Effettua una ricerca
Aurelio Arnese
Ruolo
Ricercatore
Organizzazione
Università degli Studi di Bari Aldo Moro
Dipartimento
DIPARTIMENTO JONICO IN "SISTEMI GIURIDICI ED ECONOMICI DEL MEDITERRANEO: societa', ambiente,culture
Area Scientifica
AREA 12 - Scienze giuridiche
Settore Scientifico Disciplinare
IUS/18 - Diritto Romano e Diritti dell'Antichità
Settore ERC 1° livello
Non Disponibile
Settore ERC 2° livello
Non Disponibile
Settore ERC 3° livello
Non Disponibile
Nella categoria della contraffazione rientrano varie figure: dalla falsificazione di monete, opere d’arte, prodotti di ogni genere, pure alimentari, sino alla lesione della proprietà intellettuale. La gamma delle ipotesi va ben al di là di quelle che costituiscono il crimen falsi, e cioè, tecnicamente, il reato di falso, che racchiude le fattispecie ritenute più gravi e perciò punite nelle forme della repressione dei crimina pubblici. Il contraffare è un comportamento che nelle fonti romane viene indicato con una ricca terminologia: adulterare, corrumpere, falsare, imitare, vitiare.
A Roma le fonti attestano atteggiamenti ora di tolleranza ora di aperta ostilità nei confronti di talune religioni e di certi culti. Un caso celebre di repressione è, in età repubblicana, quello del senatusconsultum de Bacchanalibus. Più tardi, in epoca imperiale, esempio interessante di indulgenza è l’apertura di Adriano a tutti gli dei, attestata anche dalla edificazione del nuovo Pantheon, mentre segno di intolleranza è la persecuzione contro i cristiani, soprattutto da Decio a Diocleziano. Le testimonianze pervenuteci hanno un significato ben più profondo di quanto a prima vista possa apparire. In Rome, both tolerance and open hostility to certain religions or cults have been found in sources. A renowned example of repression in the Republican era is the senatusconsultum de Bacchanalibus. Later, in the Imperial Age, an interesting case of indulgence is Hadrian’s tolerance of all Gods, evidence of which is provided also by the building of the new Pantheon. A clear example of intolerance is instead the persecution of Christians, especially from Decius to Diocletian. The testimonies we have received have a far deeper significance than might at first sight appear.
Il lavoro verte sul rapporto tra retorica e diritto. In particolare ricostruisce l’impiego della figura della similitudo (che ricomprende anche l’analogia, oltre che la dissimilitudine e l’argomentare ex dissimilis ed e contrario), utile non solo a fini sistematici, e per la costruzione e definizione delle fattispecie giuridiche, ma anche per la didattica. Le Institutiones di Gaio, infatti, sono un manuale destinato all’uso nelle scuole di diritto. Insieme all’exemplum, che è un altro mezzo retorico, la similitudo viene utilizzata dal giurista romano per comporre gran parte dell’opera.
