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Antonio Incampo
Ruolo
Professore Ordinario
Organizzazione
Università degli Studi di Bari Aldo Moro
Dipartimento
DIPARTIMENTO DI GIURISPRUDENZA
Area Scientifica
AREA 12 - Scienze giuridiche
Settore Scientifico Disciplinare
IUS/20 - Filosofia del Diritto
Settore ERC 1° livello
Non Disponibile
Settore ERC 2° livello
Non Disponibile
Settore ERC 3° livello
Non Disponibile
L’analisi della dimensione performativa del linguaggio permette di comprendere meglio il ruolo che hanno le norme costitutive nelle costruzione logica dell’ordinamento. Le norme costitutive, infatti, proprio in forza della performance del linguaggio giuridico, a differenza di quelle prescrittive, eseguono se stesse grazie alla loro validità in un ordinamento e non, invece, a causa della mediazione di un agente, ovvero mediante atti di adempimento da parte dei destinatari. In questo senso, si è anche sostenuto che tutte le norme, siano esse costitutive o prescrittive, dipendono essenzialmente da una norma costitutiva fondamentale del tipo “Si dispone che il sistema S contenga la determinazione D”, dove ‘D’ sta appunto per ogni norma valida in un ordinamento. L’articolo si chiede fino a che punto sia vera questa tesi. Tra le diverse osservazioni, si evidenziano almeno due critiche importanti. In primo luogo, si dimostra che non tutte le norme dipendono da un atto di disposizione del legislatore, e, dunque, dalla norma costitutiva “Si dispone che il sistema S contenga la determinazione D”. Molte sono il frutto più che altro di un atto cognitivo. Si pensi, in particolare, alle regole tecniche. In secondo luogo, guardando l’ordinamento nel suo complesso, emerge chiaramente la sua funzione essenzialmente prescrittiva. Non avrebbero senso norme costitutive, senza norme prescrittive. Le prime sono, semmai prius, ma non anche primum in un ordinamento.
I fatti istituzionali nascono, come ha spiegato John R. Searle in The Construction of Social Reality, attraverso l’assegnazione di una funzione di status a un sostrato materiale che di per sé non coincide con la stessa funzione. In tal senso, una banconota non è tale per il solo fatto di essere un pezzo di carta così e così. C’è bisogno del suo riconoscimento sulla base di un potere costitutivo legittimato ad assegnare una certa funzione ad un determinato fatto materiale. L’articolo pone un interrogativo importante. Esistono istituzioni forti, istituzioni cioè che non dipendano da un mero potere costitutivo? La risposta e nei diritti umani. In questo caso, infatti, la funzione di status (l’essere l’uomo titolare di diritti fondamentali) coincide realmente con il suo sostrato materiale (l’essere uomo) e non dipende dalla semplice performance del linguaggio con cui nascono in genere i fatti istituzionali. C’è di più. Tutti gli altri poteri e le altre istituzioni dipendono dai diritti. Più il potere realizza i diritti, più è forte.
Il volume, dopo aver discusso, in maniera analitica, il rapporto tra validità e verità nel linguaggio normativo, ricostruisce la validità giuridica in due ambiti principali. Da un lato la “validità pragmatica”, in cui sono racchiuse le condizioni di esistenza degli atti giuridici come atti linguistici (speech acts), dall’altro la “validità sintattica”, con cui si studiano le condizioni di esistenza delle norme nel loro significato essenzialmente ordinamentale. Interessante è la natura di tali condizioni. Non vi sono, infatti, solo condizioni poste dal legislatore, condizioni meramente possibili e non necessarie. Molte regole sono, invece, regole universali e necessarie che derivano dall’idea stessa degli atti o dell’ordinamento. In particolare, il volume si sofferma sulle condizioni che dipendono dalla funzione essenziale sia degli atti, sia delle norme in un ordinamento. La loro importanza, tra l’altro, sta nell’enucleare analiticamente una “moralità intrinseca” del diritto.
