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Salvatore Barbagallo
Ruolo
Professore Associato
Organizzazione
Università del Salento
Dipartimento
Dipartimento di Storia Società e Studi sull'Uomo
Area Scientifica
Area 11 - Scienze storiche, filosofiche, pedagogiche e psicologiche
Settore Scientifico Disciplinare
M-STO/02 - Storia Moderna
Settore ERC 1° livello
Non Disponibile
Settore ERC 2° livello
Non Disponibile
Settore ERC 3° livello
Non Disponibile
Per la sua estensione e per la varietà delle sue articolazioni territoriali è difficile ricondurre la realtà economica e produttiva di Terra d’Otranto entro un unico parametro di riferimento. Tra Sette e Ottocento le trasformazioni del suo paesaggio agrario imprimono dinamiche molto diverse tra loro in funzione di spinte che variano in rapporto ai protagonisti e alle condizioni strutturali e congiunturali che agiscono sullo sfondo. Nel corso dell’Ottocento si avvia un più marcato processo di trasformazione dell’agricoltura che trae origine da un miglioramento del sistema produttivo rispetto ai regimi agrari consolidati nel corso dei secoli precedenti. I nuovi investimenti sono il risultato dei processi di ristrutturazione fondiaria e di una più razionale utilizzazione della terra che risponde alle sollecitazioni del mercato. L’incremento delle colture arboree a scapito dei seminativi, dei pascoli e degli incolti segue i ritmi imposti da questi fenomeni e dalle vocazioni ambientali che contribuiscono a sollecitare le nuove strategie produttive promosse da un universo molto eterogeneo di produttori. Il groviglio dei problemi che si nasconde dietro questa realtà appassiona gli studiosi del Mezzogiorno e costituisce una opportunità per comprendere anche il presente.
La personalità di Filippo Briganti (1725-1804) con le sue opere di giurista ed economista si presentava di ben sicura rilevanza e rinviava anche al padre Tommaso (1688-1762), illustre giureconsulto, cui era stata già dedicata positiva attenzione da precedenti studi. Nei due Briganti e nell’ampia rete dei loro rapporti (anche familiari) poteva cogliersi lungo l’intero secolo lo svolgersi, anche nel succedersi generazionale, della cultura dei Lumi nel Salento con le forti e dipendenti connessioni con le vicende politiche civili e intellettuali della capitale Napoli, caratterizzate da un tenace spirito giurisdizionalistico in un ambiente gremito di magistrati e avvocati, impegnati nella costante conflittualità tra potere civile e potere ecclesiastico, tra il ‘trono e l’altare’. Conflitti in cui si scontravano interessi e poteri economico-politici di grande consistenza e lo scontro giurisdizionalistico era nettamente orientato a ridurre gli smisurati privilegi ecclesiastici. Ma erano conflitti tra le filosofie e le scienze moderne che rifiutavano la tradizione aristotelico-scolastica, difesa talvolta da esponenti molto combattivi e informati: si pensi al dotto gesuita Gianbattista de Benedictis (Ostuni 1622 – Roma 1706), che insegnò anche nel collegio gesuitico di Lecce e fu poi a Napoli protagonista di acerrime polemiche contro illustri rappresentanti della vita culturale e civile napoletana, quali Francesco d’Andrea, Lionardo di Capua, il giovane e valente Costantino Grimaldi. Fu costretto ad allontanarsi da Napoli, passò prima in Sicilia e infine si ritirò a Roma.
Il Catasti onciari sono documenti fiscali approntati nel XVIII secolo da Carlo III di Borbone, con questa iniziativa il sovrano intendeva ripartire in maniera più equa il peso delle imposte del regno di Napoli. Questi documenti contengono una serie di dati quantitativi estremamente importanti per gli studiosi di storia economica ma che richiedono complessi passaggi per una elaborazione ed utilizzazione. Attraverso la creazione di una scheda informatizzata si possono rimuovere queste difficoltà e procedere con più agio al lavoro di ricerca.
