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Giuseppe Patisso
Ruolo
Ricercatore
Organizzazione
Università del Salento
Dipartimento
Dipartimento di Storia Società e Studi sull'Uomo
Area Scientifica
Area 11 - Scienze storiche, filosofiche, pedagogiche e psicologiche
Settore Scientifico Disciplinare
M-STO/02 - Storia Moderna
Settore ERC 1° livello
Non Disponibile
Settore ERC 2° livello
Non Disponibile
Settore ERC 3° livello
Non Disponibile
In questo lavoro si analizza il giudizio di due storici locali come Francesco Errico e Domenico Ruggiero Greco. Ciò è stato possibile grazie ad un recente scavo archivistico e bibliografico che ci ha fatto ritrovare le opere di questi autori, necessarie per inquadrare in maniera più completa la figura del marchese d'Oria. L'Errico risulta essere un convinto accusatore del Bonifacio al punto che in "Cenni storici sulla città di Oria" lo definisce di “indole cattiva e prepotente, fu deposto [dal Viceré Alcalà dall’ufficio di Giustiziere del Regno] e si ritirò nella rocca Sveva del suo Marchesato Oritano”. Il Greco, seppur più indulgente, è convinto che le scelte del marchese siano "fuori dalla grazie di Dio" e sostiene (erroneamente) che egli si sia convertito in punto di morte.
In un nord America conteso tra le maggiori potenze europee, l’impero francese, passato alla storia con il nome di Nouvelle France, si trovò costantemente sottopopolato. Fallita l’amministrazione coloniale della Compagnie des Cent-Associés, Luigi XIV e Jean Baptiste Colbert decisero di prendere in mano i destini dell’impero e la questione riguardante la sua crescita demografica. La popolazione maschile delle colonie sopravanzava diverse volte quella femminile. Fu elaborata una politica di popolamento volta a favorire la migrazione in Nouvelle France di fanciulle in età da marito. Queste sono passate alla storia con il nome di filles du Roi.
Durante le lezioni tenute nel corso denominato “Laboratorio di Storia moderna” a studenti della laurea triennale, della Magistrale e dottorandi è stato sempre posto in evidenza cosa fosse una fonte e la sua evoluzione nel tempo. Fermo restando la fondamentale importanza degli archivi fisici dove reperire le fonti dell’età moderna - e non solo -, con l’adozione di nuove tecnologie e con lo sviluppo di internet cambia anche lo stesso concetto di fonte, la quale da cartacea diventa immateriale. Quell’inchiostro che un tempo fu versato per raccontare e trasmettere fatti e testimonianze, giudizi ed impressioni, sta diventando immateriale: le righe diventano kbites, i fogli e le pagine megabits, i libri gigabites. In questo percorso ho analizzato l’uso delle nuove tecnologie nello studio e nella ricerca di un fonti relative a un personaggio oggetto del mio studio, Juan Ginés de Sepúlveda, riuscendo a trovarne davvero di utilia integrare le mie ricerche. La rete certamente non può ancora soddisfare appieno le necessità della ricerca storica. Ma attraverso archivi e biblioteche nazionali, universitarie, diocesane, emeroteche che hanno digitalizzato buona parte delle fonti librarie e documentali, ho avuto la possibilità di compiere un percorso di ricerca digitale che ha consentito di trovare testi altrimenti di difficile consultazione.
La rivoluzione di Santo Domingo e l’indipendenza di Haiti sono giudicati eventi fondamentali per l’apertura del lungo processo di decolonizzazione del Nuovo Mondo. Analizzare le condizioni sociali e giuridiche della manodopera schiavile pochi anni prima della sollevazione haitiana, può fornire un panorama ancor più completo sulle ragioni che hanno provocato l’epocale evento. Il presente contributo si propone di illustrare alcuni tratti della società schiavista della Santo Domingo francese, riflettendo in modo particolare sulle condizioni sociali e sulla legislazione schiavista in epoca prerivoluzionaria.
I codici neri del 1685 non furono un unicum nella storia della legislazione schiavista. Essi pur rappresentando un elemento di sostanziale novità nel panorama giuridico di Antico Regime, si rifanno a precedenti ordinamenti che regolavano l’acquisto e la commercializzazione degli schiavi, rappresentato dal sistema degli “asientos”. Tale termine indicava sia l'accordo o il contratto fra la corona di Spagna e un privato (individuo o compagnia commerciale), sia il trattato con un altro Paese per cui la Spagna concedeva, contro il pagamento di diritti stabiliti, lo sfruttamento di determinati settori commerciali, in situazione di temporaneo monopolio, nelle proprie province e colonie. Tra questi vi erano gli “asientos de negros”, cioè i permessi di introduzione e vendita in America di schiavi africani.
