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Luigi Cornacchia
Ruolo
Professore Associato
Organizzazione
Università del Salento
Dipartimento
Dipartimento di Scienze Giuridiche
Area Scientifica
Area 12 - Scienze giuridiche
Settore Scientifico Disciplinare
IUS/17 - Diritto Penale
Settore ERC 1° livello
SH - Social sciences and humanities
Settore ERC 2° livello
SH2 Institutions, Values, Environment and Space: Political science, law, sustainability science, geography, regional studies and planning
Settore ERC 3° livello
SH2_4 Legal studies, constitutions, comparative law
I grandi concetto del pensiero di Hans Welzel – azione finalistica, topica delle sachlogische Strukturen, adeguatezza sociale, rilievo del disvalore di condotta, dominio finalistico sul fatto nel concorso, funzione tipizzante del dolo, teoria della colpevolezza nell’interpretazione dell’error iuris – pur attraverso rimodulazioni anche radicali, sono entrati da tempo a far parte della discussione penalistica italiana: una rinnovata riflessione sugli esiti di questo dibattito impone un recupero di quella stretta connessione tra fondazione dommatica e filosofica che ha caratterizzato l’edificio welzeliano e i suoi sviluppi. Peraltro, l’eredità di questo pensiero in Italia è stata accettata da sempre con beneficio di inventario. Si potrebbe dire anzi che ciò che resta del pensiero di Welzel è una dogmatica “dewelzelianizzata”, nella quale i concetti fondamentali sopravvivono al loro Autore in qualche modo destrutturati: ad es. il dolo come elemento connotativo della tipicità, ma inteso sempre più in senso oggettivo e normativo; il definitivo superamento dell’idea dicotomica di responsabilità penale, come giustapposizione di causalità e dato interiore attraverso recupero della dimensione significativa del fatto (condotta finalisticamente orientata, azione socialmente adeguata, colpevolezza in senso normativo); la trasmutazione della Schuldlehre, che oggi viene utilizzata anche con riguardo a determinati elementi nucleari del fatto (così rispetto alla problematica dell’error aetatis).
Il volume collettaneo offre una completa trattazione del quadro normativo e degli sviluppi giurisprudenziali riguardanti i delitti dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione. Sono inoltre analizzate due nuove fattispecie introdotte, in tempi relativamente recenti, dalla legge 6 novembre 2012, n. 190: il traffico di influenze illecite (art. 346-bis c.p.) e la corruzione tra privati (art. 2635 c.c.).
Assunzione di rischi e decisioni autolesioniste rappresentano i principali ambiti di emersione della discussione sul tema dei rapporti tra paternalismo e diritto penale. In positivo, del paternalismo può essere sottolineato il carattere che rimanda alla dimensione “paterna” del “prendersi cura”, ovvero di quella solidarietà riconosciuta secondo modulazioni variabili come irrinunciabile dalla società, secondo il modello tutelare, che riconosce speciali obblighi solidaristici, a carico tanto dei singoli quanto ai pubblici poteri, di intervenire a salvaguardia delle persone quando non vogliano o non possano tutelare da sé i propri beni fondamentali. Spesso peraltro il concetto assume una connotazione semantica negativa, quale ingerenza indebita di chi si fa rappresentante degli interessi altrui per decidere e agire al suo posto, sul presupposto di conoscere le reali esigenze altrui meglio del suo stesso titolare: pertanto sinonimo di dominio prepotente, usurpazione patriarcale dei diritti altrui, dispotismo, quindi insulto alla libertà di autodeterminazione. Oggi la maggiore divaricazione tra le concezioni della libertà individuale non sta più tanto nel binomio paternalismo-antipaternalismo, dovendosi riconoscere che solo il secondo ha legittima cittadinanza nel contesto di una visione rispettosa delle prerogative del cittadino di fronte ai pubblici poteri, ma semmai nel rilievo che si ritiene di dover assegnare alla tutela della persona in condizione di vulnerabilità. Attraverso confronto con il dibattito ormai vastissimo sul tema, soprattutto a partire dal pensiero feinberghiano, si riprendono le questioni dei limiti della garanzia formale del volenti non fit iniuria, dei rapporti tra paternalismo soft e hard, degli obblighi di auto-protezione, del significato del Harm Principle e dell’inviolabilità dell’autonomia, degli atti di disposizione manu aliena. E si sottolineano criticamente i deficit del diritto penale libertario, sui piani della tendenza espansione nella progressione dei diritti, della protezione dei più deboli, dell’autocomprensione sociale, della garanzia della solidarietà minima.
