Effettua una ricerca
Giuseppe Annacontini
Ruolo
Professore Associato
Organizzazione
Università del Salento
Dipartimento
Dipartimento di Storia Società e Studi sull'Uomo
Area Scientifica
Area 11 - Scienze storiche, filosofiche, pedagogiche e psicologiche
Settore Scientifico Disciplinare
M-PED/01 - Pedagogia Generale e Sociale
Settore ERC 1° livello
SH - Social sciences and humanities
Settore ERC 2° livello
SH3 The Social World, Diversity, Population: Sociology, social psychology, demography, education, communication
Settore ERC 3° livello
SH3_7 Social policies, welfare
Il saggio propone di ripensare la pedagogia come fondamentale componente per produrre analisi delle dinamiche urbane a partire dalla funzione di un “ascoltare intenzionato [che] significa già dialogo perché, anche quando silenzioso, promette cambiamento migliorativo […], prefigura l’auspicio (da tradurre in prassi) di ascoltare parole nuove, diverse, discorsi inediti oltre il già detto, il già mostrato e il già sperimentato”. Certamente, questo dialogo diventa più complesso e meno accessibile a tutti nella misura in cui, da essere interumano, diventa oggetto della mediazione di dispositivi amministrativi che, tra l’altro, si muovono in una condizione di “naturalizzata incertezza”. E, tuttavia, proprio tale accresciuta difficoltà consegna al sapere pedagogico la responsabilità di proporre, con rinnovato vigore, un progetto for-mativo che, rimettendo al centro la “pratica dell’aver cura e del benessere e del benvivere” di uomini e donne può essere il primo baluardo a difesa della storia e della materialità delle persone, delle comunità, delle città, della Terra.
Il saggio si sofferma, cogliendo le suggestioni di un frammento della produzione di Novalis, su alcuni nodi cruciali per una educazione etica e politica. Ciò con particolare riferimento al problema del rapporto tra sapere e comprensione, della relazione con la differenza nel dialogo, della tensione sempre euristica di ogni prospettiva democratica. Temi, questi, direttamente ricondotti alle caratteristiche epistemiche della specie sapiens.
Il saggio si propone di argomentare e mettere in evidenza i legami esistenti tra le pratiche di controllo sociale, l'ipotesi di un soggetto consortile e una nuova forma di pedagogia nera. In tal senso, attraverso la tematizzazione critica dell'attuale centralità culturale dell"arte della rimozione", si giunge a porre il quesito pedagogico della scelta tra "delineare nuove possibilità di comprensione personale e sociale con rispettivi modelli formativi pubblici e democratici; oppure perseguire un ideale di autoaffermazione personale, narcisistica e strumentale con rispettivi modelli formativi privatistici e oligarchici".
La pedagogia è scienza di confine che si muove tra le dimensioni plurali dell’esser uomo e donna, tra natura e cultura. E' scienza che articola scienze che si occupano della cura. In tale ottica sistemica e complessa è possibile avviare una riflessione epistemologica e pratico-operativa sull’incontro e integrazione tra pedagogia e medicina. Una riflessione con una storia “alta” che propone efficaci intrecci e scambi interdisciplinari. La storia di Séguin, come quella di altri medici pedagogisti (da Itard a Montessori) ricorda la produttività di tali scambi e rinnova l’interesse per una riflessione mediatrice di tecniche e saperi mirate a promuovere la permanente crescita e trasformatività dell’uomo nel suo costitutivo legame con il mondo.
