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Daniela De Leo
Ruolo
Ricercatore
Organizzazione
Università del Salento
Dipartimento
Dipartimento di Studi Umanistici
Area Scientifica
Area 11 - Scienze storiche, filosofiche, pedagogiche e psicologiche
Settore Scientifico Disciplinare
M-FIL/01 - Filosofia Teoretica
Settore ERC 1° livello
SH - Social sciences and humanities
Settore ERC 2° livello
SH5 Cultures and Cultural Production: Literature, philology, cultural studies, anthropology, study of the arts, philosophy
Settore ERC 3° livello
SH5_12 History of philosophy
Nel saggio si elabora una analisi filosofica della dimensione educativa proponendo un progetto di tirocinio formativo finalizzato all’osservazione dell’interazione verbale che avviene quotidianamente in classe. In questa interazione comunicativa e attraverso essa si filtrano le rappresentazioni o i modelli culturali di riferimento, pertanto risulta determinante che l’insegnante sappia essere un osservatore molto attento sia alle reazioni della classe al suo modo di parlare, che alla stessa dinamica comunicativa che si concretizza nel contesto classe. Il focus dell’attenzione è volto a quel “parlare ascoltando” che alimenta un percorso nel quale il soggetto ha cura di sé e dell’altro, sviluppando una interazione critica che è alla base di ogni relazione. La riflessione sugli stili comunicativi, che misurano l’interazione tra insegnante/alunno, consente di evidenziare quelle “barriere” comunicative che possono ostacolare la relazione educativa: presupposto necessario per “abitare” questo spazio di riflessione è costruire una definizione di stile comunicativo agito nel contesto classe.
Parafrasando Husserl , il numero deriva da un atto unitario della mente, che dirige intenzionalmente la sua attenzione su molteplicità di oggetti riuniti in aggregato specifico. A partire da questo concetto si può ricavare per astrazione il concetto generale di aggregato, concepito come collegamento collettivo delle unità costitutive di una molteplicità; procedendo a contare tali unità, si arriva al concetto di numero. Husserl riconosce l'esistenza autonoma dei numeri come forme generali, cioè come strutture rappresentative costanti del soggetto, le quali condizionano l'attività conoscitiva. Il concetto di numero che nel volume viene preso in considerazione analizzando il film The Beautiful mind, intimizza il rapporto uomo-mondo, nella dialettica relazionale tra nozione esperienziale e formale e induce a formulare le domande relative all’esistenza stessa dei numeri: il numero esiste o è un prodotto della mente umana? La matematica è applicabile alla realtà ? Le risposte a queste domande si intrecciano nella trama del film in particolar modo in quelle che si riferiscono alla teoria dei giochi e alla cultura dei matematici.
A fronte della crisi del soggetto contemporaneo, la pedagogia deve rivedere il suo statuto prassico ed epistemologico per rispondere attivamente alla costruzione di un nuovo modello formativo. La proposta formulata in questo saggio é quella di una pedagogia della crisi interpretata come pedagogia della domanda, ovvero come pedagogia che non sia schiacciata sulla logica della necessità e del presente ma che suscita dubbi, allena menti flessibili, sostiene progetti e desideri, costruisce tempi e pensieri “lunghi”. Una pedagogia che diviene prassi concreta se declinata con alcune parole come Riflessività, Comunità, Speranza, Adattabilità che si traducono più concretamente in importanti “crisis skills”. In the age of crisis, the pedagogy needs to revise its praxic and epistemological statute. This action is essential to construct a new educational model. In this paper we want define a “pedagogy of the crisis” interpreted as “pedagogy of the question”. A pedagogy that goes beyond the logic of necessity and of the present, that raises doubts, promotes mind flexibility, supports projects and desires. A pedagogy that becomes concrete practice when it is declined with Reflexivity, Community, Hope, Adaptability. Thus, these words stand for “crisis skills”.
Il saggio si propone di illustrare la dicotomia contenuta nel termine fiducia. La fiducia si presenta apparentemente con due facce: la fiducia in se stessi e la fiducia negli altri, ma la prima risulta essere una pratica a specchio per realizzare l'altra. La fiducia ha con il valore l'identica relazione che si riscontra fra la rappresentazione e il suo oggetto, la relazione intenzionale.