Le relazioni dei viaggiatori del Settecento e quelle redatte da Giuseppe Maria Galanti per la Corte borbonica sul territorio dell’antica provincia di Terra d’Otranto delineano i caratteri di una struttura economica e di un’agricoltura le cui potenzialità non venivano opportunamente sfruttate. La Statistica murattiana rispecchiava tale assetto, e con il processo di modernizzazione della struttura amministrativa avviata dai Francesi il compito di provvedere a un più razionale utilizzo delle risorse produttive del suolo ricadde sulle Intendenze. Con la Restaurazione di Ferdinando I le Intendenze e le relative attribuzioni amministrative vennero conservate. Pertanto le relazioni predisposte dagli intendenti e lette in occasione dell’apertura del Consiglio Generale della Provincia rilevano con acume e sistematicità le criticità che emergono nell’organizzazione degli assetti agricoli e produttivi salentini. La presente ricerca è stata volutamente limitata nel tempo (infatti sono prese in considerazione le relazioni del 1847 e del 1853) e ristretta ai provvedimenti relativi alla costruzione della rete viaria, ai progetti di bonifica nelle aree palustri e al sistema creditizio.
Gli studi sul periodo che ha reso possibile il sogno dell’unificazione nazionale hanno concorso ad accentuare i caratteri di una retorica risorgimentale che magnifica le tensioni ideali e le gesta epiche di quella generazione di patrioti. Questo atteggiamento ha finito per mettere in ombra i caratteri e la sottile trama della grande e alta prosa sviluppata per raggiungere quell’obiettivo, teso a favorire l’inorientamento dell’Impero asburgico. Tale indirizzo si deve all’intuizione di Cesare Baldo la cui applicazione pratica sarà materialmente e abilmente predisposta da Camillo Benso conte di Cavour. Non a caso, un momento centrale della storia risorgimentale è rappresentato dall’alterco che nel 1858 contrapporrà Cavour a Mazzini. La soluzione cospirativa tesa a promuovere un risveglio delle masse popolari aveva sperimentato il fallimento con i moti del 1848 e con la spedizione di Sapri del 1857. L’attuazione dell’unione italiana doveva avvenire nel quadro di una compatibilità tra gli equilibri della politica internazionale maturati in Europa e talvolta ricorrendo a iniziative “azzardate” che potevano sfruttare i divergenti interessi e le contrapposizioni tra le grandi potenze del continente. La questione orientale, il processo di dissoluzione dell’Impero ottomano e i progetti per imporre un’egemonia Balcanica da parte dell’Impero russo, di quello francese e britannico, divennero un importante banco di prova per la diplomazia sabauda. La politica estera sabauda se da un lato riuscì a formare un corpo diplomatico all’altezza del progetto che intendeva perseguire, ha dovuto dall’altro lato sopperire alle disfunzioni e all’impreparazione dell’esercito piemontese. Dopo il 1848, la borghesia del Regno di Sardegna rinunciò alla riorganizzazione degli apparati militari e demandò questo compito al Re per concentrarsi sulla formazione degli apparati burocratici dello Stato. E mentre quei liberali seppero assolvere il proprio compito, la monarchia, al contrario, si dimostrò del tutto inadeguata a nel riorganizzare gli apparati militari la cui gestione volle a sé riservare.
Attraverso una cospicua documentazione d'archivio relativa al fallimento di un'impresa commerciale di oli fondata da un cadetto di una famiglia feudale di Terra d'Otranto la ricerca cerca di analizzare i caratteri ed il funzionamento del mercato del mercato oleario nel Regno di Napoli. Riprendendo gli studi di Patrick Chorley, John Davis ed Aldo Montaudo la ricerca rileva l'inadeguatezza del sistema sociale nel supportare l'inserimento di imprenditori locali nel mercato oleario del Regno. L'elevato rischio e gli alti costi di transazione, la mancanza di informazioni, una mentalità inadeguata e delle istituzioni inefficienti non favorirono il radicamento di iniziative imprenditoriali a fronte di un commercio oleario ricco e fiorente.