Il saggio intende tracciare un sentiero che metta in relazione progettualità formativa, concetto di “opera” e narrazione. In tale direzione sono state recuperate innanzitutto suggestioni che hanno informato la pedagogia novecentesca a partire dal saldo riferimento di Giovanni Maria Bertin e del suo “Problematicismo pedagogico”. Questo perché la sua teoresi, in particolare, ha avuto l’indubbio merito di promuovere una intenzionalità del pensare-fare pedagogia che superasse di ogni possibile determinazione o riduzione dogmatica. Particolarmente rilevante, in tale direzione, è il ruolo che spetta alla relazione che lega soggetto progettante e mondo. Ben oltre una rappresentazione semplicemente biologica di questo vincolo è, invece, necessario spingersi verso una rivalutazione dei modi attraverso i quali tali due poli si integrano vicendevolmente dando luogo ogni volta a “eventi produttivi” di senso, di realtà, di interpretazione, di vita e di esperienza. Un legame che, pensato radicalmente e praticato responsabilmente, esclude che l’antidogmatismo conduca ad esiti scettici per produrre, invece, “opera”. È, questa, un’opera che per prodursi ha bisogno di realizzare un diverso modo di entrare in relazione con la terra ed il mondo, a partire dal riconoscimento dei “mille piani” che sottostanno a quanto noi possiamo “chiamare vita” e rendere “racconto della vita”. Dunque, produrre opera significa sapersi narrare, e decidere di narrarsi significa, a sua volta, scegliere di “coltivare e curare la propria soggettività come possibilità interpretativa riflessivamente e creativamente orientata, invincibile rispetto alle logiche sovraordinanti il pensiero e l’azione, l’etica e la relazione”. Gli effetti di una formazione che renda i soggetti competenti nel narrarsi sono, dunque, da interpretare alla luce della consapevolezza che ogni atto creativo, poietico, produttivo di opera è già sempre un produrre nuove, aperte, dialogiche e dai “bordi sottili” cornici per “‘iniziare a governare’ una storia, una emozione, una crisi”.
Lo scritto intende offrire le categorie basilari per interpretare e criticare l'identità del soggetto contemporaneo in particolare riferimento al suo essere protagonista dello sviluppo materiale e simbolico della società della conoscenza e dell’Informazione.
Il saggio intende sottolineare come la cura si può e si deve insegnare ritrovando nella nostra memoria i modi e i luoghi del suo apprendimento: in casa, nella famiglia che promuove principalmente una comprensione emotivo-relazionale della cura; a scuola, nelle università e in ogni occasione formativa in riferimento alla cura per il sé come per il noi professionale, sociale e culturale; nella vita quotidiana, attraverso scenari urbani, ambientali, naturalistici che trasmettono l’insegnamento della cura per il bello e il rispetto dei beni comuni. In tal senso, però, si rileva che se, da un lato, è evidente la pervasività delle azioni di formazione alla cura, lo è altrettanto l’assenza di un sapere pedagogico che pensi ad una progettualità coordinata e diffusa che consenta il passaggio dal momento formativo a quello propriamente educativo. Per promuovere una mentalità orientata alla cura occorrerebbe, innanzitutto, abbandonare l’idea che essa si identifichi con la sola pratica terapeutica per recuperare una visione della cura pedagogica rivolta primariamente alla relazione io-mondo e impegnata a istruire e educare sui modi di abitare la terra. Si tratta, pertanto, di cogliere la differenza sostanziale tra il semplice vivere biologico e funzionale e il più complesso abitare esistenziale, inteso sia come un fine che un mezzo di affermazione dell’umano. L’abitare richiede, infatti, che il soggetto sia formato al crocevia di istanze sociali e culturali che attivino una rappresentazione della cura di sé come cura dell’altro e del mondo, in un orizzonte di impegno pratico ed etico.
Il saggio affronta il problema della formazione di una “mente ecologica” a partire dalla esplicitazione delle strutture concettuali e progettuali che sottendono le possibili forme di relazione io-mondo. Tutto ciò, ben oltre le sole questioni di diretto interesse ambientalista ma come intenzione formativa di una epistemologia riflessiva, autocritica e complessa. In tal senso, il primo passaggio si configura come l’esplicitazione delle prospettive implicite in quella particolare relazione (ricca di storia e di pensiero) che si dà nell’abitare e non solo nel vivere un mondo. Il passaggio centrale è nell’analisi delle potenziali conseguenze della riscoperta del rapporto simbiotico con l’ambiente come requisito per dar corso ad azioni “di promozione di formae mentis orientate alla cura per l’abitare (e per la promozione di un pensiero e una azione ecologica) [che] si argomenta a partire dalla convinzione che gli universali (i principi, le etiche, le veggenze, le utopie ecc.) non hanno senso se non a partire da un radicamento particolare (di soggetti riflessivi portatori di principi, etiche, veggenze, utopie ecc.)”. La mente ecologica, dunque, guarda certamente al tutto ma, inevitabilmente, per prima cosa deve poter guardare il luogo da dove il proprio sguardo origina. Deve poter guardare se stessa e, nella località del proprio abitare, trovare il senso e la prospettiva per un pensare-agire ecologico. Dunque, tutto ciò significa, pedagogicamente, ripartire dal soggetto e dalla “ri-versione” delle rappresentazioni di sviluppo, autoaffermazione e convivenza, dalla radicale critica della categoria di “sostenibilità”, aprendo la sfida pedagogica della contemporanea promozione “di sapere circa l’identità di specie; di abilità di immaginazione empatica; di competenze critiche e riflessive”.
