Effettua una ricerca
Luigi Carmine Cazzato
Ruolo
Professore Ordinario
Organizzazione
Università degli Studi di Bari Aldo Moro
Dipartimento
DIPARTIMENTO DI SCIENZE DELLA FORMAZIONE, PSICOLOGIA, COMUNICAZIONE
Area Scientifica
AREA 10 - Scienze dell'antichità, filologico-letterarie e storico-artistiche
Settore Scientifico Disciplinare
L-LIN/10 - Letteratura Inglese
Settore ERC 1° livello
Non Disponibile
Settore ERC 2° livello
Non Disponibile
Settore ERC 3° livello
Non Disponibile
Contemporary Europe is again haunted by the old stereotypes of corrupted southerners and virtuous northerners, lazy Mediterraneans and vigorous Teutons. This paper aims to survey these tropes among current academic and public debates, from postcolonial and southern studies perspectives. These labels and views have to do with discursive formations such as orientalism and meridionism, and stretch back to the Mediterranean colonial history dominated by northern modernity. Terms like “change”, “innovation”, “modernity” on one hand, and “immobility”, “tradition”, “backwardness” on the other, can be easily and predictably attributed to the two geo-cultural spaces. Nevertheless, our task is less attributing the right category to the right side than disrupting the whole paradigm, under the pressure of the migrations from the South.
Per Voltaire (1773) prima ed Hegel (2010) poi, la storia del progresso del mondo ha viaggiato seguendo il percorso geo-politico e climatico aristotelico1: dal dispotico Oriente verso il libero Occidente; mentre per Montesquieu (1994) essa ha viaggiato anche dai paesi caldi del Sud, timorosi come i vecchi, verso i paesi freddi del Nord, coraggiosi come i giovani. L’Europa non si è vista solo come l’altro rispetto all’Oriente, ma anche come l’altro rispetto al suo Meridione: il presente moderno del Nord di contro al passato antico del Sud. Nella seconda metà del Settecento, il secolo della nascita dell’orientalismo come sapere organico all’impresa coloniale dell’Occidente, vennero gettati anche i semi della pianta del meridionismo, sapere organico all’impresa della costruzione della moderna identità europea. I romantici inglesi coltivarono questa pianta.
Questo volume nasce nel tempo in cui lo spazio geografico è un punto di riferimento costante nelle scienze sociali e umane. È l’effetto dello spatial turn avvenuto con il postmodernismo e il postcolonialismo, quasi a segnalare la necessità impellente di riflettere sui modi della costruzione dello spazio, sociale o culturale che sia. Il tentativo è quello di raccontare, conoscere, criticare, “difendere” quella parte variegata del mondo che ha come nome “Sud”, nella convinzione che bisogna continuare a indicare strade e prospettive... da sud. È un’imprudenza sostenuta dalla consapevolezza che se il Sud ha un pensiero da avanzare lo fa dalla posizione del grado zero del potere, visto che da almeno cinque secoli il mondo è guidato da nord, quel Nord che, mentre sconvolgeva il pianeta con le sue rivoluzioni materiali e culturali, guardava al Sud o con occhi indulgenti o con occhi severi, quasi sempre con aria di superiorità. Il libro nasce poi in quella regione europea che ha “inventato” la questione meridionale, paradossalmente proprio nel momento in cui Meridione e Settentrione si dovevano unire. Questo paradosso si scioglie come neve al sole non appena si ricorda che un’espressione molto usata per il Mezzogiorno nei carteggi dei patrioti unitari e post-unitari settentrionali era “Questa è Affrica!” Per alcuni questa parte d’Italia lo è ancora, ma c’è una questione meridionale planetaria, e quest’Africa europea è chiamata in causa d’ufficio dall’incalzare sempre più pressante della Storia, adesso che da terra di emigranti è diventata terra di immigrati, e il confronto con i fantasmi del passato diventa inevitabile e doveroso.
Today, the question of human rights is powerfully and newly set by the ‘percolating’ global southern diaspora (mass migration), through new forms of intellectual and artistic engagement (spoken poetry, videos, music, graffiti, etc.) helped by digital media (mass mediation). These forms appeal less to the Kantian motto “dare to know” (sapere aude!) than to “dare to feel!” This article tries to demythify the main glorious moments of the Human Rights march as recorded by Western historiography and proposes an alternative decolonial genealogy and perspective, contextualising it within the framework of Modernity/Coloniality. Above all, having considered the ‘irrational’ outputs of rationality as the reliable agent on which to found a respectful attitude towards the other, it encourages, through Richard Rorty’s anti-Kantian proposal, a different ground on which to pose the question of Human Rights: sympathy rather than reason. The question of Palestine is the very irrational case in point. Rafeef Ziadah’s spoken poetry and Amer Shomali's multidisciplinary art, from their diasporic and mediatic dimension, may help to elucidate the proposal.
Condividi questo sito sui social