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Costantino Esposito
Ruolo
Professore Ordinario
Organizzazione
Università degli Studi di Bari Aldo Moro
Dipartimento
DIPARTIMENTO DI STUDI UMANISTICI (DISUM)
Area Scientifica
AREA 11 - Scienze storiche, filosofiche, pedagogiche e psicologiche
Settore Scientifico Disciplinare
M-FIL/06 - Storia della Filosofia
Settore ERC 1° livello
Non Disponibile
Settore ERC 2° livello
Non Disponibile
Settore ERC 3° livello
Non Disponibile
It wouldn't be possible to understand the confrontation that Heidegger engages with the great question of nihilism without the long and meticulous interpretation of Nietzsche’s work, and in particular of the posthumous fragments known as “The will to power”. Starting from two apparently marginal passages of the course titled “Nietzsche: The European nihilism”, we will see how, according to Heidegger, more than in a loss, nihilism consists in a chance for western philosophy to remember the authentic ontological mystery. But such a comprehension is possible only because his research leads him to discover that the story of nihilism is, from Plato to the modern technical sciences, the story of metaphysics itself. This result allows him to re-think the constitutive lack-of-Being occurring in the time of nihilism as the necessary modality in which the being historically gives itself to us. Briefly retracing these heideggerian paths, the aim of this essay is to focus on and deepen the relationships of the German philosopher with ancient philosophy, modern and contemporary thought and, last but not least, Christianity.
Il volume si propone di presentare l'intero percorso del pensiero heideggeriano, non limitandosi ad una mera esposizione, ma individuando i punti critici salienti nei quali si possono vedere le "scelte" o opzioni teoriche che Heidegger ha compiuto rispetto alla tradizione filosofica occidentale, sebbene esse siano poi state presentate da lui (e spesso coltivate dagli interpreti) come un vero e proprio "destino" del pensiero. Questo libro vuole invece riaprire e mettere criticamente in questione le suddette scelte di Heidegger, vale a dire la sua decisione di vedere alcuni fenomeni (dell'esistenza e della storia), trascurandone altri, o la sua scelta riguardo alla percorribilità o impercorribilità di certe strade. Questa chiave di lettura permette di contestualizzare e di problematizzare questo pensiero più liberamente rispetto alle facili riduzioni di coloro che pensano di dover essere devotamente heideggeriani per poter capire Heidegger o di coloro che pensano di dover essere fieramente anti-heideggeriani per poterlo mettere criticamente in questione. La strada presa da questo libro è quella, più sobria, di trattare Heidegger come un campo di ricerca "storica", di comprendere i fattori genetici, contestuali ed evolutivi della sua opera, nella convinzione che si debba attraversare (e magari anche oltrepassare) la sua filosofia per comprendere maggiormente i problemi e le sfide del nostro tempo, segnato dal nichilismo e dal dominio della tecnica. La portata decisiva della presenza di Heidegger nella filosofia tra il XX e il XXI secolo emerge proprio riaprendo tutto il dossier delle sue domande, nei loro contesti determinati e nel loro sviluppo effettivo, non considerandole cioè come formule standard del pensiero contemporaneo (come pure rischia tante volte la scolastica heideggeriana o l'opposizione anti-heideggeriana), ma cercando di capire e valutare in maniera più "oggettiva" e spassionata le pretesa della sua ermeneutica. Questo spiega l’attenzione particolare che in questo volume è stata prestata – all'interno di una ricostruzione più complessiva – alla genesi e alla prima formazione del pensiero heideggeriano, e nello specifico, oltre al confronto con la fenomenologia husserliana, la sua lettura del cristianesimo delle origini (soprattutto Paolo e Agostino) e la sua assimilazione della "Fisica" di Aristotele. Anche le diverse interpretazioni dei momenti fondamentali della storia del pensiero metafisico proposte da Heidegger non vengono presentate come posizioni stereotipate, ma ricostruite come tappe di un lavoro serrato di attraversamento e ripensamento dei concetti e delle categorie fondamentali del pensiero filosofico, e quindi più come ipotesi da verificare criticamente che come filosofemi da ripetere. In definitiva, se Heidegger può essere compreso e valutato al meglio attraverso un lavoro di "storicizzazione" delle sue opzioni speculative, è soprattutto nella sua opera di scavo e di ripensamento della storia della filosofia il lascito più fecondo del suo pensiero rispetto al nostro tempo.