Il testo propone una riflessione su quegli aspetti della epistemologia pedagogica che si caratterizzano per una particolare dinamica resiliente. Ciò a partire dalla relazione con gli altri saperi sull'uomo per i quali la pedagogia può divenire modello, a partire dalla propria natura postdisciplinare e, quindi, in ragione della sua tensione interdisciplinare.
Lo scritto intende riflettere e proporre le categorie essenziali a partire dalle quali ripensare le problematiche e le potenzialità proprie della ricerca educativa con particolare riferimento alle categorie che ruotano intorno all'empowerment personale e sociale. Tutto ciò con particolare riferimento ai cambiamenti legati alle variabili dettate dalla società contemporanea in cui, tra l'altro, sempre aperto è il dibattito sulla logica, la sintassi e la teleologia della ricerca educativa .
Lo scritto intende riflettere e proporre le categorie essenziali a partire dalle quali ripensare le problematiche e le potenzialità delle professioni educative a cavallo delle dimensioni istituzionali e delle pratiche formative socialmente diffuse. Tutto ciò con particolare riferimento al contesto contemporaneo caratterizzato da una società della conoscenza e dell’Informazione in cui, tra l'altro, è ma anche un movimento di profondo rinnovamento identitario delle professionalità stesse di educatore e pedagogista.
La "pedagogia dal sottosuolo" tematizza il rischio che il potenziale creativo umano corre quando resti "imprigionato" senza avere modo di emergere, evolvere e tradursi in risorsa per realizzare cambiamenti positivi. Nel sottosuolo si sedimentano le tacite regole rappresentative della norma dominante che, se non problematizzate, possono finire per condizionare e limitare la costruzione di relazioni improntate alla generatività personale e sociale. Educatori e pedagogisti devono riflettere sulla necessità di riconoscere i non detti sia dei loro interlocutori sia del proprio io personale e istituzionale, sviluppando ed esercitando una mentalità votata alla cura per la singolarità della propria e altrui soggettività.
Le considerazioni riportate in questo saggio sono l’esito, tra l’altro, della lettura e del confronto con teorie e autori da cui muovere per una riflessione pedagogica sull’anziano e, in generale, sulla “lunga vita”. Molto di più si deve, inoltre, alle parole degli stessi anziani contattati nel corso della ricerca Prin 2008 “Anziani. Rappresentazioni culturali e modelli formativi” (condotta dalle Università di Foggia, Bari e Urbino) per dar corpo a una indagine sulla condizione anziana e su determinati ambienti di vita degli anziani in alcuni contesti centro-meridionali.
