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Michele Romano
Ruolo
Ricercatore
Organizzazione
Università del Salento
Dipartimento
Dipartimento di Storia Società e Studi sull'Uomo
Area Scientifica
Area 11 - Scienze storiche, filosofiche, pedagogiche e psicologiche
Settore Scientifico Disciplinare
M-STO/04 - Storia Contemporanea
Settore ERC 1° livello
Non Disponibile
Settore ERC 2° livello
Non Disponibile
Settore ERC 3° livello
Non Disponibile
Questo articolo tratteggia prevalentemente le storie di due famiglie d’alto lignaggio, discendenti dalla grande nobiltà aggregata ai seggi napoletani, dalla fase di transizione dallo stato borbonico a quello unitario fino agli anni '80 dell'800. Si tratta dei Caracciolo de' Sangro duchi di Martina e dei Dentice principi di Frasso e di San Vito dei Normani, ex signorie feudali da tempo radicate nel Salento e da sempre impegnate in ruoli significativi nelle istituzioni militari, diplomatiche, ecclesiastiche e politiche sotto le varie dinastie regnanti. Nel corso dell’800, e fino a metà del '900, esse riescono a conservare prestigio, identità, ricchezze, potere e rilevanza sociale nonostante gli straordinari cambiamenti generali che dall’inizio del secolo stanno travolgendo anche l’aristocrazia del Mezzogiorno, le sue gerarchie interne, la natura e la consistenza delle sue risorse economiche, la sua funzione e collocazione nella società e rispetto all'evoluzione dei contesti statali e istituzionali. Tra questi cambiamenti c’è il crollo del Regno delle due Sicilie e la nascita del nuovo stato unitario. I Caracciolo de-Sangro e i Dentice di Frasso reagiscono a questi eventi in modi praticamente opposti. Per i primi, l’incognita rappresentata dal quadro normativo del nuovo stato unitario e la fervente fedeltà ai Borboni sono i motivi che li spingono ad allontanarsi subito dall’Italia per un lungo soggiorno a Parigi, lasciando la gestione del grande patrimonio fondiario ad amministratori spiati e controllati da una oliata rete di connivenze e dipendenze. I secondi, invece, meno ricchi della famiglia ducale martinese ma più attivi politicamente, meno coesi sul piano del lealismo borbonico, più sensibili al fascino delle idee liberali e sostenuti da una rete di solide e importanti alleanze parentali e amicali (da Cavour agli Asburgo d'Austria) si adattano immediatamente al cambiamento, probabilmente favoriti dai Savoia e dai governi liberali che puntano alle relazioni internazionali dei Dentice in un momento difficile per il nuovo stato unitario, cresciuto in fretta e tanto da destare preoccupazioni per gli equilibri continentali. Le storie così diverse di queste due famiglie s'inseriscono nel solco della recente produzione storiografica sul Mezzogiorno, che, alla luce di indagini empiriche e dettagliate, sta rivedendo le categorie interpretative e le formule riassuntive della letteratura meridionalistica tradizionale, cercando, tra l’altro, di compensare i vuoti lasciati dalla «rimozione» operata dalla storiografia contemporaneistica nei confronti della nobiltà, conseguenza, come ha sostenuto Giovanni Montroni, della perdurante «retorica risorgimentista e crociana che vuole le forze legate al sistema economico feudale distrutte dalle sinergie economiche e sociali messe in moto dal processo di unificazione nazionale»; sicché, la nobiltà è apparsa «scarsamente credibile anche come semplice coprotagonista della storia dell’Ottocento meridionale».
Il saggio ricostruisce la caratterizzazione produttiva dei centri urbani e rurali e la rappresentazione della geografia dell’industria nell’area dell’antica provincia di Terra d’Otranto nel secondo '900. Le fonti utilizzate sono i Censimenti industriali pubblicati dall’Istat a cadenza decennale dal 1951 al 1991. Per risolvere i problemi di comparabilità ascrivibili ai diversi metodi di classificazione con cui sono stati redatti, tali censimenti sono stati sottoposti a un procedimento di riordino secondo criteri di raccordo in parte originali e in parte già sperimentati dall’Istat. Il saggio consente di individuare a livello comunale e provinciale, per il periodo compreso tra il 1951 e il 1991, il numero di addetti e di unità locali (cioè gli impianti in cui si svolgono le attività produttive) per ogni ramo e classe di attività industriale, la mappa della specializzazione industriale (o attività industriale prevalente) e del tasso d’industrializzazione (rapporto tra lavoratori e popolazione residente).
This paper illustrates the first results of a research study inspired by the issue of local autonomies-regionalism- federalism within the current political and institutional debate. Contradictions that can be easily found in the relation among all the constitutive elements of the Republic of Italy, from municipalities to state as well as in the increase in state-region conflict due to a normative- constitutional framework which has evolved on the basis of often ‘colliding’ principles, has attracted jurists, constitutionalists, etc. Historical research can play a pivotal role in such a debate, especially in order to shed light on the processes which the institution of regions with ordinary statute in the 1970s brought about. Our perspective of analysis draws on the bottom-up logic of ‘case studies’: a slightly partial approach which privileges the territorial dimension of phenomena, also including those on a wider scale which were mentioned above. Some of the issues related to the development/local autonomies relation will be tackled, by taking into consideration the administration of the Brindisi province, in Apulia, in the second half of the 20th century. These are contentious issues, interpretative hypotheses which are based upon the empirical assessment of the role played bythe Brindisi province administration within the progress of the socio-economical scenario in such a crucial period as 1970-1990. Crucial, because during this period Brindisi, like the rest of Italy, faced the combination of numerous factors: the institution of regions bringing some novelties in the institutional function as well as in the original prerogatives of the provinces; the organic reform of the tax system having some repercussions on the fiscal system of both provinces and municipalities and considerably re- dimensioning the area of application of taxes typical of local entities; last but not least, he profound re- consideration of the state's policy of intervention in the South of Italy, until the 1986 reform which, among other things, introduced the principle of ‘pluralism of initiative’ (gradually substituting the obsolete principle of ‘additionality of state intervention’) and re-conferred some relevant financial room for intervention (thanks to the three-year development plans and to the annual ones) to territorial entities, at the expense of regions. The terminus ad quem is the Local Autonomy Law (June 1990), since it represents a turning point in history and marks a new beginning in a radically-changed national and international context following the advent of the long legislative process which, characterized by profound federalist modifications to the state order, reaches the ultimate proposal for a reform of local entities and the laws relating to autonomous entities.
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