Il concetto di laicità si rifrange non in uno, ma in tanti significati spesso diversissimi tra loro. Basti esaminare la giurisprudenza degli ultimi anni sul rapporto tra simboli religiosi e istituzioni pubbliche. Non c’è una sola sentenza che si ripeta: dalle sentenze dei tribunali amministrativi a quelle della Cassazione, fino alla sentenza della Corte europea dei diritti umani, sentenza riformata, a sua volta, dalla Grande Camera di Strasburgo. Alla luce di queste premesse, il saggio cerca di distinguere tre forme principali di laicità: (i) laicità narrativa; (ii) laicità formale; (iii) laicità onto-esistenziale. Le prime due sono dal punto di vista interno al diritto e alla giustizia delle corti, la terza, invece, dal punto di vista esterno. È proprio questo ultimo punto di vista in grado di interpellare la giurisprudenza delle corti per non restare inchiodati alle sue numerose contraddizioni. Gli interrogativi fondamentali sono: È possibile un sistema puramente laico? Che cos’è un sistema puramente laico? Un sistema del genere è un sistema che affermi “tutto e niente”, che protegga ogni religione come se fosse assoluta e a un tempo la neghi. È possibile, dunque, un sistema del genere? La risposta è negativa. The concept of secularism is refracted not in one, but in many and often different from each other meanings. It is sufficient to examine the jurisprudence of recent years on the relationship between religious symbols and public institutions. There is not a single sentence that is repeated: from the judgments of the administrative courts to those of the Supreme Court, until the judgment of the European Court of Human Rights, judgment reformed, in turn, by the Grand Chamber in Strasbourg. In light of this background, the paper attempts to distinguish three main forms of secularism: (i) narrative secularism; (ii) formal secularism; (iii) onto-existential secularism. The first two are from the inner point of view of law and justice of the courts, the third, however, from the external point of view. It is latter point that can show the many contradictions of the jurisprudence of the courts. The fundamental questions are: Can there be a purely secular system? What is a purely secular system? Such a system is a system that states "all and nothing", which protects every religion as if it were absolute, and at the same time denies it. Can there be such a system? The answer is negative.
La teoria generale del processo ha sviluppato modelli del discorso giudiziale che appaiono incentrati sui predicati logici di verità o falsità. In realtà, la forma di inferenza alla base del processo ha la particolarità e l’anomalia di passare da proposizioni predicabili di verità o falsità (vedi le due premesse del sillogismo giudiziale in cui si stabilisce, da un lato, la norma da applicare e, dall’altro, i fatti accaduti) ad una conclusione, la sentenza, che è di per sé impredicabile di verità o falsità. Le norme, infatti, non sono vere o false, bensì valide o invalide. E la sentenza implica una norma. Il volume si divide in tre parti: Estetica, Retorica, Metafisica, per rispondere alla domanda su quale sia la relazione tra verità e validità nel processo, visto che tale relazione non può essere inferenziale stricto sensu. Tale tripartizione evoca la distinzione di Aristotele di: páthos, éthos e lógos.
It is enough to think of the ius commune of tenth-century continental Europe (not to mention the ius gentium of the Romans) to realise that the concept of law has been undergoing an irreversible process of maturation towards rational universality, at least on the level of ideas, a process which has been particularly intense in the twentieth century. The stage currently reached is best characterised by the three predicates that we shall attempt to clarify below: Supra-statutory law. The expression is taken from the title “Statutory lawlessness and supra-statutory law” of a famous paper by Gustav Radbruch (Gesetzliches Unrecht und übergesetzliches Recht, in “Süddeutsche Juristen-Zeitung,” 1946), wherein “supra-statutory” translates “übergesetzliches.” What is its significance? It is best expressed in the thesis that a law (statute, Gesetz) is not by itself the law (Recht). To refer to a decision by the German Federal Constitutional Court of 1973, “law does not simply coincide with the totality of written statutes” (drawing on Article 20 (3) of the German Constitution).
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