Effettua una ricerca
Andrea Lovato
Ruolo
Professore Ordinario
Organizzazione
Università degli Studi di Bari Aldo Moro
Dipartimento
DIPARTIMENTO DI GIURISPRUDENZA
Area Scientifica
AREA 12 - Scienze giuridiche
Settore Scientifico Disciplinare
IUS/18 - Diritto Romano e Diritti dell'Antichità
Settore ERC 1° livello
Non Disponibile
Settore ERC 2° livello
Non Disponibile
Settore ERC 3° livello
Non Disponibile
Il saggio si propone di studiare le modalità e le funzioni delle misure restrittive della libertà personale, attuate – negli ultimi secoli dell’Impero – mediante il contenimento fisico dell’imputato o del condannato. Rilevano, in particolare, le misure coercitive inflitte dai titolari dei poteri di imperium e di coercitio (vincula publica), al fine di prevenire o reprimere le trasgressioni all’ordine pubblico, nonché quelle adottate dai proprietari nei confronti dei propri servi (vincula privata), nell’esercizio della dominica potestas, cioè per finalità di corrrezione domestica.
Dalla messa a fuoco di valori e concetti fondamentali anche in campo giuridico come storia, vita, attualità, tempo, dipende l'uso del diritto romano e della tradizione specialistica che in esso affonda le radici. Nei saggi qui raccolti, l'autore ripercorre alcuni momenti della grandiosa elaborazione di idee e dottrine che, lungo un tempo millenario, hanno formato e animato la cultura giuridica moderna.
L’ambizioso progetto giustinianeo di una monarchia universale si fondava, com’è noto, sulla forza delle armi e del diritto, traducendosi nel topos arma-leges presente in alcuni documenti ufficiali (p. es. in Const. Summa pr. e in Const. Imperatoriam pr.). Il fine dichiarato da Giustiniano fu quello di amputare prolixitatem litium, e per realizzarlo egli concesse a Triboniano e agli altri commissari ampi poteri di selezione e correzione del patrimonio giuridico precedente, in tal modo ‘attualizzando’ il diritto per scopi pratici. Il contributo si prefigge lo scopo di approfondire le tecniche di impiego degli scritti dei giuristi classici nell’ottica dei maestri bizantini del V e del VI secolo. Abbandonato il parametro del rinvio a fonti ‘esterne’ utilizzabili secondo un rigido calcolo meccanico, come voleva la legge delle citazioni del 426, il programma di lavoro tracciato nella Const. Deo Auctore lascia intravedere un netto cambiamento di metodi nell’approccio al pensiero dei prudentes: l’uso dell’antico ius controversum potrà avvenire esclusivamente attraverso il ‘filtro’ rappresentato dalla forma autoritativa di un codice ufficiale. Cosicché il lavoro di selezione e di elaborazione svolto dai commissari di Giustiniano – la consummatio nostrorum digestorum – finì per produrre effetti rilevanti sulla gerarchia delle fonti giuridiche applicabili nella prassi della recitatio.
L’idea che il diritto romano, pur svincolato dal terreno sociale, politico ed economico che lo generò, sia stato sempre in grado di fornire alla riflessione giuridica sviluppatasi in Occidente, nel corso di molti secoli, un modello di perfezione teorica, si tradusse, intorno a metà Ottocento, nella nota espressione di Friedrich Puchta, che parlò di “doppia vita” del diritto romano, ponendo in rilievo l’intima connessione di quel patrimonio con “la vita stessa dei popoli”. Questa persuasione di fondo presenta notevoli affinità con l’ottica e le finalità perseguite dai maestri bizantini dinanzi al patrimonio della giurisprudenza classica: piegare il diritto dei veteres alle istanze della prassi, travasando in schemi ‘legalitari’ una mole impressionante di ipotesi, ragionamenti e soluzioni generate da una ‘mentalità’ di natura casistica, lontana da esigenze sistematiche e codificatorie. L’obiettivo del saggio è di analizzare il contributo dato dal pensiero dei prudentes alla formazione di assetti istituzionali che, sotto il profilo dei modi di produzione del diritto, erano profondamente diversi da quelli del passato.
L'intento dell'a. è di esaminare l'ottica teodosiana in ordine al pensiero degli antichi giuristi romani, valutato nel complesso in modo negativo secondo i dati testuali che emergono dall'analisi di Nov.1 del 15 febbraio 438.
L’indagine parte dall’analisi semantica dei termini controversia e disputatio e prosegue tentando di ricostruire, almeno in qualche tratto, gli scenari delle disputationes orali che spesso dovettero precedere la stesura dei testi a noi noti, senza trascurare la possibilità di ‘dispute’ – come accade nella disputatio in utramque partem – riconducibili non a un confronto dialogico fra due o più interlocutori, ma alla sfera della riflessione personale svolta dal giurista. Il contributo si sofferma poi sulla forma letteraria della disputatio, in base delle testimonianze tràdite, provenienti da opere di Ulpiano e di Trifonino, collocate da Fritz Schulz nell’ambito della letteratura c.d. ‘problematica’. Importa sottolineare la presenza, pure in varie forme, della ‘disputa’ nel lavoro quotidiano del giurista, il cui ruolo implicava la ‘problematizzazione’ di casi e questioni senza alcuna subordinazione al precetto normativo in quanto tale.
Condividi questo sito sui social