A dare il via alla ricerca è stato un elemento a prima vista meramente terminologico: la presenza di parole diverse, ma assai vicine, usate dallo stesso autore, Gaio, sia pure in scritti differenti, per indicare l’atto illecito: nei due luoghi famosissimi che aprono e reggono, nelle rispettive opere, il tema delle fonti dell’obligatio: delictum nelle Istituzioni (3.88), maleficium nelle Res cottidianae (D.44.7.1 pr.). Di qui una domanda iniziale: si tratta di un dato puramente lessicale, privo di conseguenze sistematiche, oppure è la spia di una operazione volta a ridisegnare, aggiornandolo, l’assetto delle fonti? E poi: è l’avvio di una nuova disciplina delle obbligazioni da fatto illecito, la tappa di un itinerario che, partendo da lontano, dai delicta dell’antico ius civile, approda attraverso un susseguirsi di fasi e vicende complesse all’attuale regolamentazione della responsabilità “per qualunque fatto doloso o colposo che cagiona ad altri un danno ingiusto”, come recita l’art. 2043 del Codice Civile? In questa direzione si è mossa l’indagine, e tra non poche difficoltà, legate alla lettura di testi non sempre facili da interpretare e armonizzare, anche per la loro provenienza da opere con finalità e destinazioni differenti. A sostenere l’indagine, a incoraggiarla, la particolare sensibilità di Gaio per il linguaggio: la cura, lo scrupolo nell’impiego delle parole: la sua attenzione alle sfumature, alle “differenze” anche “sottili” tra i vocaboli, come tra gesta e facta nella testimonianza preziosa conservata in D.50.16.58 pr
Il libro Usura e modus. Il problema del sovraindebitamento dal mondo antico all’attualità non riguarda solo il fenomeno dell’usura, ma abbraccia il tema, di più ampio respiro, della misura dei debiti e in particolare degli interessi dovuti a fronte del prestito di danaro. Si scorge un sottile filo conduttore: il sovraindebitamento non è dannoso soltanto per il debitore insolvente ma anche per il creditore, se il peso che grava sul debitore diventa insopportabile e quindi il credito non può essere soddisfatto. I rischi che ne derivano, quando questa situazione colpisce larghi strati della società, sono anche per l’ordine pubblico, la libertà e la democrazia, come i tanti episodi via via ricordati nel lavoro lasciano intendere.La monografia è divisa in tre capitoli. Il primo, intitolato Usura e avaritia, attraverso l’esame delle fonti evidenzia il collegamento fra la brama smodata di denaro (avaritia) e la pratica del prestito ad interesse non finalizzata alla produzione o allo scambio: una pratica, nei cui riguardi, a Platone e soprattutto ad Aristotele risalgono le basi “filosofiche” di un atteggiamento di “ripugnanza”. Attraverso un vasto panorama di testimonianze si ricostruisce sia il susseguirsi a Roma dei provvedimenti normativi in materia di prestiti con gli interessi (c.d. leges fenebres), sia di quegli interventi talora diretti alla cancellazione o dilazione dei debiti. Non mancano episodi tratti dalle fonti che si prestano ad una comparazione storica con la situazione attuale. Un caso di particolare interesse è quello della crisi di liquidità provocata da debiti eccessivi che determinarono di conseguenza un blocco del credito sotto Tiberio, il quale vi pose rimedio con efficaci iniziative. Il discorso prosegue con la rassegna dei procedimenti e delle pene contro gli usurai. Dalla trattazione emerge un contrasto tra prassi e divieto di prestare denaro a interesse: il che suscita dubbi in ordine alla certezza e assolutezza del divieto. Il secondo capitolo si caratterizza per l’analisi dei brani dei giuristi romani dai quali emerge l’esistenza sia di una “misura legittima” (modus legitimus) che di una “misura ragionevole” (modus probabilis) degli interessi: criteri che il mos regionis, come risulta da alcuni testi, orienta nel loro concreto modo di operare. Si passa poi all’esame dei provvedimenti imperiali in materia di tassi di interesse. Vista nel suo complesso la legislazione, soprattutto quella di cui è artefice Giustiniano, tende a favorire i debitori ora con forme di alleggerimento dell’ammontare dei debiti, ora rendendone più agevole l’adempimento. Il terzo capitolo chiude il lavoro con uno sguardo all’attualità segnata dalla crisi economica internazionale: una situazione in buona parte determinata da debiti eccessivi contratti sia dagli Stati che dai privati. Una pericolosa bolla finanziaria nella quale l’entità dei debiti è progressivamente cresciuta a causa di vari fattori. Uno di questi è l’anatocismo, che in Italia ha avuto “peculiari vicende”. Recenti orientamenti giurisprudenziali consentono anche una corretta interpretazione della normativa antiusura formatasi negli anni, a cominciare dalla L. 108 del 1996. Il libro si conclude con uno sguardo alle contromisure – e spicca l’exceptio doli generalis, di cui è chiara la matrice romanistica - alle quali possono fare ricorso i debitori per difendersi quando il rapporto contrattuale presenta vistosi squilibri.
Condividi questo sito sui social