Effettua una ricerca
Michele Mangini
Ruolo
Professore Associato
Organizzazione
Università degli Studi di Bari Aldo Moro
Dipartimento
DIPARTIMENTO DI GIURISPRUDENZA
Area Scientifica
AREA 12 - Scienze giuridiche
Settore Scientifico Disciplinare
IUS/20 - Filosofia del Diritto
Settore ERC 1° livello
Non Disponibile
Settore ERC 2° livello
Non Disponibile
Settore ERC 3° livello
Non Disponibile
Qualche breve cenno introduttivo all’ambito delle questioni trattate in questo saggio è doveroso prima di inoltrarsi nella discussione degli aspetti più problematici. Innanzitutto, per sgombrare il campo da equivoci nella comprensione, devo sottolineare che questo non è un lavoro nell’ambito del diritto penale italiano e, quindi, non intende offrire una disamina completa e puntuale delle problematiche relative al delitto degli atti osceni nel diritto italiano né, tantomeno, in ambito di common law anglosassone. Invece, si utilizzano materiali di dottrina e giurisprudenza provenienti da ambedue gli ambiti per una discussione il cui tenore si può ricondurre allo stile filosofico-analitico di tradizione anglosassone, laddove i temi trattati sono temi che richiedono soluzioni normative – e non soltanto analisi linguistiche, come per certa parte della filosofia analitica. In secondo luogo, va precisato che il punto di vista normativo che si assume come punto di riferimento della discussione è quello del liberalismo, quale teoria politica, morale e giuridica. Ciò significa, per anticipare in due parole ciò che merita di ricevere maggiore discussione in seguito, che fa problema – dal punto di vista liberale – qualsiasi limitazione della libertà individuale per ragioni non legate alla protezione di un interesse individuale ben definito. Dunque, è problematica per certi autori liberali la obscenity law nel momento in cui fa riferimento a offenses piuttosto che ad harms. La distinzione non è facilmente traducibile in italiano perché il nostro diritto penale non riconosce né distingue quelle categorie di delitti, in quanto la prospettiva giuspenalistica italiana non corrisponde per tanti versi a quella anglosassone della centralità della libertà individuale rispetto alla quale i limiti imposti dalle norme penali devono essere contenuti quanto possibile. Per certa prospettiva anglosassone, mentre la tutela penale nei casi di danno (harm) appare meno controversa (nonostante tutti i problemi legati alla definizione del concetto), invece per la offense le difficoltà di definire una tutela penalistica e, quindi, limiti alla libertà altrui, deriva dal fatto che il termine è chiamato a “coprire l’intera miscellanea di stati mentali universalmente sgraditi” e certo non tutti possono essere considerati degni di tutela penale. Invece, nel codice penale italiano il delitto di atti osceni rientra nella teoria del reato che ruota intorno alla sua offensività, ovvero alla lesione di interessi tutelati dallo stato, principio accolto anche dalla Costituzione italiana, secondo certa dottrina. È, invece, alle distinzioni di dottrina tra reati senza offesa e senza vittime che dovremmo guardare per cogliere le categorie giuspenalistiche con le quali si affronta l’analisi del delitto di oscenità. In terzo luogo, è importante focalizzare fin d’ora i problemi normativi cui da luogo il concetto di ‘danno morale’ cui facciamo riferimento come categoria filosofico-morale potenzialmente utile a giustificare la sanzione delle oscenità. Nella prospettiva liberale che, come si è detto, si adotta qui le sanzioni penali possono limitare la libertà individuale soltanto quando questa danneggi un ‘interesse’. Il danno (harm) è tale quando colpisce un interesse individuale – ma non soltanto – al benessere, socialmente o economicamente riconoscibile. Il ‘danno morale’ (moral harm) è un concetto assai controverso per il punto di vista liberale perché presuppone che si possa riconoscere ciò che ha valore morale per l’agente, indipendentemente da quel che lei/lui vuole. Gli interessi sono legati a quel che vogliamo, scegliamo, desideriamo e, quindi, dipendono necessariamente dal giudizio dell’agente. Invece, il ‘danno morale’ è un concetto ideal-regarding, legato ad una teoria che definisce ciò che è bene per l’agente indipendente
Abstract In contemporary society, as in classical Greece, we need citizens that deliberate well both for themselves and for society overall. Different competitors contend about the right principles in the theory of education. This paper holds that ‘character education’, descending from the ancient ethics of virtues, still represents the best option available for people who want to deliberate well for the common good. A special place in deliberation is taken by legal reasoning because the law is central in the distribution of goods in our society. Rather than focusing only on rules and principles I follow the EV approach and focus on the qualities of the good decision-maker, the reasonable judge. The intellectual virtues of phronesis and techné combine those personal and professional qualities that we want at work in any judge. But it is the exercise of the civic art of rhetoric that expresses at best the public dimension of the reasonable judge.