Il compito didattico quale oggetto formativo è al centro dell'indagine fenomenologica nel progetto di ricerca Costruire uno spazio ermeneutico - Educare al pensiero. Gli elaborati pratici delle attività svolte nel progetto sono riportati nel presente volume e costituiscono il terreno sperimentale sul quale +è stata elaborata la tesi argomentativa: rinvenire nello stesso contenuto didattico tanto una dimensione strutturale quanto una dimensione di significato, sistema aperto che favorisce un varco nei sensi già acquisiti e la solidificazione di competenze entro una struttura data.
L’intervento è pensato come un dialogo tra filosofia e pedagogia, in cui si argomenterà intorno alla proposta, di Paulo Freire, di una educazione problematizzante, che si esplica nella dimensione della relazione e della comunione e implica un pensare-agire dell’educatore che trasformi. L’intento dell’intervento, sviluppato secondo una chiave di lettura pedagogico-filosofica intende fornire i presupposti teorici di questa educazione e, al contempo, indagarne le peculiarità del soggetto educatore, inteso come soggetto comunitario (di un soggetto cioè non come semplice somma di individui né di un soggetto collettivo compatto o dialettico). La metafora con la quale si metterà in luce tale educazione problematizzante è quella del poliedro. Il primo paragrafo (Presupposti dell’educazione freireiana e dimensione della relazione che implichi un pensare-agire capace di trasformare il mondo) è di Gabriella Armenise, mentre il secondo paragrafo del saggio (Soggetto comunitario e metafora del poliedro partendo dall’educazione problematizzante) è di Daniela De Leo. La bibliografia di riferimento si riferisce al saggio complessivo.
Il lavoro proposto si inserisce – sin dal titolo Interazione e cultura nel contesto classe – nel solco di una prospettiva culturale in cui si fa esperienza del mondo, si pensa, si parla, si agisce con altri, entro specifici contesti relazionali, culturali, sociali, di scopo. Non esiste qualcosa come una “mente individuale”, comprensibile al di fuori del contesto entro cui si sviluppa. Questa svolta contestuale avanza sul piano del dibattito scientifico, nel dialogo tra filosofia e psicologia, attraverso l’investimento su una prospettiva simbolico culturale che sottolinea il ruolo centrale del significato e la sua natura intrinsecamente sociale e intersoggettiva. L’esperienza (anche quella problematica) è l’esito di una dinamica di attribuzione di valore all’ambiente. Non vi è oggetto dello scenario formativo (contenuti didattici, ruoli, regole, strumenti) che lo studente incontri prima di attribuirgli un significato; due persone che si confrontano con lo stesso campo di esperienza saranno quindi capaci di percepire oggetti differenti come risultato del loro riferimento a differenti sistemi di significato. Se il costruttivismo aveva posto al centro del discorso l’attore che percepisce ed esperisce, a partire dal filtro delle sue categorie e dei modelli interpretativi (schemi, script, sistemi di credenze), il sociocostruttivismo socializza tali modelli riconoscendovi dispositivi che il soggetto acquisisce partecipando ai sistemi simbolici della cultura. In questa ottica tra le menti individuali e il contesto intersoggettivo entro cui esse si dispiegano esiste un rapporto di reciproca e ricorsiva influenza. Nell’interpretare il dato di esperienza, gli individui utilizzano le risorse di senso (categorie cognitive ed affettive) e i registri narrativi che si abilitano ad utilizzare in ragione del proprio essere parte di un sistema di appartenenza, di un gruppo sociale, dunque di una cultura. Il libro condivide con questa prospettiva il riconoscimento della natura intersoggettiva e situata dei significati con cui si interpretano l’ambiente sociale e i sistemi di attività. Assumendo quest’ottica in riferimento alla relazione educativa, le “forme” del pensiero proposte dallo studente vanno considerate come strettamente connesse alle caratteristiche del contesto semiotico in cui lo studente è inscritto; contesto che suggerisce e rende possibili alcune interpretazioni dell’esperienza, improbabili altre e impossibili altre ancora. Il volume condivide altresì il riconoscimento del ruolo regolativo del significato sulle modalità e gli esiti delle forme della partecipazione degli studenti agli ambienti di apprendimento. I significati orientano il modo con cui gli studenti percepiscono, vivono, si rapportano al contesto formativo, regolando, solo per citare alcuni aspetti, l’investimento espresso sulle attività proposte, il modo di rapportarsi ai docenti e agli altri studenti, l’uso delle competenze e delle abilità, e, per ciò stesso, gli esiti della propria inscrizione.
