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Raffaele Girardi
Ruolo
Professore Associato
Organizzazione
Università degli Studi di Bari Aldo Moro
Dipartimento
DIPARTIMENTO DI LETTERE LINGUE ARTI ITALIANISTICA E CULTURE COMPARATE
Area Scientifica
AREA 10 - Scienze dell'antichità, filologico-letterarie e storico-artistiche
Settore Scientifico Disciplinare
L-FIL-LET/10 - Letteratura Italiana
Settore ERC 1° livello
Non Disponibile
Settore ERC 2° livello
Non Disponibile
Settore ERC 3° livello
Non Disponibile
Sulla base di tutti i dati bio-bibliografici più attendibili, si ricostruisce la storia della formazione umanistica e dell'esperienza intellettuale-professionale di uno scrittore molto in vista nella Bari di mezzo Cinquecento,con una illustrazione delle sue opere, in particolare del dialogo drammatico-narrativo "Il Nennio", un'opera di densa matrice umanistica,dedicata al grande tema della nobiltà delle classi dirigenti, nota all'Europa colta anche in versione tradotta per il pubblico inglese e per quello francese.
Il volume mette a fuoco, da punti di vista diversi, la peculiare teatralità dell'arte novellistica boccacciana, rivolgendo l'attenzione sulla fenomenologia articolatissima e mai scontata dei rapporti fra i generi e gli stili che affiora dalla polifonia del mondo del "Decameron", qui esaminata come archetipo della tradizione novellistica italiana e base genetica della moderna letteratura europea.
L'Introduzione punta ad indicare le linee direttrici di una indagine orientata in senso unitario ad analizzare la funzione anticipatrice che il "Decameron" ha svolto nella storia del racconto moderno come grande opera-mondo, detinata ad irradiare in Europa una nuova idea di esemplarità narrabile, ossia il grande paradigma di una ragione solidale che reagisce all'insidia della dissoluzione con una visione problematica e insieme costruttiva del rapporto con la realtà. Un rapporto che si fa teatro, talora spettacolo di piazza, evento narrazione ad alta intensità scenica. L'inclinazione performativa della novella boccacciana, attraverso il sapido ingrediente dell'ascolto attivo e del commento, è vista come virtù di base del dialogo novellistico inscenato dalla brigata decameroniana
Illustra le motivazioni critiche che hanno suggerito di rivolgere lo sguardo sulla realtà del rapporto fra poesia e disagio mentale, senza indebite incursioni nei territori delle neuroscienze, ma per un disegno di verifica sull’interazione fra alcune forme alte della creazione poetica e le particolari condizioni del disagio mentale, a partire da un dato macroscopico: la natura sfuggente e magmatica di tali relazioni.
Il binomio poesia/salute mentale designa da tempo un complesso ordine di connessioni: da qui l’idea di un confronto a più voci fra saperi diversi. Lo sguardo sulla realtà della clinica, più che un’indebita incursione nei territori delle neuroscienze, è qui un disegno di verifica discreta sull’interazione fra alcune forme alte della creazione poetica e le particolari condizioni del disagio mentale, a partire da un dato macroscopico: la natura sfuggente e magmatica di tali relazioni. Di là dalla teoria (assai diffusa nelle neuroscienze) della connessione genetica fra creatività e malattia mentale, conta la verifica in re, ossia interrogare le forme originali, i linguaggi dell’esperienza poetica come la sede naturale di quelle relazioni. Oggetto d’analisi sono alcune figure di primo piano del Novecento (Campana, Saba, Montale, Rosselli, Merini), testimoni non passivi di una difficile transizione e del conflitto con l’originaria diffidenza della tradizione accademica italiana verso le svolte conoscitive prodotte nel primo Novecento dai saperi del disagio mentale.