Many contend that liberalism is weak from the point of view of value orientation, because it neglects that central part of human experience which is expressed by substantive ideas of the good, such as human flourishing, the good life, human goodness, and the like. This paper argues that there is a long tradition, in the Western culture, of a substantive view of human goodness revolving around the notion of ‘virtues’. This tradition is supportive of, and still belongs to, liberal political theory insofar as one accepts the assumption that the cultural (and especially the ethical) presuppositions of liberalism are (at least, partly) embodied in natural law. The work of ‘retrieval’ and analysis necessary to forward this argument will be founded on a few claims concerning the compatibility between the ethical core of the virtues and liberalism. The substantive proposal of human goodness that is put forward, named ‘agency goods perfectionism’, is an attempt at establishing some continuity between a morality based on the virtues, in agreement with the natural law tradition, and a political morality in which liberal pluralism is balanced by some degree of value orientation through ‘general and vague’ conceptions of the virtues. The argument is aimed at showing more overlap than what is usually accepted between, on one hand, a secular political theory such as liberalism and, on the other hand, a religiously inspired conception such as natural law. In order to defend this thesis, this paper challenges some competing substantive ethical theories, such as objective list theories and new natural law theory; which are also aimed at addressing the problem of value-orientation, but from a perspective that is threatening the fundamental liberal presupposition of freedom of choice. The inquiry will follow a sort of chronological path, starting with the revival of the ethics of virtues in the last decades. It will then tackle one of the most plausible contemporary theories of the good; namely, perfectionism. Besides, it will carefully consider classical natural law theory, whose ethical core is assumed to be a conception of the virtues that promises to dovetail nicely with a liberal type of perfectionism.
Esiste un'etica democratica o, piuttosto, come da molte parti si sostiene, la democrazia è soltanto questione procedurale, partecipativa o deliberativa? In questo libro non si argomenta a favore dei presupposti etici della democrazia ma si assume che almeno tre approcci etici contribuiscano a costituire la condizione del cittadino della democrazia: l'etica delle virtù, l'etica dei diritti e l'etica dell'utilità. La prima è importante non per il suo antico lignaggio ma perché, nonostante il fatto che sia meno riconosciuta dai contemporanei, continua comunque ad influenzare le scelte di valore dei cittadini delle società democratiche. Non occorre dire, invece, che l'etica dei diritti e l'etica dell'utilità rappresentano le dimensioni di valore e di giudizio più diffuse nell'Occidente contemporaneo. Virtù, diritti e utilità costituiscono le dimensioni del valore più rilevanti sia nel ragionamento pratico sia in quello giuridico in questo libro si sostiene la tesi che non si possa dare netta censura tra etica e diritto e che le dimensioni del valore ora ricordate si riscontrino in parallelo sia nel ragionamento pratico sia in quello giuridico. Tuttavia l'etica normativa non è soltanto questione di speculazioni astratte ma tocca il cuore delle persone, laddove assume le sembianze delle etiche applicate: etica ambientale, etica degli affari, bioetica ed etica territorio. È in questi ambiti che ragionamento pratico giuridico sono messi alla prova e devono fare affidamento su virtù, diritti e utilità.
Il revival della EV si delinea sullo sfondo di un panorama di teorie morali moderne non inclini a curare l’agente e il suo carattere, né il valore delle emozioni né la deliberazione razionale in tema di vita buona. Nella complessità dei contributi portati alla nuova EV da autori noti anche per altri interessi teorici, come B.Williams e A.MacIntyre, e della pletora di contributi offerti da specialisti delle virtù in una varietà di antologie contemporanee possiamo scorgere alcuni interessi persistenti a recuperare quei temi dell’etica antica già notati, smarriti dalle teorie morali dominanti, utilitariste e kantiane. Tuttavia, si deve ricordare che i maggiori autori utilitaristi e Kant non hanno ignorato le virtù e soprattutto in quest’ultimo si può trovare una EV che deve far riflettere sulle ‘distorsioni’ del dibattito contemporaneo. Degna di nota è anche l’importanza delle virtù nell’etica cristiana (tomistica) che ha molto in comune con la EV di discendenza aristotelica: è possibile argomentare per una linea comune che scavalchi la radicale linea divisoria attuale. Infine, il revival delle virtù ha portato anche ad una rinascita di interesse nel campo filosofico politico con un dibattito vivace sulle virtù civiche tra autori liberali e repubblicani.