Il presente scritto si pone come obiettivo quello di indagare uno degli aspetti del pensiero del ginevrino, quello musicale, considerato a volte, nelle letture ermeneutiche della critica, secondario, per rinvenire nella peculiarità di tale ambito quella unitarietà storica del pensiero di Rousseau e al contempo la sua attualità. This essay aims to investigate one aspect of Rousseau's thought, the musical one, often considered secondary in the critical readings. This aspect is very important to reflect about historical unity of Rousseau’s thought and its actuality.
Partendo da manoscritti inediti di Maurice Merleau-Ponty, che vengono integralmente pubblicati nell'Appendice del testo, si elabora una lettura sul tema dell'improvvisazione quale "campo da pensare" la quotidianità. Due gli intenti perseguiti. Il primo intento tassonomico, è mostrare il carattere non lineare della nozione di improvvisazione proponendone il processo "narrativo" in ambito musicale. Il secondo intento, più teoretico, è mostrare come la dimensione improvvisativa analiticamente distinta dalla dimensione casuale, costituisca, per la fenomenologia di Maurice Merleau-Ponty, un "campo" in cui pensare l'ontologia filosofica nella lettura modulante della Recherche di Marcel Proust.
Con il termine dubbio vengono intese due cose diverse ma più o meno connesse: 1° uno stato soggettivo d’incertezza,cioè una credenza o un’opinione non sufficientemente determinata o l’esitazione a scegliere tra l’asserzione dell’affermazione e l’asserzione della negazione; 2° una situazione oggettiva di indeterminazione o la problematicità di una situazione cioè il suo carattere indeciso rispetto al suo possibile esito o alla sua possibile soluzione. Aristotele riconobbe implicitamente questa dualità di stati quando negò che il dubbio potesse ridursi alla equivalenza dei ragionamenti contrari,perché tale equivalenza è piuttosto ciò che può produrre il dubbio. Tale equivalenza di ragionamenti opposti è la situazione oggettiva di indeterminazione; il dubbio è l’incertezza soggettiva,l’incapacità di decisione che essa comporta. L’ermeneutica del dubbio può schiudere,così,una doppia interpretazione: quella oggettiva e quella soggettiva. Queste due strade coesistono nella situatività del dubbio
La filosofia interrogante che rinviene nella musica il luogo dell'a-filosofia.
In the present work, I bring the lectures of Wittgenstein and Gadamer into contact with the manuscripts of Merleau-Ponty with the intention of going over the construction of the “concept of representation” and of reflecting on the following questions: what place does the aesthetic dimension occupy in human experience? In aesthetic experience, is just as necessary to recognize the emotional profile as the cognitive profile? The point of the departure is that aesthetics must not be understood as a simple perception by the senses. That which no discourse of aesthetics may conceal is its necessary implication of the problematic horizon of perception, following the actual etymology of the term, derived from the Greek aisthēsis. This term contains just as much the subjective and unstable field of sensation as it does the stable field of perceptual discriminations that tend to be structured. The theoretical affirmation is that the experience of the encounter with a work of art unveils a world. No sooner do we stop seeing the work of art as an object and start seeing as a world, then we realize that art reveals itself to be the expedient that clarifies the meaning of our perceptual relationship with the world, this perceptual syntony between the essence of the world and the sensing of subjects, this expressive processuality in which activity and passivity are horizons that can certainly be distinguished in description, but that cooperate internally.
In the present work, I bring the manuscripts of Merleau-Ponty into contact with the lecture of Marcel Proust with the intention of going over the relationship between philosophy and music. Merleau-Ponty exceeds the simple descriptive approach to music and makes it present as an open field in which the nodes of a philosophical interrogation disentangle themselves. The path is that of a philosophy which questions the conceptual faith but does expect an answer in the usual sense because it is not a question of revealing an unknown variable or invariable which will answer this question, and because the world exists in an interrogative mode. Merleau-Ponty in his Proust’s lectures arrives at delimiting a deep relation between this type of philosophy and music, discovering in hearing the place where this relational texture is explicit made. So, what is clarified and revealed is the value of art understood not as lexical, not as a verbal substitute for the world, but as the possibility of leading the silence of things themselves to expression. The relation structure to be reversed: not philosophy in relation with music, but music in relation with philosophy. The theoretical affirmation is that the experience of the encounter with a work of art unveils a world. No sooner we stop seeing the work of art as an object and start seeing as a world, then we realize that art reveals itself to be expedient that clarifies the meaning of our perceptual relationship with the world, this perceptual syntony between the essence of the world and the sens of subjects, this expressive processuality in which activity and passivity are horizons that can certainly be distinguished in description, but that cooperate internally. This is what happens in the petite phrase to Swann, as very source of thought, the moment when it emerges.