Il binomio poesia/salute mentale designa da tempo un complesso ordine di connessioni: da qui l’idea di un confronto a più voci fra saperi diversi. Lo sguardo sulla realtà della clinica, più che un’indebita incursione nei territori delle neuroscienze, è qui un disegno di verifica discreta sull’interazione fra alcune forme alte della creazione poetica e le particolari condizioni del disagio mentale, a partire da un dato macroscopico: la natura sfuggente e magmatica di tali relazioni. Di là dalla teoria (assai diffusa nelle neuroscienze) della connessione genetica fra creatività e malattia mentale, conta la verifica in re, ossia interrogare le forme originali, i linguaggi dell’esperienza poetica come la sede naturale di quelle relazioni. Oggetto d’analisi sono alcune figure di primo piano del Novecento (Campana, Saba, Montale, Rosselli, Merini), testimoni non passivi di una difficile transizione e del conflitto con l’originaria diffidenza della tradizione accademica italiana verso le svolte conoscitive prodotte nel primo Novecento dai saperi del disagio mentale.
Nella lunga alba dell'Europa moderna, sulla scena mediterranea dei racconti qui proposti, dall'epoca dell'anonimo "Novellino" fino a Bandello, affiorano archetipi di un confronto serrato fra civiltà, qui esemplificato da diversi modi di vedere e raccontare l'Oriente islamico. Fra certezze in declino e nascenti aspettative dell'Occidente, è toccato alla novella spingere lo sguardo verso quel nuovo orizzonte di mistero e meraviglia, interpretando così, fra dramma, comicità e parodia,le incongruenze di fondo e le ambizioni del mondo cristiano nel confronto con altri ordini di valori e altre fedi. Ne emerge un'inedita antropologia della frontiera e l'inclinazione a raccontare una speranza di commutazione dell'antico paradigma 'cortese' in un dialogo ricco di nuovi linguaggi.
La forma della notte si propone come un’organica indagine di tipo storico-filologico e stilistico-linguistico a carattere monografico. Partendo da un’ampia ricognizione per fasi e soglie sulla contrastata fortuna del poeta di Marradi, ricostruita – a un secolo esatto dall’esordio a stampa degli Orfici - in stretta connessione con gl’imprevisti sviluppi della conoscenza stessa del corpus campaniano, essa si propone di scandagliare con una strumentazione analitica aggiornata i modi, i tempi e le finalità di un’esperienza poetico-intellettuale sui generis e di rottura all’interno della cultura primonovecentesca, indicando le ragioni che le conferiscono ormai il diritto di essere annoverata fra le più alte nella poesia europea del suo tempo. La drammatica vicenda filologico-editoriale dei Canti Orfici è compulsata con un’attenzione nuova alle complesse mutazioni della quete campaniana, concentrata sì sull’avventura unius libri, ma che l’indagine inquadra (in chiave storico-filologica, alla luce delle più recenti acquisizioni critico-testuali, e in chiave linguistico-stilistica) nella sua veloce eppur ricca diacronia, dai primi tentativi di acerba esecuzione in chiave maudit del disegno ‘orfico’ (il Quaderno) fino al tempo della prima stampa dei Canti - ora compulsati analiticamente nelle loro strutture formali, nel variegato territorio delle loro fonti filosofico-letterarie e nel loro inedito carattere di pensiero poetante, configuranti il profilo di un livre di rilievo europeo - e poi agli incerti esiti d’integrazione (l’utopica idea di ‘rifacimento’, sottesa al progetto del ‘piccolo Faust’), seguendo il filo di un aspro conflitto culturale, che un affollato universo di tracce, di documenti epistolari e di voci coeve fissa come un unicum della vita intellettuale italiana e fa culminare, come l’indagine mostra, in un allucinato, meditativo e nevrotico ‘crepuscolo’, comprensivo di una sconvolgente parentesi erotico-sentimentale (la breve relazione con Sibilla Aleramo) e da un’esperienza creativa residuale, coincidente con il doloroso crescendo di una ‘patologia’ esistenziale destinata al tragico epilogo dell’internamento.
