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Francesco Gaudioso
Ruolo
Professore Ordinario
Organizzazione
Università del Salento
Dipartimento
Dipartimento di Studi Umanistici
Area Scientifica
Area 11 - Scienze storiche, filosofiche, pedagogiche e psicologiche
Settore Scientifico Disciplinare
M-STO/07 - Storia del Cristianesimo e delle Chiese
Settore ERC 1° livello
SH - Social sciences and humanities
Settore ERC 2° livello
SH6 The Study of the Human Past: Archaeology and history
Settore ERC 3° livello
SH6_7 Early modern history
Il saggio ricostruisce le politiche giurisdizionali che, in età moderna, le autorità centrali del Regno di Napoli adottarono per contrastare la consuetudine «antica e immemorabile» (diffusa anche in Francia, Inghilterra e Spagna) dei cosiddetti testamenti dell'anima, imposti da alcuni vescovi del Regno sui beni dei morti ab intestato, commettendo una serie di abusi (rifiuto della celebrazione di messe di suffragio e della sepoltura ecclesiastica) a danno dei defunti e degli eredi che non accettavano le richieste vescovili, talvolta assai onerose.
Il saggio s’inserisce nella più ampia problematica della storia della famiglia, analizzata attraverso i comportamenti e gli atteggiamenti di natura familiare, educativa e sentimentale. Rispetto agli studi sinora condotti sulla famiglia europea, che hanno privilegiato la documentazione colta e d’élite (diari, autobiografie, libri, memorie, lettere), il lavoro presenta elementi d’innovatività e originalità, per la prospettiva di utilizzare una fonte (quella testamentaria) sinora non adeguatamente sfruttata dagli storici della famiglia.
Il saggio ricostruisce gli atteggiamenti patrimoniali, familiari e religiosi dei sopravvissuti al disastroso e devastante terremoto che, tra il febbraio e il marzo del 1783, rase al suolo la metà dei centri abitati delle odierne province di Catanzaro e Reggio Calabria, provocando la morte di oltre 30.000 persone (il 10% dell'intera popolazione). Il tragico evento macrosismico, oltre a richiedere una difficile e complessa politica di soccorso (a livello centrale e periferico), innescò una serie di comportamenti, attraverso i quali gli scampati manifestarono il forte spirito di rinascita che caratterizzava una società ferita e sconvolta dalla tragedia sismica.
Il saggio analizza, attraverso la letteratura giuridico-religiosa di provenienza ecclesiastica, la teoria e la prassi dei testamenti cosiddetti dell’anima (ad pias causas, in loco defuncti) disposti dai vescovi del Regno di Napoli per supplire all’assenza di volontà di coloro che non avevano voluto (o non avevano potuto per la morte improvvisa) fare testamento in vita per assicurarsi i suffragi post mortem (messe per l’anima, esequie religiose, sepoltura ecclesiastica). Gli interventi ecclesiastici nei casi di morte intestata, con l’imposizione di un atto unilaterale («in nome di lui»), da valere come se il defunto stesso l’avesse ordinato («di sua propria bocca»), per il loro carattere abusivo e odioso, scatenavano il più delle volte la decisa reazione delle autorità civili (centrali e periferiche) e degli stessi eredi, che non accettavano un prelievo forzoso sui beni dei propri parenti morti intestati.
Il saggio ricostruisce le complesse questioni legate alla prassi dei cosiddetti testamenti dell'anima, disposti, per consuetudine «antica e immemorabile» (riscontrata anche in altri Stati italiani ed europei) e in maniera abusiva, dall'episcopato del Regno di Napoli che, nell'esercizio di un preteso ius testandi, imponeva un prelievo forzoso sui beni di coloro che erano morti senza aver fatto alcuna disposizione testamentaria, negando, in caso di resistenza da parte degli eredi, la celebrazione delle messe di suffragio e, in alcuni casi, la sepoltura ecclesiastica ai corpi dei defunti.
