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Elisabetta Caroppo
Ruolo
Ricercatore
Organizzazione
Università del Salento
Dipartimento
Dipartimento di Storia Società e Studi sull'Uomo
Area Scientifica
Area 11 - Scienze storiche, filosofiche, pedagogiche e psicologiche
Settore Scientifico Disciplinare
M-STO/04 - Storia Contemporanea
Settore ERC 1° livello
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Settore ERC 2° livello
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Settore ERC 3° livello
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According to the most recent contributions of Italian Contemporary Historiography about the commons, this paper intends to retrace the main phases of the so-called process of the decline of the commons in Southern Italy, from the 1800s until the beginning of the 1900s, conducted in the context of a most wide program of socio-economic transformation based on the consideration of civic uses and common properties as weights to be removed in favor of the full right to own property. In the present essay, the attention is focused on the case of the ancient province of Terra d’Otranto – now including the provinces of Lecce, Brindisi and Taranto – in order to retrace the several social conflicts triggered by the dismantlement of the civic uses and commons properties.
Tra la fine dell’Ottocento e i primi anni del Novecento matura in Europa un “movimento a favore delle classi medie”, schiacciate dal capitalismo monopolistico e dalla grande concentrazione industriale. In questo contesto nasce nel 1903 a Stoccarda, ma con sede operativa a Bruxelles, l’Istituto internazionale per le classi medie, un organismo a cui partecipano diversi governi del tempo con l’obiettivo di studiare e proporre strategie per ovviare ai problemi di questi gruppi sociali. Attraverso pubblicazioni, convegni nazionali e anche congressi internazionali, una delle questioni principali affrontate è quella della previdenza e dell’assicurazione sociale a loro vantaggio. Alla luce di tutto questo, il saggio si sofferma sul rapporto dell’Istituto internazionale per le classi medie con le prime forme di tutela sociale e previdenziale pensate in Europa a favore dei ceti medi nella prima metà del Novecento. Una specifica attenzione è riservata al caso dell’Italia, tra i principali protagonisti del dibattito internazionale su questi temi e tra i principali paesi ispirati al modello tedesco.
Il saggio si inserisce nell’attuale dibattito sulla formazione delle nazioni contemporanee e sui processi di costruzione dello Stato in Italia, con particolare riferimento al contributo del Mezzogiorno alla causa risorgimentale. In esso si analizzano, utilizzando documentazione diversa (processi politici conservati presso l’Archivio di Stato di Lecce, carte relative agli esuli nel Regno di Sardegna presso l’Archivio di Stato di Torino, lettere a Garibaldi, fonti coeve a stampa, ecc.), i canali della politicizzazione che si innescano nell’antica provincia di Terra d’Otranto (corrispondente alle attuali province di Brindisi, Lecce e Taranto) tra gli anni Venti e l’Unità. In quest’ottica, si individuano tre momenti cruciali per capire i termini concreti attraverso cui quest’area del Mezzogiorno si inserì nel circuito di costruzione dell’Unità nazionale, e cioè la lotta politica maturata attorno al 1848; l’esperienza dell’esilio successiva al fallimento dei moti del ’48; la mitizzazione nazionale della figura di Garibaldi creatasi all’incirca attorno al 1860. L’attenzione, in particolare, si focalizza sul rapporto dei ceti popolari (soprattutto artigiani e piccoli commercianti) con la causa nazionale, rapporto che rivela meccanismi di partecipazione convinta ma spesso anche complessa e conflittuale.
Fuori dalla retorica e dai revisionismi arbitrari e strumentali, il volume si interroga sul ruolo del Mezzogiorno nel fare l'Italia e nel costruire lo Stato-nazione lungo il Risorgimento e fino ai primi cinquant'anni unitari. Lo fa chiamando in causa il dialogo tra specialismi diversi con proposte di ricerche originali i cui esiti dal caso studio convergono verso linee interpretative più generali. Intanto il problema della partecipazione alla causa patriottica; emerge dai lavori la presenza di figure collocabili nei gruppi dirigenti, ma anche quella di un popolo minuto, di figure più "nascoste": di artieri, bottegai, modesti commercianti, di artigiani/strumentisti componenti le bande musicali e per la maggior parte analfabeti. Viene così messa alla prova la categoria di "rivoluzione", ma anche quella di "controrivoluzione", "guerra civile", "conflittualità". Dopo l'Unità, di fronte alle complesse problematiche legate alla transizione e al progetto di nazionalizzazione, si ricorre ai canali istituzionali (scuola, esercito, famiglia) ma si mettono anche in campo pratiche e modalità diverse per educare e sollecitare senso comune: oltre a scritture e a comunicazione orale, particolare uso di immagini e suoni, di cifre artistiche e architettoniche, di offerta di modelli nazionali nei costumi, nella moda, negli stili di vita, nelle quotidianità.
Sulla base degli apporti di Crossick, Haupt, Kurgan-Van Hentenryk, ecc. sull’internazionalismo e le classi medie in Europa tra il 1880 e il 1914, il saggio si sofferma sul rapporto dell’Italia con la “crisi delle classi medie” lamentata in diversi Stati del continente tra Ottocento e Novecento. Attraverso gli atti dei Congressi organizzati dall’Institut international pour l’étude du problème des classes moyennes (Internationaler Verband zur Studium der Verhältnisse des Mittelstandes) e soprattutto di una serie di scritti coevi prodotti in Italia a partire dal ‘900, emerge un’attiva partecipazione italiana alle iniziative e alla vita organizzativa dell’Istituto e un interessante dibattito sul significato di “classi medie”, sulle loro condizioni di vita materiali e sulle possibili misure di intervento dello Stato nei loro confronti.
