Vittime e giustizia criminale
Abstract
L’odierno riconoscimento, pur circoscritto, nel contesto della giustizia penale, delle prerogative delle vittime, non più missing link come in passato, segna il graduale superamento di quella displacement function, assicurata dal principio del monopolio dello Stato in materia di coercizione quale dimensione implicita del monolitico modello retributivo tipico della risposta pubblica al crimine come sostitutiva della vendetta, ed è espressione del principio costituzionale di solidarietà che, contemperato con quello di sussidiarietà e frammentarietà, obbliga i pubblici poteri a intervenire a protezione dei soggetti deboli. Per altro verso lo stesso si collega a una certa crisi di legittimità della risposta pubblica al crimine: con il rischio di strumentalizzazione e fagocitazione della voce delle vittime da parte dalle strutture di comunicazione, che la riducono a strategic rationale funzionale a veicolare aspirazioni all'egemonia e auto-preservazione di gruppi antagonisti e alla legittimazione, estremamente periclitante, dello Stato o di alcuni suoi assetti e poteri (in primis quello giudiziario), a fronte delle inefficienze del sistema di controllo del crimine, nonché del fallimento della prevenzione rispetto alla vittimizzazione sul piano del confronto con conflitti etnici, ingiustizie sociali, diseguaglianze economiche e di opportunità. Riflesso quindi delle carenze e incapacità palesate dallo Stato, detentore del monopolio della coercizione, sul piano della governance complessiva della criminalità (della quale l’intervento penale dovrebbe costituire la ultima ratio, rispetto a politiche di ‘public health approach’): di fatto, emerge talora come componente di un tipo ricorrente di messaggio simbolico, repressivo, populista, di asserito impegno nella lotta al crimine in termini di innalzamento della severità del sistema penale. L’immanente tendenza espansiva dei diritti partecipativi della vittima produce anche una graduale trasmutazione delle stesse concettualizzazione tradizionali relative alle funzioni della pena: così secondo la teorizzazione della “specialrestituzione”, nel senso dell’orientamento della risposta penale al superamento del trauma da parte del soggetto leso e alla sua riparazione (una sorta di poena moedicinalis rivista dalla parte della vittima); o in quella della c.d. “Genugtuung”, quale restituzione simbolica dell’affidamento nella norma trasgredita, rivolta peraltro non alla generalità dei consociati, ma delle potenziali vittime. Per evitare esiti incompatibili con la vocazione garantista del diritto penale, ma anche per superare quella diffusa concezione della vittima come “elemento di imbarazzo” nel processo penale come concepito fino ad oggi, come “corpo estraneo” irrimediabilmente refrattario a inserirsi coerentemente nella dinamica dei principi sostanziali e processuali che implementano il favor rei, sono sempre più diffuse le pressioni a favore di un ripensamento generale della giustizia criminale in senso inclusivo, che favorisca la massimizzazione delle prerogative legittimabili della vittima—quelle riparative — nell’ambito di strategie decentrate di risoluzione del conflitto: attraverso adozione di protocolli di restorative justice, orientate al risanamento delle relazioni intersoggettive, ad esempio in situazioni di transizione da conflitto, nelle quali il necessario truth-telling process dovrebbe essere orientato alla ricerca di un consenso sulla verità storica ricostruita attraverso la narrativa tanto delle vittime quanto dei perpetratori di grandi crimini.
Autore Pugliese
Tutti gli autori
-
L. Cornacchia
Titolo volume/Rivista
RIVISTA ITALIANA DI DIRITTO E PROCEDURA PENALE
Anno di pubblicazione
2013
ISSN
0557-1391
ISBN
Non Disponibile
Numero di citazioni Wos
Nessuna citazione
Ultimo Aggiornamento Citazioni
Non Disponibile
Numero di citazioni Scopus
Non Disponibile
Ultimo Aggiornamento Citazioni
Non Disponibile
Settori ERC
Non Disponibile
Codici ASJC
Non Disponibile
Condividi questo sito sui social