Tra XVII e XIX secolo anche la Svezia, sulla scia delle grandi potenze europee, provò a costruire un impero coloniale. Condotti sulle rotte atlantiche dalle sapienti mani dei mercanti olandesi, gli svedesi avrebbero dato vita nel Delaware al loro primo possedimento stanziale nel Nuovo Mondo, fort Christina (1638). L’impeto coloniale portò gli svedesi a inserirsi nel grande circuito della tratta degli schiavi, costruendo sulle coste dell’odierno Ghana diverse fortificazioni dove venivano rinchiusi gli schiavi in partenza per il Nuovo Mondo. Una volta perse queste piazzeforti a favore di danesi e olandesi, nel corso degli anni Cinquanta del XVII secolo, le velleità imperiali svedesi sarebbero rimaste silenti fino alla fine del secolo XVIII. Nel 1784 in cambio di alcune concessioni commerciali fatte ai francesi nel porto di Göteborg, il sovrano Gustavo III avrebbe ricevuto in cambio la possibilità di colonizzare l’isola di Saint-Barthélemy. Gli svedesi avrebbero tentato di trasformare questo piccolo isolotto, poco distante dalle Grandi Antille, in un centro di riferimento per il commercio caraibico e per la tratta degli schiavi tra XVIII e XIX secolo. Per gestire una colonia in parte fondata sullo sfruttamento della manodopera schiavile, anche le autorità svedesi ricorsero alla promulgazione di leggi schiaviste, conosciute come Codici neri. Chiaro esempio è il Codice Von Rosenstein del 1787.
Per secoli il Democrates alter, il libro che teorizzava le cause della giusta guerra contro gli indios, e la sua Apologia, presentata contro Las Casas a Valladolid durante la Controversia del 1550-51, hanno subito una sorta di damnatio memoriae in quanto il loro autore Juan Ginés de Sepúlveda è stato considerato una sorta di avvocato del diavolo, il propugnatore della sottomissione degli indios con tutti i mezzi e uno dei vati dell’imperialismo spagnolo. Ma le idee espresse dall’umanista andaluso risentirono di una trattatistica di stampo protestante che utilizzò a piene mani la Brevísima Relacíon de la destrucción de las Indias di Bartolomé de las Casas per mostrare all’Europa su quali crimini veniva costruito l’imperialismo spagnolo. La Brevísima Relacíon sarà tradotta in fiammingo, francese, tedesco, dal 1578 fino alla metà del ‘700 ben 43 volte: insomma, schierarsi nel XVI e XVII secolo per Las Casas o per Sepúlveda voleva dire essere antispagnoli o filospagnoli. Questo lavoro analizza il concetto di impero in Sepúlveda e la sua “doctrina civilizadora” o come è stata definita da alcuni studiosi la conquista come atto di amore.
Le idee di Juan Ginés de Sepúlveda e i suoi scritti sulla conquista del Nuovo mondo e sulla guerra giusta contro gli indios furono al centro di aspri dibattiti nella Spagna del XVI secolo e diedero vita a quella che è passata alla storia come la Controversia di Valladolid che vide l’umanista di Cordoba confrontarsi con Bartolomé de Las Casas in uno dei più importanti dibattiti sui diritti umani dell’età moderna. Sepúlveda però, a differenza di las Casas, non fu mai in America anche se i suoi scritti risultano essere essenziali per la conoscenza e la comprensione del dibattito sulle scoperte americane. In questo lavoro si analizzano quali furono le fonti che Sepúlveda utilizza per poter scrivere e dibattere questioni che non aveva mai visto di persona ma che aveva solo sentito e letto. La sua vocazione di storico imperiale lo muove verso la conoscenza di tutta la storia del tempo e lo spinge ad raccontare e dibattere su tematiche che hanno come fine ultimo il bene dell’impero carolingio e la diffusione della fede e la percezione dello stesso la ricava dalle lettere di Cortés, che egli conosce personalmente e col quale ha la possibilità di colloquiare direttamente.
Nella Francia del XVI secolo gli ugonotti rappresentavano un problema rilevante per gli equilibri statali e per il primato della religione cattolica. I calvinisti francesi venivano perseguitati e martirizzati. La lotta all’eresia ugonotta divenne una delle priorità del sovrano Enrico II. Nasce in questo periodo il progetto di fondare una colonia francese in terra brasiliana. Alla nascita di questo progetto coloniale concorsero diverse motivazioni sia di natura politico economica (insidiare l’egemonia luso-spagnola in America latina) che religiosa-dottrinale (creare una comunità in cui riformare la chiesa cattolica ed avviare una pacifica convivenza con i protestanti all’insegna della riunificazione della cristianità). Nel 1555 il cavaliere di Malta, Nicolas Durand de Villegagnon, con la benedizione del re di Francia, salpò verso il Brasile. La spedizione, arrivata sulle coste brasiliane nel novembre 1555, si stabilì nella baia di Guanabara. Qui prese vita una realtà coloniale passata alla storia come Francia antartica. Scopo del presente articolo è quello di ripercorrere i principali eventi della storia di questo possedimento coloniale, analizzando le cause che hanno portato alla sua nascita e le ragioni che ne hanno decretato il fallimento.