Il libro individua nel Mediterraneo la metafora di un dilemma complesso, nel quale una sindrome della frontiera, del confine oscuro, si misura con il bisogno del varco, con la spinta storicamente ineluttabile allo sconfinamento, all'apertura fiduciosa e al disvelamento dell'ignoto. Esso mira a spiegare come e perché sia stata proprio la letteratura, in particolare la tradizione novellistica, a tenere vivi per secoli il senso multiforme, la varia declinazione storica di quel dilemma e la dialettica di civiltà che n'è scaturita. In quello spazio sterminato di scambio, dove modelli di racconto e linguaggi assai distanti fra loro furono destinati a contaminarsi, un'eterogenea miriade di pratiche retoriche ed 'esemplari', di stili e paradigmi comunicativi, rivendica la virtù (e il diritto) di costruire un'immagine plausibile dell'Altro, il credibile suo ritratto. Lo speciale attrito prodotto nell'Occidente cristiano dal confronto con l'Islam per secoli ha fatto percepire quell'altra fede come una sponda inospitale, specchio inquietante capace di rimandare in terra cristiana, come già mostrano fra Due e Trecento gli 'exempla', le cronache e le raccolte di novelle, immagini deformate o mostruose, oppure turbamenti etico-coscienziali e dubbi conoscitivi che indicano un dissidio tutto interno alla coscienza cristiana, a conferma del fatto che raccontare l'Altro ha sempre significato mettere alla prova i propri modelli mentali e la propria consapevolezza etica. La scrittura novellistica si offre a quella verifica come uno degli strumenti di più alta valenza conoscitiva. Lo mostra genialmente il "Decameron" di Boccaccio, nel quale le fertili utopie di un immaginario laico sono costruite col fervore di una passione ecumenica del tutto nuova, che insegna a neutralizzare con gli strumenti del comico e della parodia l'incubo del confine violato, con una positiva concitazione della scoperta, che arriverà fino a Bandello: è l'utopia sommessa di un dialogo nuovo con un Oriente ancora remoto e così gravido di sconosciuta 'meraviglia'.
The article shows the development of the ‘infidel’ topos in several genres and authors starting from the second half of the thirteenth to the fourteenth century. A special attention is dedicated to the reception of the figures of Mohammed and of Hassan-i Sabbah, and to the ‘moralized’ representation of the East as space of the marvellous, aiming to analyse the distance from chronicle (Giovanni Villani, Pucci, etc.) to the novella (Boccaccio, Sercambi).
Il racconto decameroniano di frate Cipolla è analizzato come esempio di geniale parodia del medievale culto delle reliquie, che reinventa un tema tradizionale (la devozione verso la penna dell’arcangelo gabriele), reinserendovi una vicenda di di gusto serio-comico. Nella memoria letteraria di Boccaccio la figura dell’arcangelo Gabriele si connette con una questione dottrinaria e polemica destinata a grande fortuna fra i cronisti e i novellieri medievali: l’ ‘exercitium in fraudando’ dell’ambiente monastico e di quello antoniano in particolare, svolto da frate Cipolla con sofisticati ingredienti comunicativi, che lo destinano alla funzione comico-allusiva di una ‘confabulatio’ di piazza rivolta a parodiare i modi della retorica omiletica, che ritornerà nella facezia satirica di Poggio Bracciolini.
Il saggio analizza le varie forme retoriche del riso boccacciano e le sue oscillazioni all'interno del grande diagramma di"gravitas" e "levitas", in una ripetuta alternanza fra elementi spettacolari e grottesco. Le forme del riso dubbioso e inquietante, in particolare, s'intrecciano con quelle del riso coinvolgente e plateale,andando al di là del semplice repertorio della beffa. Il riso dunque come struttura profonda di una retorica duttile, mobile e polisemica: un grande gioco del linguaggio, che riattraversa la cultura degli 'exempla' con una strategia di riaccostamento sagace, distanziante e dialettico all'universo delle tradizioni popolari, rivolto ad una salutare 'detronizzazione' dell'idiozia sociale, dove la parola, in forza di una missione parodica, si dota di una nuova e assai più duttile forza di ammaestramento etico.
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