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Francesco Di Giovanni
Ruolo
Professore Ordinario
Organizzazione
Università degli Studi di Bari Aldo Moro
Dipartimento
DIPARTIMENTO DI SCIENZE POLITICHE
Area Scientifica
AREA 12 - Scienze giuridiche
Settore Scientifico Disciplinare
IUS/01 - Diritto Privato
Settore ERC 1° livello
Non Disponibile
Settore ERC 2° livello
Non Disponibile
Settore ERC 3° livello
Non Disponibile
L'a., sulla scorta del volume di F. Macario e M. Lobuono, Il diritto civile nel pensiero dei giuristi. Un itinerario storico e metodologico per i giuristi, ricostruisce il ruolo del giurista dall’epoca che precede le codificazioni alla crisi della codificazione, quando emergono due tipi di risposte: la dogmatica giuridica, in particolare civilistica, e la ricerca di un apparato di valori immanenti alla legge. Il rischio di quest’ultima impostazione è l’apriorismo dei valori, mentre compito del giurista è farsi tramite tra il diritto e la realtà, attraverso un’appropriata individuazione della materia della quale egli si serve e un rigoroso controllo degli strumenti concettuali che utilizza.
Il contributo analizza la norma dettata dall’art. 844 c.c., quale strumento per assicurare la protezione dell’interesse alla salute e all’equilibrio ambientale nei rapporti tra privati. Due le tendenze in dottrina e giurisprudenza: da un lato si collega la materia delle immissioni a quella dell’illecito civile, avvalendosi della norma come parametro di valutazione del carattere antigiuridico di un fatto; dall’altro si considera la norma come attinente ai rapporti di vicinato tra proprietari e la tutela da essa apprestata come inerente alla difesa della proprietà fondiaria, allargando l’ambito degli interessi relativi al godimento fondiario. L’a. esamina il modo nel quale deve essere condotto il giudizio di tollerabilità o intollerabilità delle immissioni anche in riferimento al rilievo da assegnare alla disciplina di settore.
Il problema di chiarire a che cosa ci riferiamo quando parliamo di “promessa [e precisiamo: “promessa vincolante, e dunque dotata di efficacia obbligatoria”] senza accordo”, cioè rilevante di per sé, e non per la sua inerenza ad un contratto, va risolto avendo riguardo al fatto che noi utilizziamo la nozione di “accordo” all’interno di operazioni diverse, e ciascuno di questi diversi impieghi di quella nozione chiama in causa un significato diverso di essa. Perciò, occorre prestare attenzione a quale idea dell’accordo si sta utilizzando quando se ne riscontra ed afferma l’assenza in una determinata vicenda generativa della obbligazione di eseguire una prestazione promessa. Si può, ad esempio, assumere una nozione di “accordo” che lo raffigura come un fatto che si verifica nella realtà empirica, in seguito all’emanazione di due (o più) convergenti dichiarazioni, e che poi viene valutato sotto l’aspetto della sua rilevanza giuridica. In questa prospettiva, non è importante che le dichiarazioni siano espresse verbis, o litteris, o mediante qualsiasi mezzo di interlocuzione, oppure che risultino da comportamenti concludenti che si prestano, nondimeno, ad essere riconosciuti come espressivi. All’opposto, si può assumere una diversa nozione di “accordo”, alla cui stregua il termine non è più impiegato per designare un fatto dotato di consistenza empirica, bensì un effetto prodotto o sancito dalla legge, la quale imporrebbe di considerare un certo regolamento del rapporto tra due o più soggetti come da costoro condiviso (e dunque reciprocamente vincolante), in presenza di certi presupposti di fatto (che – pertanto – potrebbero anche non consistere nella emanazione di almeno due convergenti dichiarazioni, siano esse espresse o risultanti da comportamenti concludenti). E’ evidente che, se ci si pone nella prima delle prospettive indicate, il discrimine tra l’area riservata al contratto e quella occupata dalle promesse unilaterali sarebbe segnato da ciò: saremmo in presenza di rapporti nascenti da contratto solo quando si riscontra sul piano fattuale ed empirico la partecipazione di tutte le parti del rapporto alla sua instaurazione, mediante dichiarazioni di qualsivoglia natura (salvo quanto prescritto dalla legge circa l’adeguatezza di tali dichiarazioni: si pensi alle prescrizioni di forma o alle norme che richiedono una volontà espressa), mentre la figura della promessa unilaterale allude a quei casi nei quali la legge ammette l’assunzione di un vincolo obbligatorio senza che il destinatario della promessa contribuisca alla descritta vicenda fattuale ed empirica (se non nel senso che si astiene dall’esercitare la facoltà, che gli sia riconosciuta, di rifiutare la promessa). Seguendo, invece, l’altra indicata prospettiva, non sarebbe affatto scontata l’impossibilità di dar nome di contratto ad un atto produttivo di un rapporto obbligatorio che si perfeziona senza la fattiva partecipazione del destinatario di una promessa, né ciò sarebbe impedito dal fatto che il contratto implica un “accordo”, perché quest’ultimo termine non designerebbe un fatto già definibile sul piano storico, ma un effetto sancito dalla legge in presenza di certi presupposti di fatto. La qualificazione dell’atto come “promessa unilaterale” si addice, dunque, solo a quegli sparsi casi nei quali la legge omette di determinare questo effetto (la nascita di un rapporto contrattuale) o addirittura lo esclude espressamente, e tuttavia collega all’atto effetti obbligatori e vincolanti. E’ intuitivo che l’accogliere l’una o l’altra delle descritte impostazioni comporta rilevanti conseguenze pratiche nell’ambito del problema che ci occupa. Un esempio di tali differenze si offre se si prende in esame il diverso atteggiamento che, partendo da ciascuna di tali impostazioni, si riscontra con riguardo ad un problema cruciale: quello della valutazione delle fattispecie con
Il saggio analizza la funzione della tutela dei creditori delle società di capitali, prevalentemente orientata alla conservazione dell’integrità del patrimonio sociale, ma non nell’ipotesi in cui sia già aperta la fase di liquidazione, nella quale l'interesse del creditori è orientato a preservare le proprie ragioni dinanzi al rischio che le operazioni di liquidazione non rispettino la prevalenza delle loro ragioni su quelle dei soci. L’a. esamina la natura delle restituzioni di capitale ai soci, conseguenti alla riduzione volontaria di capitale di società in liquidazione, ritenendo che esse debbano essere considerate, anche dopo la riforma delle società di capitali, un acconto in favore dei soci sul risultato della liquidazione, che è ripetibile se vi sono ancora creditori sociali insoddisfatti. Si sostiene, quindi, che la tutela dei creditori non sia limitata esclusivamente all’opposizione prevista dall’art. 2445, comma 3, c.c.
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