La proposta che l’Autore sviluppa nel saggio che segue inerisce alla possibilità di considerare le vicende del Risorgimento italiano, di cui viene ricostruito il percorso, all’interno di una prospettiva europea. Le trame di questa vicenda storica, del resto, sembrano prestarsi ad una rilettura storiografica alternativa a quella tradizionale, che ha invece scarsamente sottolineato, o ha tradotto in chiave piemontese, l’incedenza di alcuni fatti esteri su quelli nazionali.
Nel 1799 l’occupazione dello Stato pontificio da parte delle armate francesi ed il conseguente esilio del Papa prima in Toscana e successivamente in Francia non indebolì l’azione politica dispiegata dal mondo ecclesiastico. Attraverso le nunziature una fitta rete di rapporti con le maggiori potenze europee vennero avviati ed il Cardinal decano Gianfrancesco Albani diresse questi contatti. Il lavoro ricostruisce queste vicende che provocarono spesso dei malintesi con la Spagna in occasione dell’armistizio di Bologna, e con la Russia per la questione relativa al priorato dell’Ordine di Malta.
I mutamenti nei caratteri della società, del sistema economico e del potere locale di Messina nel XVII secolo sono decisivi per stabilire gli equilibri geopolitici nel Mediterraneo. La ricerca mette a fuoco gli intrecci che si determinano fra i tre piani: quello locale (del nucleo urbano attraverso le sue strutture demografiche, economiche e istituzionali), quello del regno e quello del sistema imperiale spagnolo. Inoltre, attraverso lo studio delle relazione dei consoli veneziani, dei nunzi apostolici e di tutta una diaristica inedita (rintracciata presso la Biblioteca Apostolica Vaticana, e in parte posta in appendice al libro), cerca di interpretare questo complesso fenomeno ricorrendo a strumenti concettuali interdisciplinari. Emerge un quadro interpretativo ricco di implicazioni nelle quali si evince che nei passaggi di scala dal grande al piccolo esiste un filo rosso che può essere ricondotto alla particolare posizione geografica della città posta su un confine tra il Mediterraneo orientale e occidentale, tra l’impero asburgico e quello ottomano, tra gli interessi francesi e quelli britannici.
L’assenza di rilevazioni statistiche sulle superfici agrarie nel Cinquecento e nel Seicento non facilita chiunque volesse avviare una ricerca sul paesaggio agrario in Età moderna. L’indagine avviata su Terra d’Otranto cerca di ricostruire un profilo agrario della Provincia attraverso le descrizioni fornite dagli studiosi coevi, a partire da Antonio De Ferrariis detto il Galateo ne La Iapigia (Liber de situ Iapygiae), da fra’ Leandro Alberti nella Descrittione di tutta Italia e da Girolamo Marciano nella sua Descrizione, origini e successi della Provincia d’Otranto. Da queste ricognizioni che sono delle rappresentazioni fondate sulle impressioni di questi autori si evince, come cita il titolo del presente articolo, una “Mobilità e frantumazione dei quadri ambientali”: ovvero una estrema varietà di colture che mutano anche all’interno di feudi contigui. Nel Settecento e nell’Ottocento le rilevazioni catastali (catasto onciario e catasto murattiano) restituiscono un’immagine del territorio attraverso dati quantitativi che confermano le linee evolutive dell’agricoltura di antico regime consolidatasi nell’area e trasmessaci dagli studiosi nel XVI e XVII secolo.
Artykuł dotyczy znaczenia zawarcia zwiazku małzenskiego pomiedzy królem Polski a ksiezniczka Bari Bona Sforza. Królestwo Neapolitanskie, skad wywodziła sie Bona było na poczatku XVI w. terenem, gdzie intensywnie rozwijały sie idee humanistyczne i renesansowe. Po przedstawieniu ówczesnej sytuacji politycznej i kulturalnej Italii autor opisał okolicznosci, które doprowadziły do tych zaslubin. Po przyjezdzie polskich posłów w Neapolu przez dwa tygodnie trwały turnieje, zabawy oraz bale. Po uroczystosciach weselnych Bona wróciła do Bari, a nastepnie wraz z towarzyszacymi jej dwórkami i słuzba udała sie w podróz. Oblicza sie, iz w droge do Polski wraz z Bona udało sie około trzystu osób. Miały one odegrac olbrzymia role w przeniesieniu kultury renesansowej z Włoch do Polski. The paper deals with the importance of the marriage between the king of Poland and the princess of Bari Bona Sforza. Kingdom of Naples, where Bona was derived, was in the early sixteenth century an area where inten-si vely developed and Renaissance humanist ideas. After the presentation of the political and cultural situation of Italy in the late fifteenth and sixteenth ce-n tury author described the circumstances that led to the marriage. Upon arrival, Polish deputies in Naples for two weeks have been continuous tournaments, games and balls with music and dancing. After the wedding celebration Bona returned to Bari, and then accompanied her mansions and servants went to the port of Manfredonia. It is estimated that the road to Polish Bona succeeded with about three hundred people. They were to play a major role in bringing the culture of the Renaissance from Italy to Polish.