La teoria democratica si presenta sotto vari profili – diretta, partecipativa, procedurale, deliberativa – che, in un modo o nell’altro, sotto diretti a risolvere la ben nota “crisi della democrazia”. Per comparare e comprendere i differenti meccanismi articolati dai differenti modelli il campo di prova della governance urbana è ricco e stimolante, date le sue ricadute molto concrete sulla vita dei cittadini, come i casi scelti dimostrano. Può la società democratica risolvere la sua “crisi” chiamando i cittadini ad una maggiore partecipazione alle procedure decisionali? E’ la domanda che, sotto vari profili, si pongono in modo interdisciplinare studiosi di teoria politica e di governance urbana a partire da una indagine empirica che si concentra su due casi difficili di governo del territorio: Taranto e Manfredonia. Si può avanzare l’ipotesi che, se la partecipazione non risolve i problemi, quantomeno aiuta a costruire una cittadinanza consapevole e informata rispetto a scelte pubbliche di grande impatto per la vita dei cittadini.
Il codice etico nelle università, così come è stato nelle aziende, può essere un utile strumento per modificare in meglio un atteggiamento culturale che ha portato a molte storture comportamentali. Il codice etico barese, se applicato coerentemente e "vissuto" da tutte le componenti dell'università, può essere una occasione di riscatto, purché nei suoi destinatari si accompagni quella "cultura etica" che è a fondamento dell'efficacia di qualsiasi codice etico.
Le sfide con le quali si deve confrontare la teoria liberale in una società complessa, multiculturale e globalizzata hanno inserito nuovi elementi eterogenei all’interno di un quadro le cui coordinate sono essenzialmente quelle della giustizia distributiva: chi deve avere cosa e in che misura. Si tratta soprattutto di problemi di eguaglianza vs. libertà di individui ben identificati entro lo Stato liberale. In un secondo tempo il dibattito liberale ha conosciuto almeno due importanti sterzate: da un lato, si è sollevato il problema dell’identità degli individui che entrano nel raggio della giustizia liberale e dell’importanza di rappresentare quegli individui come «comunità», legate da vincoli di qualche genere, anziché come individui isolati. Dall’altro ha ripreso vigore l’antico dibattito sulle virtù che guarda a una personalità morale più stratificata e «situata» anziché ridotta a diritti e utilità, come per il liberalismo classico. In entrambi i casi l’aria soffiata da questi elementi nuovi ha indotto molti liberali a interrogarsi sul «primato del giusto sul bene», per usare le parole di Rawls, ed a chiamare in causa alternative teoriche in cui il bene fosse meno minimale di quanto proposto dal liberalismo dominante a là Rawls. La riflessione sul perfezionismo all’interno della teoria liberale nasce nel movimento di pensiero cui si è appena accennato ma può contribuire utilmente anche a risolvere problemi posti da multiculturalismo e globalizzazione. Tuttavia, va detto già in partenza che il perfezionismo si presenta soprattutto come teoria «personale», del benessere individuale, e soltanto in un secondo tempo si introduce nell’agone politico. È emblematico il caso della teoria aristotelica, capostipite di tutte le teorie perfezioniste occidentali, in cui la politica segue anche cronologicamente lo sviluppo di un’etica individuale. Le potenzialità politiche offerte dal perfezionismo rispetto alle problematiche del multiculturalismo e della globalizzazione verranno, quindi, toccate nelle battute conclusive del nostro discorso. I passaggi attraverso i quali ci accosteremo al problema del perfezionismo politico devono necessariamente gettare luce sulla natura del perfezionismo, sui suoi elementi principali e sui vari modelli che l’offerta teorica contemporanea ci propone. Con questa breve disamina non possiamo pretendere di esaurire tutte le problematiche legate al perfezionismo ma vogliamo almeno contribuire a illuminare la rilevanza del perfezionismo per l’etica e la politica che spesso i liberali tendono a trascurare.
