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Anna Maria Nico
Ruolo
Professore Ordinario
Organizzazione
Università degli Studi di Bari Aldo Moro
Dipartimento
DIPARTIMENTO DI SCIENZE POLITICHE
Area Scientifica
AREA 12 - Scienze giuridiche
Settore Scientifico Disciplinare
IUS/09 - Istituzioni di Diritto Pubblico
Settore ERC 1° livello
Non Disponibile
Settore ERC 2° livello
Non Disponibile
Settore ERC 3° livello
Non Disponibile
Le presenti note intendono mettere in luce la stretta connessione esistente tra l’esercizio della libertà di religione, che spesso sottende una identità o una appartenenza culturale, e il tema del multiculturalismo. Prendendo spunto da una decisione della Corte di Cassazione sull’utilizzo del kirpan da parte della comunità Sikh, si è voluto evidenziare come tali questioni, tra loro apparentemente lontane, sono intrinseche ad una società divenuta multiculturale.
Le sentenze esaminate nelle presenti note evidenziano come la preoccupazione del legislatore nazionale continui ad essere non tanto quella di perseguire la finalità di accelerare l’attività processuale o di rimediare ai ritardi derivanti dalla inefficienza dello Stato-apparato, quanto, piuttosto, quella di deflazionare la proposizione delle domande riparatorie. Anche le recenti modifiche apportate dalla legge di stabilità (Legge n. 208 del 25.12.2015) alla c.d. legge Pinto ne costituiscono un esempio.
Le modifiche apportate con il Protocollo 14 alla Convenzione EDU, la cui finalità era lo snellimento e la semplificazione delle procedure di esame delle istanze presentate alla Corte, hanno mostrato, nella applicazione pratica, degli aspetti che sembrano mettere in dubbio l’intero sistema di garanzia offerto dalla Corte di Strasburgo. Infatti, ciò che doveva costituire un sistema introdotto per ridurre i tempi di svolgimento dei giudizi instaurati innanzi alla Corte e la cui ricaduta era ascrivibile ad un beneficio per il soggetto-ricorrente, che così poteva ottenere (soprattutto) dalla Corte una decisione nel rispetto del principio del giusto processo, ha avuto effetti controproducenti proprio sul diritto di difesa, in quanto le nuove cause di irricevibilità introdotte nell’art. 35 si sono rivelate solo un mezzo bensì deflattivo del carico dei giudizi pendenti, ma suscettibile di minare gli stessi diritti riconosciuti dalla Convenzione.
Il lavoro affronta le problematiche costituzionali del tema della ragionevole durata del processo nella disciplina attualmente vigente, della quale si pongono in rilievo i punti critici, anche in relazione alle previsioni in materia del diritto Convenzionale (CEDU) e del diritto dell'Unione Europea.
Il presente contributo svolge alcune riflessioni critiche sul bilanciamento effettuato dalla Corte tra il principio della retroattività degli effetti delle sentenze di accoglimento e quello del rispetto dei vincoli di cui agli artt. 81, 2 e 3 della Costituzione, nonché degli obblighi comunitari ed internazionali assunti dall’Italia (che ha comportato il differimento degli effetti della sentenza di accoglimento), da un lato, e, dall’altro, ai rapporti tra il giudizio a quo ed il giudizio ad quem con particolare riferimento al criterio della rilevanza (che svincola eccessivamente il giudizio costituzionale da quello principale).
Il contributo esamina alcuni profili di criticità del processo di revisione costituzionale in itinere con riferimento ai presupposti per l’accesso alla Corte costituzionale in via principale, come previsto dall’art. 127 Cost., che non è invece incluso nel progetto di riforma. La sostanziale diversità di trattamento tra Stato e Regioni conservata dalle modifiche introdotte nel 2001 in riferimento ai vizi di costituzionalità invocabili innanzi al Giudice delle leggi sembrerebbe destinata a perdurare, anche se alla luce delle trasformazioni che la riforma odierna intende apportare ad altre parti della Costituzione tale differenziazione di trattamento dei due enti non appare coerente. L’ampliamento delle possibilità della Regione di accedere alla Corte potrebbe invece tradursi in una più ampia tutela dei diritti fondamentali, nonché nella copertura di talune “zone franche” oggi presenti nella giustizia costituzionale.
La natura anche giurisdizionale delle sentenze della Corte costituzionale impone una riflessione in ordine alla azionabilità di rimedi per la loro ottemperanza, specie con riferimento alle sentenze additive ed ai loro effetti nei confronti della pubblica amministrazione. Il presente studio esamina la possibilità di utilizzare, per ottenere l’esecuzione delle sentenze della Corte, l’istituto dell’ottemperanza del giudicato previsto dall’art. 112 del Codice del processo amministrativo.
Lo studio si occupa dei rapporti tra diritto interno e diritto dell'UE e CEDU in materia di tutela dei diritti fondamentali dopo l'entrata in vigore del Trattato di Lisbona
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