Il saggio analizza gli interventi ecclesiastici nei casi di morte repentina e intestata, che, in alcuni Stati europei, a partire dal Medioevo e sino al XVIII secolo, venne regolata dalle autorità ecclesiastiche (soprattutto, vescovi, ma anche vicarii) con l'imposizione, secondo una consuetudine, «antica e immemorabile», dei testamenti cosiddetti in loco defuncti e supra corpus (in Francia e Spagna), dell'anima o ad pias causas (nel Regno di Napoli). In virtù di tale prassi, alcuni vescovi (ma anche vicarii e parroci) si attribuivano la facoltà di sostituirsi ai morti intestati (in loco defuncti) per disporre a loro discrezione di una parte della massa patrimoniale pro anima (messe di suffragio, esequie e sepoltura ecclesiastica) o ad pias causas (legati di culto e beneficenza). Una siffatta pratica veniva applicata, a livello diocesano e parrocchiale, talvolta, in presenza del cadavere (supra corpus), con il consenso degli eredi dei morti intestati, ovvero imposta con la minaccia della scomunica ai vivi e della negazione della sepoltura ecclesiastica ai cadaveri di coloro che erano deceduti senza aver fatto volontariamente, o senza aver potuto fare, per la morte improvvisa e inconfessa, alcuna disposizione a favore della Chiesa per assicurarsi i suffragi post mortem. La questione costituiva un problema assai delicato, che si ripercuoteva sia a livello comunitario (conflittualità per i morti intestati tra vescovi ed eredi, quest'ultimi, talvolta, sostenuti dai governanti locali), sia nella sfera dei rapporti diplomatici e giurisdizionali tra potere politico e potere ecclesiastico.
Come ha rilevato Warren J. Samuels: “Ideas on the economic role of government have been a major source and a major part of the history of economic thought” (Samuels 2005, p. 393). Di conseguenza, la letteratura su tale tema è sconfinata. Il problema diventa ancora più serio se si tenta di incrociare la riflessione sul rapporto tra Stato ed economia, con quella – altrettanto ampia – relativa al dibattito sulla genesi e sui caratteri del “moderno capitalismo”. L’analisi del rapporto tra Stato ed economia nella fase che portò all’affermazione del modo di produzione capitalistico sembra non avere alcuna autonomia con riferimento all’analisi generale di tale tema. Esso viene interpretato come un aspetto non problematico della visione generale costruita in base ai canoni tardo-ottocenteschi , che accreditano l’idea della divaricazione tra Stato ed economia come un tratto generale del “moderno capitalismo”. Secondo tale visione, Stato e istituzioni svolgono nella genesi e nello sviluppo del capitalismo un ruolo marginale e, in qualche modo, “accidentale”, nel senso hegeliano del termine: “un’esistenza che non ha altro maggior valore di un possibile che può non essere allo stesso modo che è” (Hegel 1967, pp. 7-8). In questo contributo, non intendo riflettere sulla vexata quaestio relativa al ruolo dell’intervento pubblico in economia. Ciò su cui intendo richiamare l’attenzione è la scarsa rilevanza interpretativa di questa contrapposizione, specie con riferimento alla nascita del “moderno capitalismo”. Pur non sottovalutando il ruolo del mercato e la “spontaneità” di molti dei fenomeni, che hanno caratterizzato la fase della prima Rivoluzione Industriale, mi sembra utile porre almeno due questioni: 1. le ragioni per cui Smith e gli altri teorici dell’Illuminismo hanno incentrato il loro modello esplicativo sul ruolo del mercato e degli individui; 2. le ragioni per cui Stato e istituzioni politiche non sono oggetto di una riflessione comparabile con quella attribuita al mercato e ai processi di individualizzazione della società dei loro tempi.
Il saggio ricostruisce il quadro criminale e giustiziale determinato dal devastante terremoto che, tra il febbraio e il marzo del 1783, si abbatté sulla Calabria provocando la morte di migliaia di persone e la totale distruzione della metà dei centri abitati. In particolare, sono analizzati gli specifici provvedimenti finalizzati al contenimento della criminalità anche di matrice banditesca, nei cui confronti furono disposte misure indultali rivolte specificamente agli addetti all’agricoltura condannati per reati, i quali, ritornando nei paesi di origine, avrebbero dovuto contribuire alla ripresa demografica ed economica delle comunità danneggiate.