L'articolo mette a fuoco l'opera metafisica e teologica di Francisco Suárez, come un momento essenziale nella costituzione di un pensiero "barocco", luogo di passaggio e di incrocio di elementi storico-filosofici che abitualmente vengono presentati come alternativi o successivi, ma che in realtà costituiscono un plesso e un incrocio fra la tradizione tardo-scolastica e il pensiero proto-moderno, tra sistematica metafisica e dottrina teologica, tra ambito protestante/riformato e ambito cattolico. In particolare l'articolo prende le mosse dal tentativo suareziano (compiuto nelle "Disputazioni metafisiche" del 1597) di elaborare un ripensamento sistematico della metafisica in vista di una fondazione del discorso teologico. Questo avviene attraverso una considerazione del concetto di "ente in quanto ente" come "tessuto connettivo" di tipo ontologico che – sviluppando in senso filosofico le istanze dottrinali del Concilio di Trento – possa permettere di superare la frattura luterana tra natura e sovranatura e pensare insieme la creatura e Dio. Di qui deriva, in àmbito filosofico-giuridico (v. soprattutto il "De Legibus" suareziano), il tentativo di ripensare il concetto di "legge naturale" attraverso la nozione, o meglio la vera e propria "invenzione" del concetto di una "natura pura", una sorta di esperimento mentale inesistente di per sé (giacché esiste di fatto solo una natura integra, prima del peccato originale, e una natura decaduta dopo di esso), ma utile per ripensare il nesso tra natura e grazia che eviti sia la posizione luterana (la natura umana non può nulla senza la grazia) sia quella pelagiana (la natura umana è capace di compiersi in virtù di sé stessa). Questa posizione farà scuola nel successivo pensiero "moderno", che l'assumerà tuttavia tralasciando l'intento teologico-dottrinale di Suárez.
L’articolo intende affrontare una questione rilevante per l’interpretazione storico-critica del pensiero heideggeriano, vale a dire la questione riguardante l’uso che il filosofo ha fatto delle sue fonti cristiane. Questo implica una domanda sulla persistenza dell’o- rigine cristiana nel percorso filosofico di Heidegger, anche se come le tracce di una presenza nascosta o rimossa, e persino quando egli prende esplicitamente le distanze dalla sua tradizione dottrinale di provenienza. Per rispondere a questo interrogativo nel saggio si ripercorrono alcuni momenti dell’interpretazione heideggeriana del cri- stianesimo delle origini (Urchristentum), quali Paolo di Tarso (I Lettera ai Tessaloni- cesi), Agostino d’Ippona (Libro X delle Confessioni) e in parte Lutero. In questi casi si mostra un’acuta appropriazione dell’esperienza cristiana della vita, come vita fattuale, in termini di temporalità, storicità, inquietudine, preoccupazione di sé e caduta. Ma in questi fenomeni appare chiaramente anche la tendenza ermeneutica propria di Hei- degger: l’evento della grazia non si identifica più innanzitutto con un fatto, ossia con “qualcosa” di oggettivo che accade o con “Qualcuno” che viene incontro all’essere umano, ma si manifesta nel “come” della vita che si compie in se stessa. La vicinanza e in alcuni casi l’immedesimazione precisa di Heidegger con le sue fonti cristiane porta al tempo stesso in sé un progressivo distacco. Ma anche nel distacco permane l’inevi- tabile presenza dell’origine. The article intends to address a question that is relevant to the historical-critical inter- pretation of Heideggerian thought, namely the question of the philosopher’s use of his Christian sources. This implies a question about the persistence of Christian origin in Heidegger’s philosophical path, even if they are mere signs of a hidden or removed presence, and even when he explicitly distances himself from his doctrinal tradition of origin. To answer this question, the essay goes over some moments of Heideg- gerian interpretation of early Christianity (Urchristentum), such as Paul of Tarsus (First epistle to the Thessalonians), Augustine of Hippo (Book X of Confessions) and in part Martin Luther. In these cases, an acute appropriation of the Christian experience of life is shown as a factual life, in terms of temporality, historicity, restlessness, self con- cern and fallenness. But in these phenomena also the hermeneutical tendency of Hei- degger clearly appears: the event of grace is no longer identified first of all with a fact, that is, with “something” objective that occurs, or with “Someone” that encounters the human being, but is manifested in the “how” of life that is accomplished in itself. The proximity and in some cases the precise identification of Heidegger with his Christian sources at the same time leads to a progressive detachment. But even in the detach- ment, the inevitable presence of the origin remains.
Critical philosophy has been presented by Kant as an overcome of the 18th century Schulmetaphysik’s schemes; yet, it is also true that the metaphysics of the «School» has provided Kant with the essential framework of transcendental philosophy. In these perspectives the Kantian change can be seen as a profound rethinking of the meaning and function of some basic notion in modern ontology, starting from the Jesuit Scholasticism and expecially from the DM by Suárez: «ens» and «essentia», «possibilis» and «realis», «objectum» and «causa», «efficiens» and «transcendens». Such notions are reinterpreted by Kant in order to become new structures of critical metaphysics, but at the same time they maintain the essential core of the original meaning: in fact they explicitly realize their meaning within the Kantian system.
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