Nella prima metà del XVIII secolo, durante la lotta tra Francia e Inghilterra per il possesso dei territori dell’America del Nord, anche la regione dell’Acadia dovette affronta- re la temperie di quella lunga contrapposizione che ebbe il suo apice durante la guerra dei sette anni, conflitto che nelle colonie americane fu denominato guerra franco-india- na. Agli abitanti della regione, fedeli alla corona del giglio, fu imposto di ripudiare quella loro appartenenza dopo che l’Acadia fu conquistata dagli inglesi, prendendo il nome di Nuova Scozia. Il loro sostanziale rifiuto portò al Grand Dérangement, cioè alla deportazione di migliaia di Acadiani (Acadiens), verso i luoghi più disparati: dalla Francia al- l’Inghilterra, dalla Guyana a Saint-Pierre et Miquelon, da Santo Domingo alla Louisiana, fino alle isole Falkland, che furono poi ribattezzate Malouines proprio perché colonizzate da un nucleo di coloni Acadiani, in maggioranza provenienti da Saint-Malo. Intere famiglie furono smembrate e molte di esse si videro sottrarre anche i loro figli. Partendo dalle prime spedizioni in America del Nord e dagli aspri conflitti durante i diversi momenti della colonizzazione, nel libro sono trattate le principali fasi della questione acadiana, la quale sopravvisse ben oltre la prima metà del XVIII secolo, passando per la Francia rivoluzionaria, per il periodo napoleonico e per il Secondo Impero. Con un pro- clama reale del dicembre 2003, la regina Elisabetta II, in accordo con le autorità canadesi, ha annunciato che il 28 luglio di ogni anno, a partire dal 2005, sarebbe stato dedicato al ricordo del Grand Dérangement.
In seventeenth-century France is placed the frst attempt of the French monarchy to intervene directly in the administration of colonial possessions in the North American continent: the Compagnie des Cent Associés(1627-1663). Great promoter of this initiative was Cardinal Richelieu who held the reins of the French State in the period that goes from the end of the Wars of Religion to the Tirty Years War. Starting from the act of foundation of the Company, and the powers conferred to it, we will analyze not only the economic and mercantilist interests that led to the Company formation but also the projects of population and Frenchifcation that Richelieu had planned for the Nouvelle France. Te management of the colonies led by Cent-Associés will be the basis from which Colbert will start the transformation of Nouvelle France in a political institution similar to the French provinces in the Old Continent.
Entre las principales plantaciones en el Nuevo Mundo: maíz, algodón y tabaco, las de azúcar fueron consideradas las más di-fundidas y rentables. En este artículo se analiza brevemente la relación entre el comercio de esclavos africanos y la producción de azúcar en la América colonial, con lo cual se evidencia cómo la necesidad de mano de obra dio lugar a tal afluencia de africanos esclavizados hasta el punto de transformar la sociedad americana. En lugar de los indios, llegaron los europeos y al poco tiempo los cautivos de África, el verdadero motor de la economía de las colonias; la necesidad de gobernar el flujo de su entrada y su vida en el nuevo contzinente vio el surgimiento de los códigos negros y de otros reglamentos legislativos sobre el sometimiento de los africanos en territorios de los franceses y de los españoles. Los códigos negros franceses (Codes noirs), los códigos negros españoles y los blacks codes estadounidenses nacieron con la intención de proteger a los esclavos de los abusos de sus amos, pero no sucedió así porque el poder de los dueños fue más fuerte que las disposi-ciones procedentes de las capitales europeas.
Ripercorrendo la tradizione della legislazione schiavista inglese, l’articolo si propone di analizzare lo Sketch of Negro Code di Edmund Burke (1792). Lo studio delle fasi di concepimento di questa “bozza” ha permesso di poterlo collocare all’interno del più ampio movimento Antischiavista inglese, il cui attivismo politico porterà, il 25 marzo 1807, alla promulgazione dello Slave Trade Act, il primo tentativo inglese di sopprimere la tratta degli schiavi nell’Atlantico. Lo studio del codice e delle dinamiche storico-sociali ad esso sottostanti, fornisce il quadro di una delle più pesanti eredità della storia coloniale britannica in età moderna. Un’eredità che l’impero britannico dovrà fronteggiare nella sua transizione verso l’età contemporanea.
Fin dai primi anni del processo di colonizzazione, nel possedimento di Santo Domingo gli spagnoli tentarono di avviare un sistema economico basato sulla piantagione. Rendere efficiente un'economia basata sull'agricoltura estensiva richiedeva una cospicua quantità di manodopera: gli schiavi. Nelle prime fasi del dominio castigliano, furono soprattutto gli indios ad essere ridotti in schiavitù. Ma lo sfruttamento dei nativi si sarebbe rivelato presto inefficace. L'introduzione di schiavi neri modificò in maniera sostanziale la società dell'isola al punto che Santo Domingo fu sconvolta da numerose rivolte nelle quali indios e neri combatterono, fianco a fianco, per affrancarsi dalla condizione di schiavitù nella quale versavano. Emerse, tra gli amministratori di Santo Domingo, la necessità di regolare la vita della forza lavoro schiavile. In tali circostanze, il 6 gennaio 1522, fu promulgata la provisión di Diego Colombo, viceré delle Indie. Il testo rappresentò uno di primi tentativi di regolamentare l'esistenza della manodopera schiavile nera, ormai in procinto di divenire la forza lavoro dominante nel possedimento dominicano.
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