All’interno dei più attuali orientamenti storiografici sul rapporto del Mezzogiorno con il Risorgimento italiano e, in particolare, sulle modalità concrete attraverso le quali avvenne il passaggio dai Borbone ai Savoia e sulle scelte avviate dalla classe dirigente liberale nelle prime fasi del processo di edificazione del nuovo Stato, il saggio riflette, alla luce di tre recenti contributi di Ennio Corvaglia, su tre figure di intellettuali che rivestirono ruoli di spicco durante la fase costituzionale del ’48 borbonico e poi inserite, sin dal crollo del regime borbonico, nei vertici del nuovo Stato liberale: Raffaele de Cesare, Giovanni Manna e Costantino Baer. Quel che emerge è la complessità delle loro posizioni, spesso ambigue o comunque per nulla lineari, a conferma della necessità di riflettere più attentamente sui caratteri effettivi del liberalismo meridionale, troppo spesso identificato in una sorta di “uniforme” politica perseguita dalla Destra storica senza invece porre il giusto riguardo alla portata e alla varietà delle sue proposte interne, i cui contenuti variarono spesso a seconda dei tempi o divennero espressione di ipotesi alternative di modernizzazione.
Il volume ripercorre la storia e l’attività dell’Istituto internazionale per lo studio del problema delle classi medie nel corso della prima metà del XX secolo. l’organismo, crocevia di matrici culturali e teoriche diverse, che si rifanno, tra gli altri, a F. le Play, G. Schmoller e L. Luzzatti, nasce a Stoccarda nel 1903 e stabilisce la propria sede operativa a Bruxelles. In esso intellettuali, scienziati sociali,funzionari di stato, esponenti di organizzazioni private si propongono di raccogliere materiale informativo sulla situazione delle classi medie in Europa e nel mondo, di analizzare le misure avviate a loro sostegno dai governi, di progettare politiche di pacificazione e di sviluppo “armonioso” della società. Sulla base di fonti inedite, costituite principalmente dagli atti dei Congressi organizzati dall’istituto in varie città e capitali europee, la ricerca si confronta col problema della sfuggente definizione delle “classi medie” e si concentra su questioni storiografiche ancora poco esplorate. tra queste, le finalità e i caratteri dell’internazionalismo a favore di questi gruppi sociali, le ricadute sulle politiche interne ed estere degli stati, i risvolti organizzativi e associazionistici, il rapporto con la crisi dei sistemi liberali. Particolare attenzione è rivolta all’Italia per il ruolo di primo piano che i suoi rappresentanti svolgono all’interno dell’istituto.
Il saggio analizza l’imprenditorialità turistica che, dal secondo dopoguerra agli anni ’60 del XIX secolo, si sviluppa in alcune parti della cosiddetta “zona tipica dei trulli”, uno dei tre comprensori turistici pugliesi individuati dalle leggi dell’intervento straordinario e compresa tra le attuali province di Brindisi, Taranto e Bari. L’attenzione si focalizza sull’area settentrionale della provincia di Brindisi, dove, in tutto il periodo considerato, matura un’imprenditorialità turistica in gran parte avviata, guidata e sostenuta da enti ed operatori locali e provinciali. Con gli interventi decisi in occasione del “convegno interprovinciale per la valorizzazione turistica della zona tipica dei trulli”, infatti, promosso nel 1953 dalle amministrazioni provinciali di Brindisi, Bari e Taranto, insieme con gli Enti provinciali per il turismo di Brindisi e Bari e con i comuni della zona in questione, prendono vita diverse iniziative imprenditoriali, soprattutto nel campo della viabilità e della ricettività. In una realtà dai flussi turistici provinciali e di villeggiatura, sono prevalentemente i mezzi di trasporto e i servizi ad assicurare uno sviluppo imprenditoriale turistico, mentre più grosse difficoltà registra la ricettività locale. Inoltre, rispetto all’area più interna, è quella costiera a richiamare i maggiori interventi imprenditoriali, come nel caso del complesso termo-balneare di Torre Canne, per effetto soprattutto della balneazione e del mare.
Sulla scia di alcuni contributi degli ultimi anni di Storia del turismo nel Mezzogiorno d’Italia, che hanno posto attenzione, in particolare, sul ruolo rivestito dalla politica e dalle istituzioni pubbliche sullo sviluppo del fenomeno turistico nel corso del Novecento, il saggio analizza il caso della provincia di Brindisi compreso tra il fascismo e gli anni ’90 del secolo scorso. Si tratta di un’area periferica che, pur all’interno di una serie di ritardi, limiti e contraddizioni del turismo meridionale, è investita nel periodo considerato da significative prospettive di promozione turistica, di cui si rendono protagonisti diversi amministratori ed enti locali soprattutto sul fronte dello sviluppo della ricettività e della valorizzazione della zona settentrionale del Brindisino (la cosiddetta “zona tipica dei trulli”).
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