Per affrontare il tema dei profili giuridici del rifiuto delle cure occorre mettere a fuoco il suo fondamento costituzionale: l’ordinamento italiano non contempla un diritto a morire, ma tutela la libertà negativa di rifiutare trattamenti sanitari. L’articolo tenta di far luce sulle conseguenze dell’introduzione di un diritto giuridicamente tutelato a esigere la cooperazione del sanitario o di altri soggetti nell’interruzione di presidi vitali: la c.d. china scivolosa riguarda il rischio dell’abbandono terapeutico; inoltre implica una possibile trasformazione della relazione medico-paziente in senso contrattualistico con esiti di medicina difensiva. L’autore sottolinea l’importanza delle cure palliative e la necessità di definire criteri di proporzionalità nell’attività medica e di implementare una relazione terapeutica di tipo comunicativo. An effort to address the legal issues of the refusal of care requires a focus on his constitutional basis: the Italian law doesn’t establish a right to die, but protects the negative liberty to refuse treatments. The essay try to highlight the consequences of introducing a legal right to pretend cooperation of physicians or others in withdrawing life support: the so-called slippery slope concerns the risk of therapeutic abandonment; furthermore it involves a possible metamorphose of the physician-patient relationship into a defensive and contractual medicine. The author point out the importance of palliative care and the necessity to define criteria of proportionality in medical practice and to improve a therapeutic relationship based on communication.
L’odierno riconoscimento, pur circoscritto, nel contesto della giustizia penale, delle prerogative delle vittime, non più missing link come in passato, segna il graduale superamento di quella displacement function, assicurata dal principio del monopolio dello Stato in materia di coercizione quale dimensione implicita del monolitico modello retributivo tipico della risposta pubblica al crimine come sostitutiva della vendetta, ed è espressione del principio costituzionale di solidarietà che, contemperato con quello di sussidiarietà e frammentarietà, obbliga i pubblici poteri a intervenire a protezione dei soggetti deboli. Per altro verso lo stesso si collega a una certa crisi di legittimità della risposta pubblica al crimine: con il rischio di strumentalizzazione e fagocitazione della voce delle vittime da parte dalle strutture di comunicazione, che la riducono a strategic rationale funzionale a veicolare aspirazioni all'egemonia e auto-preservazione di gruppi antagonisti e alla legittimazione, estremamente periclitante, dello Stato o di alcuni suoi assetti e poteri (in primis quello giudiziario), a fronte delle inefficienze del sistema di controllo del crimine, nonché del fallimento della prevenzione rispetto alla vittimizzazione sul piano del confronto con conflitti etnici, ingiustizie sociali, diseguaglianze economiche e di opportunità. Riflesso quindi delle carenze e incapacità palesate dallo Stato, detentore del monopolio della coercizione, sul piano della governance complessiva della criminalità (della quale l’intervento penale dovrebbe costituire la ultima ratio, rispetto a politiche di ‘public health approach’): di fatto, emerge talora come componente di un tipo ricorrente di messaggio simbolico, repressivo, populista, di asserito impegno nella lotta al crimine in termini di innalzamento della severità del sistema penale. L’immanente tendenza espansiva dei diritti partecipativi della vittima produce anche una graduale trasmutazione delle stesse concettualizzazione tradizionali relative alle funzioni della pena: così secondo la teorizzazione della “specialrestituzione”, nel senso dell’orientamento della risposta penale al superamento del trauma da parte del soggetto leso e alla sua riparazione (una sorta di poena moedicinalis rivista dalla parte della vittima); o in quella della c.d. “Genugtuung”, quale restituzione simbolica dell’affidamento nella norma trasgredita, rivolta peraltro non alla generalità dei consociati, ma delle potenziali vittime. Per evitare esiti incompatibili con la vocazione garantista del diritto penale, ma anche per superare quella diffusa concezione della vittima come “elemento di imbarazzo” nel processo penale come concepito fino ad oggi, come “corpo estraneo” irrimediabilmente refrattario a inserirsi coerentemente nella dinamica dei principi sostanziali e processuali che implementano il favor rei, sono sempre più diffuse le pressioni a favore di un ripensamento generale della giustizia criminale in senso inclusivo, che favorisca la massimizzazione delle prerogative legittimabili della vittima—quelle riparative — nell’ambito di strategie decentrate di risoluzione del conflitto: attraverso adozione di protocolli di restorative justice, orientate al risanamento delle relazioni intersoggettive, ad esempio in situazioni di transizione da conflitto, nelle quali il necessario truth-telling process dovrebbe essere orientato alla ricerca di un consenso sulla verità storica ricostruita attraverso la narrativa tanto delle vittime quanto dei perpetratori di grandi crimini.
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