tutti suscettibili di essere correttamente attribuiti al testo di un provvedimento amministrativo. A sua volta, l’interpretazione teorica, pur non coincidendo con l’interpretazione autentica, ne limita il campo di manovra e, dunque, resta fondamentale per arginare l’arbitrarietà di quest’ultima. L’indagine sottopone a critic
Nell’ordinamento italiano continua a mancare una disposizione di legge che abbia ad oggetto la retroattività del provvedimento amministrativo. La l. n. 241 del 1990, pur disciplinando (nel Capo IV-bis) sotto vari profili l’efficacia del provvedimento, non affronta il problema dell’ammissibilità della retroazione degli effetti delle decisioni amministrative unilaterali. Anche nella dottrina italiana sono rare le indagini dedicate all’argomento. Nel silenzio della legislazione ha trovato ampio spazio, inevitabilmente, l’opera della giurisprudenza che, argomentando in particolare sulla base dell’art. 11 delle Preleggi, ha elaborato una tesi ormai consolidata: quella del divieto generale di retroattività dei provvedimenti amministrativi. La giurisprudenza non si è limitata ad enucleare questa regola generale: essa ha anche elaborato, sempre in assenza di fondamento nel diritto positivo, un numerus clausus di eccezioni che derogherebbero alla regola. In particolare, vi sarebbero quattro classi di provvedimenti amministrativi a retroattività eccezionalmente consentita: quelli retroattivi per legge; quelli retrodatabili per doverosa esecuzione di pronunce giurisdizionali o giustiziali; quelli retroattivi per natura; quelli retroattivi unicamente in bonam partem. Il presente contributo sviluppa una tesi differente. Da un lato, sottolinea che le coordinate tradizionali di inquadramento del problema non sembrano più adeguate rispetto all’evoluzione dell’ordinamento verso un diritto basato sui principi, in cui anche i concetti della dogmatica esigono di essere relativizzati, di acquisire elasticità, mobilità, adattabilità; di conseguenza, appare non condivisibile l’impostazione tralatizia secondo cui la retroattività dei provvedimenti amministrativi presenterebbe uno schema a geometria fissa, ossia “per classi”, risultando sempre vietata o sempre consentita in base alla sussunzione del provvedimento in categorie astratte e fissate a priori. In luogo di questo approccio, il contributo propone di configurare la retroattività secondo uno schema a geometria variabile, ossia “per principi”: essa potrebbe considerarsi vietata o consentita solo all’esito di una verifica di compatibilità con i principi generali dell’ordinamento, da svolgersi in concreto e che, per essere controllabile e non arbitraria, dovrebbe articolarsi in una rigorosa sequenza di fasi. In particolare, ogni ipotesi di provvedimento retroattivo dovrebbe essere sottoposta, caso per caso, motivatamente e con esiti non predeterminabili ex ante, ad un triplice test, per vagliare l’an, il quantum e il quomodo della retroazione tollerabile dall’ordinamento in base ai principi generali: un primo test relativo al principio di legalità; un secondo relativo al principio di proporzionalità; un terzo correlato al bilanciamento finale tra i principi di buon andamento ed efficacia ed i principi di certezza (intesa come ragionevole prevedibilità) del diritto e di tutela del legittimo affidamento.
L’indagine si colloca nel solco dell’idea-chiave, propugnata da autorevoli maestri del diritto amministrativo ma avversata da parte della dottrina recente, secondo cui il procedimento amministrativo manifesta una naturale attrazione verso il modello controversiale del processo. Il contributo tenta di declinare il paragone tra procedimento e processo rispetto ad uno specifico problema: l’an e il quomodo dell’obbligo di provvedere (del pubblico potere) su domande (del cittadino) che possano apparire, almeno prima facie, «inammissibili» o «manifestamente infondate». Assumendo una posizione critica rispetto allo status quo dottrinale e giurisprudenziale, il contributo prospetta ed argomenta la seguente tesi: - con riferimento tanto al processo giurisdizionale quanto al procedimento amministrativo, ad ogni domanda (fondata, infondata, inammissibile, manifestamente infondata, manifestamente inammissibile) deve corrispondere comunque un obbligo di provvedere da parte del pubblico potere (sia esso impersonato dal giudice o dalla pubblica amministrazione); - l’obbligo di provvedere a fronte della domanda è inderogabile e comporta la necessaria apertura del procedimento (processo giurisdizionale o procedimento amministrativo) da parte del pubblico potere; - il procedimento aperto dalla proposizione della domanda è retto dai principi fondamentali del contraddittorio, della partecipazione, della trasparenza, il che implica, nel caso del procedimento amministrativo, il rispetto delle disposizioni di garanzia dettate dalla L. 241/1990; - il procedimento amministrativo (come il processo per il giudice) è l’unica ‘forma di giudizio’ cui l’ordinamento giuridico riconosca validità ai fini della valutazione, da parte della p.a., dell’ammissibilità e della fondatezza (manifeste o meno) della domanda del cittadino; - pertanto, fuori dal procedimento e prima del procedimento la p.a. non può legittimamente presumere l’inaccoglibilità a priori della domanda, né presupporre una sorta di indegnità della medesima a formare oggetto di vaglio procedimentale ad opera del potere pubblico; - il procedimento amministrativo, doverosamente avviato a seguito della domanda del cittadino, non deve tuttavia necessariamente concludersi, parafrasando il lessico processualistico, con un provvedimento di merito a cognizione piena; - il procedimento, infatti, può anche chiudersi anticipatamente con un provvedimento negativo di rito, ove la p.a. rilevi l’inammissibilità o l’improcedibilità della domanda, senza entrare nel merito della pretesa sostanziale; - in alternativa, il procedimento può concludersi con un provvedimento