L’articolo è una nota critica sul convegno che si è tenuto a Vibo Valentia dal 2 al 4 ottobre 2008 nel quadro delle iniziative promosse dal Comitato Nazionale per il Bicentenario del Decennio francese (1806-2006) dal titolo Ordine e disordine: amministrazione e mondo militare nel Decennio francese. Con la fine della società di antico regime, fondata sui privilegi dei ceti aristocratico-nobiliari, lentamente si enuclea dal caos, imposto dalla guerra civile francese, un nuovo ordine. L’esperienza napoleonica va, dunque, analizzata non come una fase di passaggio ma come un momento di sperimentazione in cui l’ordine ed il disordine convivono e definiscono quella società nei suoi aspetti intrinseci che si vanno affermando nel campo amministrativo, dell’organizzazione militare, religiosa ed economica. In questo contesto per Napoleone il Regno di Napoli assume una funzione strategica estremamente importante in virtù della sua posizione al centro del Mediterraneo e costituisce un avamposto prezioso per sferrare un attacco nell’Oriente ottomano ed in quello inglese. Questo ruolo determina una brusca accelerazione dei processi di modernizzazione dell’intera società napoletana ma al tempo stesso fa emergere forme di resistenza verso quelle innovazioni. L’abolizione della feudalità ed i provvedimenti per la repressione del brigantaggio assumono un valore emblematico di una realtà meridionale che “non riuscì a concretizzare il cambiamento perché l’elaborazione intellettuale era andata troppo avanti”: infatti “l’eccessiva modernità generò arretratezza”.
Il declino di Otranto in età moderna ridisegna l’organizzazione spaziale dell’antica provincia di Terra d’Otranto e stabilisce un nuovo criterio di centralità urbana. La città di Lecce acquista sempre più i caratteri di una piccola capitale rispetto alle comunità della provincia. I feudatari del territorio circostante spostano in questo nucleo urbano le loro residenze riprendendo, stante la perifericità rispetto alla capitale, i caratteri del modello napoletano di un corpo periferico gracile rispetto a una città ipertrofica. L’identità cittadina deve, quindi, aderire al prestigio nobiliare e la Chiesa deve anch’essa evocare il fasto di una tradizione radicata nel tempo. In questa costruzione identitaria di Lecce si inseriscono gli scontri tra le fazioni coagulate attorno agli ordini religiosi, soprattutto Gesuiti e Teatini, per affermare i riti e l’elevazione dei Santi Patroni. In questo contesto, a metà Seicento, si colloca l’azione del vescovo Luigi Pappacoda il quale, riprendendo alcune idee espresse da Iacopo Antonio Ferrari nella sua Apologia Paradossica della Città di Lecce, intende affermare il prestigio della città evocando su di essa la protezione dei protomartiri Oronzo, Giusto e Fortunato, ed esaltando l’azione del primo vescovo Oronzo nel processo di evangelizzazione di quei territori. Attraverso questa operazione, monsignor Pappacoda, seguendo gli indirizzi tridentini riafferma il potere vescovile rispetto alla politica religiosa e modera l’azione degli Ordini religiosi e delle consorterie che vi ruotano attorno. In tal modo il Capitolo vescovile diventa un’istituzione dove si affrontano, attraverso un’opera di mediazioni, le più importanti questioni relative all’amministrazione della città.