Ci sono tematiche che attraversano ambiti diversi e sommessamente intessono con essi delle relazioni significative, orientando l’elaborazione di teorie, e questo è il caso dell’essere del linguaggio. La riflessione che di seguito si propone ha come oggetto l’entrelacs tra segni e significazioni e la ricaduta nella zona di confine psicologico-filosofica, nell’analisi della comunicazione in classe. L’interesse per i temi della comunicazione scaturisce da una prospettiva ermeneutica sul linguaggio, nella costante ricerca di un “senso” da scavare nelle intersezioni tra le parole: il senso abita la catena verbale, la parola opera sempre su uno sfondo di parola, non è mai altro che una piega nell’immenso tessuto del parlare. La teoresi filosofica chiamata ad esprimersi ricolloca le essenze nell’esistenza, una filosofia per la quale il mondo è sempre “già là” prima della riflessione, come una presenza inalienabile. Ed ecco il significato del monito husserliano ritornare alle cose stesse, indica ritornare a questo mondo anteriore alla conoscenza, di cui la conoscenza parla sempre.
In the present work the relation perceptive contains just as much the subjective and unstable field of sensation as it does stable field of preceptual discriminations that tend to be structured. The theoretical statment is that the experience of the encounter with a work of art, especially of music, unveils a word. No sooner do we stop seeing the work of art as an object and start seeing as a world, then we realize that art reveals itself to be expedient that clarifes the meaning of our perceptual relationship with the world, this perceptual syntony between the essence of the world and the sensing of subjects, this expressive processuality in which activity and passivity are horizont that can certainly be distinguished in description, but that cooperate internally.
This essay, which is on the level of a theoretical premise, is part of a more complex work on pedagogical knowledge. It aims at tracing in the philosophical dimension that original level from which not only the various spheres of knowing are based but more generally man’s relationship with others. The expositive structure is the result of a discussion over the years with pedagogist colleagues, in particular with Prof. Nicola Paparella, and represents the attempt to enucleate and bring to light the various threads that interweave the dialectics of philosophy and pedagogy. This theoretical background leads one to consider philosophy as a critical and structural look on pedagogy of which the identity and sense are to be kept, assimilating as its own key stone above all the idea of formation and placing itself, here and now, around the problems of the subject, of the clinic, of epistemology, which it must assume as its vectors. The transposition of certain notions is the acclaimed symptom of applied philosophy and of pedagogic thought in evolution. Some of these words are used in different spheres and quietly interweave with them significant relations, directing the elaboration of theories and the falling into the area of the pedagogical-philosophical boundary. The semantic slide orientates the purpose of educational action, moving from the original field from which it comes, to that of philosophical reflection. And it is precisely in the linguistic area that the field of enquiry can be circumscribed in order to discover that original level at which pedagogic knowledge can be reflected on. In this logical structure philosophical language becomes the reflective symptom of pedagogy: it is the situation of co-feeling between the subjects that comprehension is realized.
In the Being’s folds of language. Signifier vs Meaning in art. Certain manuscripts of Maurice Merleau-Ponty form the center of the investigation pursued in this essay, an investigation within the domain of phenomenological interrogation of language. Language contains the reference to something different from the self. Phenomenology shows that it is being itself that underlies and structures language utterances, which incorporate this structure, and it is precisely because there is structural identity that language can refer to experience. At this level language works by family resemblances, overlapping, and digressions. Example is the language of art, as a chance to lead to expression of the silence of the things themselves.
L'opera, composta da due volumi, è una raccolta di scritti in onore di Giovanni Invitto, studioso, educatore e già docente di Filosofia Teoretica presso l' Università del Salento. I contributi presentati illustrano un disegno unitario che lascia intravvedere la trama di una filosofia quale indagine che ha per oggetto il mondo. I due volumi comprendono ottantuno contributi, riordinati in cinque sezioni, che riprendono, lungo le vie nazionali e internazionali della conoscenza, le tematiche e gli ambiti dello studioso-educatore. Gli scritti sono proposti secondo l'ordine alfabetico degli Autori, ma possono essere letti anche seguendo piste che li accomunano e che sottendono la struttura di ogni sezione, in quanto tutti gli interventi, strutturati in una narratologia dell'indagine socratica, contribuiscono a co-costruire quelle fenomenologie delle "ontologie regionali" che fondano la vita della conoscenza quale apertura umana e intellettuale.
