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Nicola Neri
Ruolo
Ricercatore
Organizzazione
Università degli Studi di Bari Aldo Moro
Dipartimento
DIPARTIMENTO DI SCIENZE POLITICHE
Area Scientifica
AREA 14 - Scienze politiche e sociali
Settore Scientifico Disciplinare
SPS/06 - Storia delle Relazioni Internazionali
Settore ERC 1° livello
Non Disponibile
Settore ERC 2° livello
Non Disponibile
Settore ERC 3° livello
Non Disponibile
Commento scientifico ad una lunga ed articolata relazione dell’ambasciatore britannico a Saigon tra il 1966 e il 1967, Peter Allix Wilkinson. Già da quegli anni il diplomatico britannico ravvisa i presupposti del fallimento dell’intervento militare a guida americana, analizzando fattori politici, militari, sociali, culturali e di costumi che confliggevano troppo profondamente con gli obbiettivi statunitensi.
La complessa evoluzione dei valori cristiani sono all'origine, anche, dell'edificio europeo che, sia attingendo ad essi che contestandoli, assume il suo profilo che lo avrebbe consegnato alla laicità e alla modernità.
L'introduzione della leva obbligatoria con la legge Carnot del 1793, e l'idea della "Nazione in armi" rovesciano sui campi di battaglia europei milioni di uomini. é necessario mutare ed adeguare la dottrina d'impiego sia da parte francese che delle coalizioni europee antirivoluzionarie prima ed antinapoleoniche poi. Questo autentico evento rivoluzionario è destinato, nonostante la Restaurazione a mutare la grammatica strategica, la fisionomia sociale e il modello delle relazioni internazionali.
La sconfitta militare patita dall'Italia nel Secondo Conflitto Mondiale comporta molteplici penalità appena compensate dal periodo della cobelligeranza con gli Alleati. La flotta italiana occupa una posizione di rilievo nei negoziati di armistizio prima e di pace poi. Essa costituisce una eloquente misura dello stato delle relazioni diplomatiche tra l'Italia e i vincitori del conflitto, dallo status di paese sconfitto fino al suo recupero con la cooptazione nell'Alleanza Atlantica.
L'alleanza militare tra Francia ed Italia durante il Primo Conflitto Mondiale. Dopo decenni di malintesi e di sospetti la Grande Guerra impone uno sforzo comune, generoso da entrambe le parti ma raramente amichevole.
Il potente fattore unitario di questa ricerca vuole essere la figura e l’opera stessa dell’illustre missionario. Non è stata perseguita una esatta evoluzione cronologica, poiché di essa si fornisce una scheda riassuntiva in appendice, e perché opere del genere sono già state scritte. Si è cercato di osservare i grandi eventi ed i grandi personaggi che egli visse e conobbe, con i suoi stessi occhi, e compararli con le impressioni dei testimoni dell’epoca, con i documenti dei protagonisti della politica del tempo e con le analisi degli storiografi successivi, così da trarre un originale punto di vista prospettico. Si indaga pertanto su come veniva percepita dal punto di vista di un missionario in Africa il divenire del grande percorso unitario italiano, ma anche le prime prudenti valutazioni di un’opzione coloniale, fino all’assunzione del ruolo chiave di plenipotenziario per la redazione di un trattato tra Italia e Regno dello Scioa; il “gran gioco” degli imperialismi britannico e francese in Africa orientale, gli assetti sociali e politici dell’ultimo paese cristiano ed indipendente africano, dal privilegiato punto di vista prospettico di consigliere del re Menelik, l’agonia dell’impero ottomano sulle rive del Mar Rosso. Tutti capitoli di una storia che avrebbe riguardato in modo strettissimo il nostro Paese. La tonalità della ricerca è evidentemente politica e diplomatica, e dunque non si attarda sulla storia della missione cattolica che, certo, era l’unica cosa che stesse a cuore per davvero al Massaja: “...egli...mirò unicamente a diffondere in quelle terre lontane la religione e la morale cattolica”. E da uno storico indigeno è pervenuto il miglior riconoscimento: “L’approccio universalistico della Chiesa verso il reclutamento e la formazione dei chierici, e l’autonomia con la quale le missioni cattoliche perseguivano le loro attività spirituali, contraddicevano la politica perseguita dalle amministrazioni coloniali dello stato italiano basate sulla pretesa patologica inferiorità degli indigeni”. Le fonti che il presente lavoro attinge e fa dialogare sono le ricche memorie, per lo più ignorate nei loro motivi politici, e le numerose lettere, scambiate davvero con i personaggi più autorevoli del suo tempo. Ricordiamo che Guglielmo Massaja incontrò Napoleone III, l’imperatrice Eugenia, Palmerston, conobbe Vittorio Emanuele II e Silvio Pellico, oltre naturalmente a tutti i regoli, re e imperatori in Etiopia e d’Etiopia. Questo lavoro si occupa delle problematiche europee presenti nella vita e nell’opera del Massaja, e segue il volume su tutto ciò che concerneva invece il periodo africano.