negativo di merito ma a cognizione semplificata, allorquando la p.a. rilevi un livello di infondatezza sostanziale della pretesa del cittadino talmente manifesto da giustificare un’istruttoria più rapida e snella ed una motivazione più stringata rispetto all’ordinarietà dei casi; - l’atto conclusivo del procedimento amministrativo non muta la sua qualificazione giuridica di «provvedimento» per il fatto di avere ad oggetto, anziché (1) l’accertamento dell’infondatezza non manifesta della domanda, (2) l’accertamento dell’infondatezza manifesta della stessa o (3) l’accertamento dell’inammissibilità della domanda per carenza di presupposti di legittimazione, di forma o di procedura; - in tutti tre i casi sub (1), (2) e (3), infatti, vi è comunque una decisione di segno negativo della p.a. circa la domanda, con cui l’amministrazione adempie all’obbligo di provvedere imposto dall’art. 2 della L. 241/1990 e, disponendo il rigetto (sotto il profilo procedurale o sostanziale) della domanda, sbarra al cittadino la strada per il conseguimento del bene della vita cui lo stesso aspira; - se così è, a prescindere dal fatto che il provvedimento negativo si ascriva alla fattispecie sub (1) o a quelle sub (2) e (3), il cittadino non può esse
Este artículo pretende estudiar, por una parte, la transposición de la Directiva de «Servicios» 2006/123/CE en Italia, ejecutada con distintos actos normativos entre los que se encuentra, en particular, el decreto legislativo núm. 59, de 26 de marzo de 2010; y por otra, la nueva institución de la indicación certificada de comienzo de actividad (segnalazione certificata di inizio attività) o SCIA, según su acrónimo legislativo, introducida por el art. 49, punto 4-bis, del Decreto Ley núm. 78, de 31 de mayo de 2010. En este trabajo se intenta responder a dos preguntas: (i) cuáles son los vínculos normativos entre la transposición de la Directiva 2006/123/CE en Italia y la institución de la SCIA; (ii) si la SCIA, respecto de los servicios reglamentados por la Directiva 2006/ 123/CE, se configura como una forma (aunque simplificada) de «régimen de autorización», según dicho concepto figura expresamente definido en la Directiva misma, o si por el contrario podría definirse como una supresión de dicho régimen, es decir, como un régimen de liberalización del ejercicio de actividades económicas. Al final del análisis, se verá por qué es posible sostener la tesis de que la SCIA, en lugar de representar una liberación del operador económico del «régimen de autorización» entendido en sentido comunitario, se presenta en sí misma, por las modalidades concretas con las que opera, como un «régimen de autorización». Una institución de liberalización, pues, más aparente que real; y la expresión, por otra parte, de una discutible idea de simplificación administrativa. Tanto cuando la SCIA se vincula a la previa declaración de conformidad expedida por una Agencia para empresas, como cuando la SCIA implica la necesidad de que la Ventanilla Única para Actividades Productivas (SUAP) expida un «recibo», calificado legalmente como «título autorizatorio», entra en juego, haciendo aplicación de las definiciones de la Directiva, un régimen de autorización, en el primer caso por decisión formal (de sujeto privado encargado de una función pública), en el segundo caso por decisión implícita (del sujeto público). Es difícil, por tanto, sostener que la SCIA configura una verdadera liberalización: más bien, se presenta como la metamorfosis de un régimen autorizatorio que se mantiene, si bien cambiando de identidad y de apariencia. Casi como si se tratara de un fenómeno de mimetismo críptico, para sustraerse a los ataques de la Directiva, el Legislador italiano intenta que la SCIA asuma la apariencia de la radical supresión del régimen autorizatorio, cuando por el contrario la sustancia de la institución, precisamente a la luz de la Directiva y de sus definiciones, revela la inexistencia de dicha supresión. Además, si se la considera como «régimen de autorización», la SCIA muestra ulteriores puntos críticos siempre a la luz de la Directiva. Sobre todo en lo que se refiere al mecanismo de la declaración de conformidad que el operador económico solicita a las Agencias para empresas, existe una evidente traslación de los costes de la comprobación a cargo del operador económico, que deberá remunerar a la Agencia. Por otra parte, el Decreto del Presidente de la República núm. 159 de 9 de julio de 2010, no indica ningún tope máximo para las tarifas que las Agencias podrán aplicar, ni tampoco establece plazos máximos de conclusión de los procedimientos de comprobación por parte de las mismas Agencias, dejando a los operadores económicos sin ninguna garantía preventiva de su derecho (reconocido por la Directiva) a poner en marcha la actividad con unos costes no desproporcionados y unos plazos de espera razonables. La certificación privada, en particular en la forma de la declaración de conformidad de la Agencia, genera además un problemático reparto de responsabilidades, en caso de mala comprobación, entre la Agencia, el Ministerio de Desarrollo Económico c
Sumario: 1. Premessa. 2. Le relazioni tra diritto ambientale e diritto alimentare nella prospettiva della separazione con interferenza. 3. Un nuovo paradigma: la prospettiva dell’integrazione per presupposizione. 4. Ambiente e alimentazione alla luce del modello dei sistemi socio-ecologici. 5. Ambiti di progressiva integrazione tra diritto ambientale e diritto alimentare: alcuni esempi. 6 (segue). La salvaguardia della biodiversità di interesse agricolo e alimentare. 7 (segue). L’emersione del concetto di dieta (e alimentazione) sostenibile. 8 (segue). L’acqua come alimento e al contempo come bene ambientale fondamentale. 9 (segue). La tutela e promozione della produzione agroalimentare biologica. 10 (segue). Gli OGM e i novel foods.
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