L’insegnante può offrire condizioni e modalità di esercizio alla funzione di apprendimento (definendo/selezionando/organizzando le condizioni su cui il processo ermeneutico si realizza) ma non ne definisce gli esiti. Il cambiamento antropologico dell’utenza scolastica sollecita a considerare la funzione di insegnamento non più solo in chiave “istruttiva”, come azione didattica, ma anche volta a costruire, sviluppare e verificare le condizioni organizzative e di rapporto con l’utenza, necessarie per l’esercizio dell’azione didattica. In questo capitolo si constata il passaggio dal setting istituito al setting istituente: se il setting istituito implica/giustifica una logica di insegnamento che non prevede mediazioni/specificazioni sul cosa, come e perché, il setting istituente richiede una logica negoziale, che, assumendo la pluralità dei punti di vista in gioco, lascia spazio al loro riconoscimento. Lo sviluppo dell’efficacia della formazione scolastica non dipende, dunque, solo dalla qualità contenutistica dell’offerta formativa e dei metodi/strategie di insegnamento, ma soprattutto dalla qualità dell’implicazione/investimento che gli studenti riportano nei confronti della relazione educativa e del rapporto insegnamento/apprendimento. La possibilità di incrementare la qualità dell’implicazione degli studenti si sviluppa nella misura in cui gli studenti sperimentano il contesto scolastico come un contesto di attività aperto all’esplorazione, non solo in quanto dato, ma da costruire e quindi interpretabile, e interpretante. L’analisi dei dati rilevati attraverso l'attività di tirocinio formativo ha focalizzato la dinamica delle interazioni comunicative in classe, in esse si sono rilevati quegli indicatori di sviluppo traducibili in successive iniziative destinate ad attuarlo.
The language of action “construes meaning” not in a situation of observation, but precisely insofar as it informs action in the transaction process that develops between two agents. For this reason the interplay of question and answer in which the concepts of intuition and reflection take on meaning, is not where protocols are expressed. But analysing ordinary language reveals that languages “construe meaning”, even without constatation and without entailing verification There is, therefore, “sense”, not only in constatation, but also in all illocutionary acts, just as there is illocution in a constatation.
Nel saggio si ripercorrono i trent'anni di letture merleau-pontyane, riproponendo la trascrizione e l'interpretazione di alcuni inediti del filosofo francese. Si ottiene così l'impostazione delle letterature critiche, come piattaforma teorica attraverso la quale si giunge a quel radicale ripensamento, non solo all'interno del pernsiero filosofico merleau-pontyano e di questo in rapporto agli altri saperi, ma del costituirsi stesso della filosofia in un riferimento reciproco, continuando, prolungandola, l'eredità della riflessione filosofica francese del Nocevento.
Nel libro è riproposta una lettura di alcuni appunti manoscritti di Michelstaedter e Merleau-Ponty,in parte inediti, in cui si rinviene l’essenza estetica di Beethoven quale forza creativa della risonanza, in cui si concretizza la contemporaneità del movimento specificatamente musicale, melodico-ritmico, con il movimento dell’agire interiore, con il quale si segue lo sviluppo musicale. La riflessione michelstaedteriana su Beethoven è presentata in modo più sistematico, rispetto a quella merleau-pontyana, che avviene attraverso una riflessione più generale all’interno del pensiero musicale, ma in entrambi i filosofi è rintracciabile quella particolare linea di ricerca sulla musica, luogo in cui è possibile liberare un potenziale creativo e al contempo decostruttivo capace di determinare in modo nuovo il sistema di relazioni dei suoni, a partire da un’assenza, una negatività invisibile, un silenzio, che li insidia e li sigilla; appunto, un silenzio, un’assenza, una negatività invisibile sulla quale i suoni si stagliano, si sospendono, e in virtù della quale, quindi, ogni volta si “ottiene una spazializzazione” visibile. La spazializzazione di organismi a “più dimensioni”, la cui tessitura si regge solo per l’infallibile gioco reciproco di rimandi e incastri grazie ad “un’arte della costruzione” incentrata, appunto, sul concetto di “relazione musicale”.
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