The more we explore the Adult Education themes, the more we become aware of the correspondance between arithmetical progression of knowledge and geometrical progression of the issue’s edges, that imply a renewed need for re-organization of hermeneutic models related to educational matters. A kind of problematicity set not only into what our eyes can meet, but often harder to recognize and set at the bottom of those epistemological matrixes which make Research possible. This also occurs whenever we try to propose a pedagogical reading of the theme/issue of relationship between generations. A subject that cannot be reported to a narrow field of research and that unveils its identity-making debt toward social, cultural and educative representations. From the study of the subject/process “intergenerationality” emerge crucial requests, which force pedagogy to search for and maintain connections with many different scientific fields. Thus, pedagogy reflection continuously increases its critical and reflective chances, thanks not only to the specific heritage of the discursive logics it is linked to, but also to the historical and material matrix of the subject/process “intergenerationality”. In this sense we try to synthetically list, as shown below, the main difficulties related to the said theme: - the relationship between generations is a natural matter (it is a human apriori) and it takes shapes and models which are continuously re-defined on the basis of social and cultural influences (it is a historical phenomena of human being); - the generations that come in contact with each other into the intergenerational re-arrangement can’t be reported to long-term representations; - the intergenerational contact doesn’t follow fixed rules because it is strictly related to temporary dimensions where communicative chances evolve, proposing new ways of communication between generation. Il presente scritto affronta alcune difficoltà sollevate dal tema/problema del dialogo tra le generazioni riferibili, in particolare, alle seguenti questioni: - il rapporto tra le generazioni è un fatto naturale (è un apriori dell’essere umano) ma segue anche modelli costantemente rinnovantisi – e non sempre espliciti – in relazione alle temperie sociali e culturali (è un fenomeno storico dell’essere umano); - le generazioni che entrano in contatto nella riorganizzazione dell’intergenerazionale non sono riferibili a rappresentazioni stabili e permanenti; - il contatto tra le generazioni non segue una regola fissa, ed è strettamente correlato ai modi storici e contingenti in cui le possibilità comunicative si definiscono. A partire dall’esplicitazione delle problematiche riferite a tali questioni, sono identificati tre compiti che l’agire pedagogico dovrebbe impegnarsi a realizzare in maniera organica per facilitare l’espressione del potenziale generativo dell’intergenerazionale. Compiti che fanno riferimento alla promozione per tutto il corso della vita di un “sapere di specie”, di una “immaginazione empatica”, di una “competenza riflessiva”.
Presentiamo qui i primi risultati di una azione condotta nell’Università del Salento nel corso dell’a.a. 2013-2014 e che ha coinvolto gli studenti delle tre sedi universitarie della Puglia (Salento, Bari “Aldo Moro”, Foggia). Si tratta di una prassi di ricerca e monitoraggio attivata sulla piattaforma dell’Università del Salento e che ha per titolo: “La mia Università – Questionario esplorativo delle percezioni e delle rappresentazioni degli studenti delle Università di Bari, Lecce e Foggia”. Tale iniziativa è nata per cercare di mettere a regime un primo strumento utile a comprendere se le azioni intraprese dall’università e le rappresentazioni che di essa hanno i suoi più numerosi utenti (gli studenti) riescono a procedere, se non all’unisono, quantomeno nella stessa direzione. L’analisi dei dati può permettere di segnalare l’eventuale presenza di un problema di condivisione e comunicazione (delle finalità istituzionali, di saperi, di pratiche, di missione ecc.) che potrebbe indebolire il legame che l’università da sempre intrattiene con il proprio territorio. Inoltre, l’impostazione teorica della ricerca, basata sulla relazione sistemica e complessa dell’unità università-territorio-studenti, consente di argomentare come anche una analisi micro di questi terzi protagonisti può, in ragione del principio ologrammatico, restituirci conoscenza e possibilità di comprensione, suggestioni e chiavi di lettura di quanto accade a livello di macro sistema. Infine, è importante sottolineare come valutare la capacità di comunicare azioni e intenzioni significa anche consentire a tutto il corpo docente di autovalutare le criticità progettuali o didattiche dei singoli corsi di studio, riducendo al massimo i rischi di una non pedagogicamente qualificata “inattualità”. In tal modo evitando chiusure autoreferenziali e attivando prospettive condivise delle finalità dei corsi e pratiche di compartecipazione alla vita e organizzazione degli stessi (Moreno-Murcia, Silveira Torregrosa, Belando Pedreño, 2015; Xu, 2012).
Lo scritto analizza le conseguenze e le opportunità offerte dal ripensamento al dispositivo “imitazione” in ambito formativo, con particolare riferimento all’infanzia. Tutto ciò a partire dalla riflessione sul ruolo e sulla funzione che ad esso hanno attribuito le ricerche sui neuroni mirror.
Il volume propone una pedagogia "del" Mezzogiorno" che "guarda a" Mezzogiorno (d'Italia e d'Europa), individuando nel dispositivo pedagogico un'occasione capace di delineare nuovi stili di pensiero e di azione.
Condividi questo sito sui social