A fronte della ineliminabilità storica del ricorso alla guerra come strumento di risoluzione dei conflitti, l'uomo, le società e le istituzioni, si sono ingegnate a delimitarne i confini con strumenti giuridici, politici, sociali, e consuetudinari. L'obbiettivo era di giungere ad una soluzione arrecandosi il minor male possibile in un complesso orizzonte di umanizzazione dei conflitti, fino all'avvento della guerra totale contemporanea che avrebbe svuotato del tutto questi tentativi e queste intenzioni.
Nel quadro dell'azione missionaria di Guglielmo Massaia in Etiopia, egli ha spesso l'occasione di tratteggiare e commentare le istituzioni militari locali, la loro organizzazione e le loro gerarchie, nonché il loro modo pi procedere in marcia e combattimento. Soprattutto il missionario annota interessanti commenti sul coinvolgimento, in termini di forniture di armi e di istruttori delle potenze europee, tra le quali l'Italia, interessate ad estendere la loro influenza nell'area dell'Africa Orientale.
La Gran Bretagna del secondo dopoguerra deve misurarsi con il declino della sua potenza derivante dalla avanzante decolonizzazione. Solida sponda della sua politica estera è la “relazione speciale” con gli Stati Uniti che, tuttavia, non indurrà il Regno Unito a schierare truppe sul terreno, dovendo anzi conciliare l’orientamento critico dell’opinione pubblica interna con un sostegno almeno formale agli alleati tradizionali. Ulteriore fonte di imbarazzo è la partecipazione al conflitto do paesi del Commonwealth strettamente contigui a Londra come l’ Australia e la Nuova Zelanda.
In seguito alla temperie rivoluzionaria prima e napoleonica dopo si produce l'espulsione del secolare Ordine dei Cavalieri di Malta dall'omonimo arcipelago, aprendo un vuoto geo-strategico occupato dalla Francia prima e dalla Gran Bretagna poi, fino all'indipendenza dell'isola. Nel contesto del Congresso di Vienna del 1815, e dei principi di legittimità e di Restaurazione che lo ispirarono, i Cavalieri tentano senza successo di essere reintegrati nella sovranità di Malta.
Nel conflitto che, nel 1982, vide opporsi Gran Bretagna e Argentina per il possesso delle isole Falklands nell’Atlantico del Sud la posizione dell’Italia era tra le più delicate. Essa era partner europeo e alleato atlantico del Regno Unito; d’altra parte, però, era paese di origine di circa la metà della popolazione argentina. Circa un milione di argentini aveva passaporto italiano e gli scambi economici e commerciali con Buenos Aires erano di assoluto rilievo. La Comunità Europea dei Dieci si schierò compattamente a fianco della Gran Bretagna e comminò delle sanzioni economiche verso l’Argentina. L’Italia non esitò in questa fase ad uniformarsi ai partners europei e condannare il colpo di forza di Buenos Aires e la sua grave conseguente violazione del diritto internazionale. Il rinnovo delle sanzioni pose invece alcune difficoltà rivelatesi insormontabili. Le pressioni degli inglesi e anche degli americani, grandi mediatori diplomatici della crisi, furono reiterate ed assertive ma egualmente infruttuose. La mancata adesione italiana al rinnovo delle sanzioni contro l’Argentina costituì il primo vulnus ad una coerente tradizione europeista che risaliva al primo dopoguerra, e causò perplessità nel Regno Unito, paese amico, vicino ed alleato. Inoltre essa configurava un palese disallineamento con la lettera e lo spirito del piano Genscher-Colombo, per una più stretta e coordinata politica estera europea, presentato al Parlamento europeo nel novembre precedente. Nella decisione italiana prevalsero le considerazioni relative al pregio delle relazioni economiche tra Roma e Buenos Aires, ai profondi e risalenti legami tra i due popoli, all’interesse per il possibile bacino elettorale costituito dal voto argentino, e soprattutto le preoccupazioni sulla tenuta dell’esecutivo. La politica estera italiana esitò quindi tra la salvaguardia di tutte queste necessità e l’esigenza suprema di non generare una crisi del governo pentapartito guidato da Giovanni Spadolini, primo presidente del Consiglio non democristiano della storia repubblicana, e nel corso di una legislatura nata dopo le difficili elezioni politiche del 1979. In effetti la fragilità dell’esecutivo si manifestò con la sua caduta in agosto, e con la fine della stessa legislatura nel maggio successivo. Una prova difficile, anche se nel complesso superata, del paese ‘convalescente’ dopo la sconfitta del terrorismo e alla ricerca di una credibilità internazionale, che sarebbe maturata poco dopo con la partecipazione alle operazioni militari in Libano nell’agosto dell’82. Il saggio attinge alle fonti inedite costitute dai documenti britannici, solo recentemente resi accessibili, e le incrocia con la principale memorialistica dei protagonisti e con la bibliografia su quel periodo di storia repubblicana italiana.
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