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Francesca Lamberti
Ruolo
Professore Ordinario
Organizzazione
Università del Salento
Dipartimento
Dipartimento di Scienze Giuridiche
Area Scientifica
Area 12 - Scienze giuridiche
Settore Scientifico Disciplinare
IUS/18 - Diritto Romano e Diritti dell'Antichita'
Settore ERC 1° livello
SH - Social sciences and humanities
Settore ERC 2° livello
SH2 Institutions, Values, Environment and Space: Political science, law, sustainability science, geography, regional studies and planning
Settore ERC 3° livello
SH2_4 Legal studies, constitutions, comparative law
Il contributo tratta di alcune vicende processuali in Roma antica, fra repubblica e principato, che vedono coinvolte donne. Alla luce dei casi di Mesia, Afrania, Turia, Petronia Giusta, e di quello letterario di Pudentilla, si ricava la sensazione che un ruolo 'processualmente attivo' delle donne, oltre ad essere reputato eccezionale, andasse solitamente incontro a sfavore sociale, e si tendesse, per quanto possibile, a limitarlo.
L'a. ritorna sulle concezion correnti in materia di 'ius Latii' e di romanizzazione attraverso la concessione di statuti municipali, con l'esempio della Baetica del I sec. d.C., e alla luce dell'esame della legislazione municipale Flavia
L'a. indaga i moderni orientamenti storiografici in materia di concepimento e nascita nell'antica Roma. Nel respingere un certo tipo di corrente storiografica, che proietta nel passato visuali moderne, si schiera per l'opinione di quanti, ai primi del Novecento, ravvisavano nella giurisprudenza romana antica una duplice concezione, una 'giuridica' del concepito, e una 'fisiologica'.
L'a. indaga i moderni orientamenti storiografici in materia di concepimento e nascita nell'antica Roma. Nel respingere un certo tipo di corrente storiografica, che proietta nel passato visuali moderne, si schiera per l'opinione di quanti, ai primi del Novecento, ravvisavano nella giurisprudenza romana antica una duplice concezione, una 'giuridica' del concepito, e una 'fisiologica'.
Il lavoro parte da un'analisi dei numerosi 'luoghi comuni' in tema di donne romane, quali si rinvengono nelle testimonianze letterarie ed epigrafiche fra II sec. a.C. e III sec. d.C. Fra essi, si rileva oltre alla ricorrenza delle lodi verso la "domiseda" e colei che lavora la lana fra le mura domestiche, l'elogio di un eloquio moderato e in particolare quello della castità di costumi ("pudicitia"). A seguito dell'esame di una serie di testimonianze letterarie epigrafiche e giuridiche si mostra come, là dove la donna presa di volta in volta in considerazione, si segnali per autonomia o una qualche eccentricità rispetto al modello, gli 'stereotipi' si invertono: la donna viene tacciata di essere "virile", in luogo delle lodi per la moderazione e la temperanza si passa alla denuncia di un "latrare" femminile, e la donna non indubbiamente casta è automaticamente tacciata di essere una prostituta.
La famiglia romana, fra 'sfera politica', quadro normativo e intimità privata. Tarda repubblica e principato - Su alcune distinzioni riguardo all'età dell'impubere nelle fonti giuridiche romane - L'età per fidanzarsi nei libri differentiarum di Modestino - Ricchezze e patrimoni femminili in Apuleio - Suggestioni in tema di praesumptio Muciana - Questioni aperte sul SC. de Cn. Pisone patre.
I mutamenti sociali in atto hanno fortemente posto in risalto, negli ultimi anni, le necessità circa un maggiore equilibrio vita-lavoro. L’esigenza in esame, sentita in primo luogo, ovviamente, dai lavoratori, ha progressivamente investito organizzazioni e istituzioni. Il telelavoro ha rappresentato e rappresenta un approccio di soluzione possibile. Il Progetto “Telelab. Laboratorio di telelavoro e conciliazione”, realizzato fra il 2011 e il 2014 presso l’Università del Salento, grazie ad un finanziamento dalla Regione Puglia (nell’ambito dell’Avviso del 2009 sui c.d. Patti sociali di genere) ha avuto per obiettivo, attraverso l’attivazione di un certo numero di postazioni di telelavoro per dipendenti dell’Amministrazione, il favorire le politiche di conciliazione fra aspetti personali e familiari e profili lavorativi dei soggetti coinvolti. Il progetto è stato curato e seguito in ogni sua fase da una “cabina di regia” di professoresse e funzionarie dell’Università di Lecce.