Nel 1806 la feudalità venne abolita e per appianare i conflitti insorti tra feudatari e le Università del regno fu istituita la Giunta della commissione feudale. Attraverso le sentenze di questa commissione il lavoro cerca di mettere in luce i contrasti relativi alle decime, agli jus prohibendi ed alla questione demaniale
Lo sfruttamento commerciale che caratterizzava i rapporti tra le città d’Europa con la provincia di Terra d’Otranto può essere riscontrato sin dai tempi che precedettero l’affermazione degli Angioini. Favorita dalla posizione geografica e dalla rilevante presenza di oliveti, l’antica provincia, nei secoli successivi, divenne il centro dell’economia mondiale capace di attirare gli interessi economici dei grandi gruppi mercantili stranieri. Nella seconda metà del Settecento il porto di Gallipoli rappresentava il principale centro di imbarco di olio della provincia di Terra d’Otranto. Oltre il 70% dell’olio della provincia veniva smerciato attraverso questa città ionica; la maggior parte di esso era inviata all’estero, nel Mar del Nord e nel Mar Baltico, con valori che non costituirono mai meno del 70% del totale esportato, raggiungendo punte che spesso si aggiravano intorno all’85-95%. L’olio prodotto nella zona del Capo di Leuca e nell’hinterland di Gallipoli, destinato attraverso il porto ionico alle principali città del nord Europa (Londra, Amsterdam, Amburgo e Rotterdam), era indispensabile per gli usi industriali di questi paesi che si avviavano verso la prima rivoluzione industriale. Del resto tutto l’olio meridionale era utilizzato in questi luoghi come lubrificante nei processi di filatura, pettinatura e cardatura o era impiegato dalle manifatture francesi come composto necessario, insieme alla soda, per la produzione del sapone. L’organizzazione commerciale di Gallipoli era quasi completamente dipendente dal sistema mercantile ed armatoriale straniero, il quale ogni anno dava luogo ad una cospicua presenza di bastimenti soprattutto stranieri dediti al commercio internazionale. Tale ruolo subalterno di Gallipoli al mercato estero poneva la provincia di Terra d’Otranto in una situazione del tutto particolare in quanto, a differenza della Terra di Bari, esso non consentiva la liberazione di forze autonome e capaci di garantire una maggiore e più vivace intraprendenza economica ed un comportamento imprenditoriale di tipo moderno. Il monopolio esercitato nell’ambito dell’attività agricola e nella distribuzione ad opera di un ristretto nucleo di armatori e di mercanti rendeva particolarmente dura la condizione subalterna della campagna meridionale e del sistema socio-economico della città di Gallipoli, ma tale limite all’autonomia produttiva e commerciale non può essere identificato in un rapporto di natura coloniale tra la capitale del Regno di Napoli o le città d’Europa e la provincia di Terra d’Otranto. Alla presenza di navi “vacanti” dirette nel porto ionico per compiere l’incetta dei prodotti agricoli, soprattutto olio, faceva riscontro una cospicua presenza di navi pronte a smerciare vari prodotti, in particolar modo cerchi di ferro indispensabili per la fabbricazione delle botti. In questo contesto la partecipazione della città di Gallipoli ai traffici regnicoli e internazionali innescò, nella seconda metà del XVIII secolo, una serie di interessi economici in funzione delle richieste di approvvigionamento della pregiata derrata prodotta nell’estrema parte meridionale della provincia di Terra d’Otranto. In particolare, a partire dagli anni Sessanta, le istituzioni annonarie napoletane tentarono in più occasioni di bloccare, con proibizioni o inasprimenti tariffari, l’espansione dei traffici internazionali con lo scopo di convogliare la produzione olearia regnicola verso i depositi della città. Il motivo di tali provvedimenti adottati dal governo scaturiva dalla paura di non poter garantire rifornimenti e scorte olearie sufficienti per far fronte ai problemi di sussistenza della popolazione; forte era infatti la preoccupazione per l’eccessiva rarefazione della derrata sul mercato interno, dovuta non solo alla crescente domanda per il consumo a seguito dell’aumento demografico ma soprattutto alle crisi produttive.
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