El Derecho natural en el mundo de las nuevas tecnologías ha sufrido una cierta conmoción como de todos es sabido y podemos constatar día a día en nuestro operativo científico cotidiano. La aparición de internet hace que tengan que definirse de nuevo las categorías éticas, legales y morales, aunque sea solo matizando lo que siempre han sido. La relación entre Ética y Derecho también presenta facetas nuevas. Villey no sabemos de qué forma habría reaccionado ante internet, lo que sí está claro es que hay un referente que no se puede modificar y este es el de la «obligación de respetar la grandeza de la persona humana y su libertad moral». La idea de bien común resulta igualmente paradigmática en el planteamiento de la filosofía de Michel Villey, quien la toma de Santo Tomás de Aquino. En una segunda parte del trabajo se abordan las tesis tomistas sobre el Derecho e internet. Continúa el artículo explicando los argumentos liberales en favor de la libertad en internet y, por otro lado, las posiciones conservadoras contrarias que postulan una regulación legal del funcionamiento y de los contenidos que se recogen en internet. La conclusion es clara, ya que partiendo del aristotelismo se puede construir un modelo moderno y perfeccionado del Derecho natural, centrado en las virtudes humanas.
Does a version of virtue ethics develop within a singular tradition? Is it possible to provide a conception of the life in a polis (a political community) without appealing to a theory of virtue? In the contemporary debate, sometimes the notion of virtue is considered outdated; on the contrary, some authors, such as A. MacIntyre, responsible for the revival of the virtue ethics, put forth the idea that there are incommensurable philosophical traditions and that, as a consequence, there are incommunicable catalogues of virtues. The reaction of thinkers wedded to the liberal tradition, such as J. Rawls, W. Galston and P. Macedo, focuses on the importance of certain liberal virtues, typical of a pluralistic conception the good. However, also this tradition proves to be weak, since it does not develop an ethics of human character. A compelling argument for an Aristotelian virtue ethics can be found in Aristotle Rhetoric. Rhetoric relies on the ideals of justice and truth and proves to be a fundamental factor of the process of decision making in politics (in general, in the broader context of the social life). The most important features of the orator’s persuasiveness are logical arguments, phronesis and, in general, virtues and benevolence (1378 a 8). According to Aristotle, the social process of decision making is efficient within a tradition only if it is supported by an ethics of character. In this view, phronesis has great importance and requires a deep analysis, also in relation to juridical reasoning.
An approach founded on virtue-ethics has gradually found its way in business ethics (BE). Despite the field be largely dominated by Kantian, utilitarian and contractualist (Rawlsian) theories, a sound virtue-based understanding of BE takes concepts such as community, excellence, membership, integrity and phronesis as central normative concepts. Natural law thinking is traditionally committed with social problems in general and with economic conduct in particular, following specially Thomistic teaching. However, notwithstanding the weight of virtues for the Aquinas, a relevant part of contemporary Thomistic ethics seems to address the problems of BE only in terms of moral principles. This is true as well of the so called school of new natural law theory (NNLT) – though with its own peculiarities – which sets its way apart from the tradition of natural law on at least three important accounts: first, it emphasizes the independence of practical reason from metaphysics and speculative reason; second, it defines a list of basic human goods which include all that counts towards the good life; third, it is crucial that the basic goods are incommensurable among themselves, leading to no natural order nor hierarchy prior to individual choice. All these features are, in my view, detrimental to a correct understanding of ethics in general and of BE in particular. I contend that the list(s) of basic goods propounded by NNLT is not enough to define a satisfactory ethical approach – able to show a desirable way of life for the agents – because it remains dominated by moral principles – which can only show agents their limits of action with regards to others’ freedom. This is specially true for NNLT where the virtue approach is reconceived by theorists such as Finnis and Grisez in terms of modes of pursuing basic goods or “modes of responsibility” toward integral human fulfilment. With regard to a virtue-based understanding of BE, where concepts such as the aforementioned “community, excellence, membership, integrity and phronesis” are given a central place to foster both the agent’s development and his/her belonging to a certain social context, NNLT emphasis on integral human fulfilment and the modes of responsibility seems to offer only a limited understanding of (business) ethics. It is an understanding in which the “moral burden” of the modes of responsibility hinders the full potentiality of the virtues in the field of business and management. This is so because the understanding of virtues as modes of responsibility prevents their working as modes of personal development of the agent within his/her own community of business and, further, prevents someone to work within a business community as an agent who wants to develop his/her talents with a view to the common good of the political community where he/she lives.
Condividi questo sito sui social