Introduzione al Volume di Scritti dedicati dalla Facoltà di Giurisprudenza dell'Università del Salento al Prof. Francesco Grelle
Il contributo ripercorre i rapporti fra Roma e le comunità finitime fra l'alta e la tarda repubblica, alla ricerca di linee di continuità nei processi dell'espansione romana. Si occupa di politica di colonizzazione, di estensione della civitas romana e di rapporti con le comunità locali nel processo di espansione.
Il contributo è volto a smentire l’affermazione, corrente in dottrina, per cui, con riguardo alla condizione degli impuberi, la giurisprudenza classica avrebbe distinto fra infantes, minori che non avessero ancora compiuto il settimo anno d’età, del tutto incapaci di compiere atti giuridici, e infantia maiores, minori fra i sette anni e l’età pubere, considerati parzialmente capaci. La relazione ha illustrato come invece, di regola, nelle fonti giuridiche di epoca classica, l’approccio alla minore età appaia orientarsi ad una verifica, caso per caso, della maturità individuale dell’impubere, supportata da determinati criteri-guida, con opinioni diversificate a seconda della fattispecie oggetto di discussione. Nel caso dei negozi a forma orale, il discrimine risulta ad esempio fissato dai giuristi alla luce della capacità o meno del minore di fari, di pronunciare correttamente i verba dell’atto (D. 46.6.6 Gai. 27 ad ed. prov.; Gai 3.106-109; Inst. 3.19.8-10; D. 44.7.1.12-13 Gai. 2 aur.; D. 45.1.141.2 Gai. 2 de verb. obl.; D.50.17.5 Paul. 2 ad Sab.; D. 50.16.209 Florent. 10 inst.); quanto all’effettiva comprensione della portata dello stesso, nel caso dei negozi verbis, si tratterebbe di circostanza su cui i giuristi (e dunque i privati) avrebbero iniziato ad interrogarsi solo successivamente (nel momento in cui si sarebbe cominciato a dare risalto anche alla voluntas sottostante agli atti giuridici). Analogo l’approccio giurisprudenziale per quanto relativo, ad esempio, alla hereditatis aditio (D. 29.2.9 Paul. 2 ad Sab.; D. 29.2.8.1 Ulp. 7 ad Sab.). Per quel che attiene, poi, a profili quali l’acquisto del possesso, parrebbe che alcuni giuristi ammettessero, in questo ambito, addirittura la capacità dell’infans (attesa l’interposizione dell’auctoritas tutoris), là dove altri iurisperiti avrebbero richiesto piuttosto la capacità, nel minore, di intendere l’atto. Che non si vertesse, nel caso in esame, sulla possibilità di fari da parte del minore discende dal fatto che i negozi fondati su una datio rei non richiedevano la capacità di esprimersi verbalmente; piuttosto (almeno a partire da una certa epoca in poi) l’indagine si dové fondare sulla reale sussistenza, nel fanciullo, dell’animus possidendi (C. 7.32.3 Decius, a. 250; D. 41.3.28 Pomp. 17 ad Sab.; D. 41.2.1.5 Paul. 54 ad ed.; D. 41.2.32.2 Paul. 15 ad Sab.; D. 41.2.32.2 Paul. 15 ad Sab.). Una ‘fissazione di criteri’ riguardo alla capacità intellettuale del minore potrebbe essere ascritta, al più, al tardo antico, quando diviene più difficile un accertamento caso per caso della maturità dell’impubere, e la crescente esigenza di formalizzazione si traduce nell’introduzione, in svariati ambiti dello scibile giuridico, di regole più rigide. I riferimenti che rinveniamo nella compilazione alla necessità del compimento del settimo anno di età sono infatti tardi, ed ascrivibili a prospettive particolari dei giuristi che ne fanno menzione (in soli due casi: Ulpiano in D. 26.7.1.2 e Modestino in D. 23.1.14). Arcadio e Onorio nel 407 (CTh. 8.18.8), e successivamente Valentiniano III nel 426 (CI 6.30.18), avrebbero fissato – in riferimento alla hereditatis aditio e alla adgnitio bonorum possessionis – la ‘fine dell’infanzia’ al compimento del settimo anno: la disposizione di Valentiniano III avrebbe poi trovato cittadinanza nel Codex Iustinianus.
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