Il saggio ricostruisce i rapporti patrimoniali e le questioni familiari al tempo del disastroso terremoto calabro-messinese del febbraio-marzo 1783, che, oltre a radere al suolo la metà dei centri abitati delle odierne province di Catanzaro e Reggio Calabria, provocò, direttamente o per le conseguenti epidemie, la morte di circa trentamila persone (il 10 per cento dell'intera popolazione). Il tragico e spettacolare evento, se, da un lato, richiese una difficile e complessa azione di soccorso, dall'altro innescò una serie di processi, attraverso i quali la società calabrese del tempo cercò di superare gli effetti indotti dal macrosismo, sia nel breve, sia nel lungo periodo. In tale ottica, il contributo s'avvale, tra l'altro, di una documentazione seriale (gli atti notarili), la cui sistematica utilizzazione con metodologie avanzate ha consentito, attraverso le testimonianze dirette dei notai e dei loro clienti, di ricomporre in un quadro unitario le molteplici spinte alla rinascita di una società segnata dalla catastrofe, che aveva sconvolto gran parte del paesaggio agrario e provocato migliaia di vittime (soprattutto donne e bambini).
Il saggio ricostruisce le complesse questioni conflittuali e giuridico-religiose legate alla prassi dei cosiddetti testamenti dell'anima, disposti, per consuetudine «antica e immemorabile» (riscontrata anche in altri Stati italiani e in Francia, Inghilterra, Spagna) e in maniera abusiva, dall'episcopato del Regno di Napoli che, nell'esercizio di un preteso ius testandi, imponeva un prelievo forzoso sui beni di coloro che erano morti senza aver fatto alcuna disposizione testamentaria, negando, in caso di resistenza da parte degli eredi, la celebrazione delle messe di suffragio e, in alcuni casi, la sepoltura ecclesiastica ai corpi dei defunti. Nonostante il comportamento dell'episcopato del Regno fosse stato già al centro di un'inchiesta promossa nel 1580 dalla Segreteria di Stato di Roma, l'imposizione di tale forma testamentaria scatenerà, anche durante il XVII secolo, un'aspra conflittualità sul piano giurisdizionale tra le autorità vicereali e alcuni vescovi, con una serie di vertenze tra quest'ultimi e gli eredi dei morti ab intestato, talvolta sostenuti, nella difesa degli interessi legittimi, dai governanti locali.
Il saggio ricostruisce la trama dei conflitti tra potere politico e potere ecclesiastico (a livello centrale e periferico) sulla pratica dei cosiddetti testamenti dell'anima (o ad pias causas), imposti, talvolta in maniera abusiva, da alcuni vescovi del Regno di Napoli, i quali, in nome di una consuetudine «antica e immemorabile» (diffusa anche in Francia, Inghilterra e Spagna), si sostituivano alla volontà di coloro che erano morti all'improvviso senza aver potuto disporre pro anima. Questa prassi veniva posta in essere sotto la minaccia della scomunica ai vivi (i parenti e gli eredi dei morti intestati) e della negazione, con esiti tragici e dolorosi, della sepoltura ecclesiastica ai cadaveri dei morti senza testamento
Il saggio, incentrato sull’inchiesta promossa nel 1580 dalla Segreteria di Stato di Roma, d’intesa con la Nunziatura Apostolica e con il viceré di Napoli, analizza, nel più ampio contesto dei rapporti tra Stato e Chiesa (a livello centrale e periferico), la consuetudine («antica e immemorabile») in virtù della quale, nel corso del XVI secolo, i vescovi del Regno di Napoli, attraverso il testamento dell’anima(o ad pias causas), imponevano un prelievo forzoso sui beni di coloro che erano morti senza aver lasciato alcuna disposizione testamentaria, negando, in caso di resistenza da parte degli eredi, la celebrazione delle messe di suffragio e, in alcuni casi, la sepoltura ecclesiastica ai corpi dei defunti.
Il saggio analizza la pratica dei cosiddetti testamenti dell’anima o ad pias causas, imposti, in virtù di una consuetudine «antica e immemorabile», dall’episcopato del Regno di Napoli che, in analogia con quanto avveniva in altri Stati europei, interveniva nei casi di morte improvvisa, redigendo un atto dispositivo in nome di coloro che erano deceduti senza testamento. Questa prassi, a partire dal XVI secolo, sarà al centro di un’aspra conflittualità sul piano giurisdizionale, scatenata dalle denunce presentate al Consiglio Collaterale e alla Delegazione della Real Giurisdizione da quegli eredi dei morti ab intestato, che non intendevano piegarsi alle richieste, talvolta onerose, di certa parte dell’episcopato del Regno di Napoli.
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