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Cecilia Pannacciulli
Ruolo
Ricercatore
Organizzazione
Università degli Studi di Bari Aldo Moro
Dipartimento
DIPARTIMENTO DI GIURISPRUDENZA
Area Scientifica
AREA 12 - Scienze giuridiche
Settore Scientifico Disciplinare
IUS/08 - Diritto Costituzionale
Settore ERC 1° livello
Non Disponibile
Settore ERC 2° livello
Non Disponibile
Settore ERC 3° livello
Non Disponibile
Il contributo tratta delle implicazioni costituzionali dell’accesso condizionato a profilo personale su social network, traendo spunto da una recente sentenza del Consiglio di Stato (n. 848 del 2014) avente ad oggetto una sanzione disciplinare irrogata ad un agente della Polizia di Stato per essersi registrato su un noto sito di incontri on line e aver aperto un profilo personale, accessibile attraverso l’uso di un nickname contenente il suffisso trav (che rimandava al travestitismo), sul quale erano state inserite alcune foto del predetto agente, in cui lo stesso appariva vestito da donna e in abiti discinti. La corretta individuazione delle modalità comunicative utilizzate dal titolare del profilo on line diviene fondamentale ai fini dell’applicazione della rispettiva garanzia costituzionale al caso concreto: se l’art. 21 Cost. (con l’art. 10 CEDU) o l’art. 15 Cost. (con l’art. 8 CEDU), a seconda dell’esito della valutazione sulla idoneità delle modalità di esternazione a conferire natura pubblica o privata al rapporto comunicativo. La coesistenza nel caso de quo di entrambe le fattispecie consente di poter concludere che la sentenza del Consiglio di Stato è palesemente carente, nella parte motiva, sotto il profilo della mancata considerazione della garanzia costituzionale della riservatezza delle comunicazioni e, subordinatamente, della tutela della vita privata da interferenze abusive di terzi (art. 14 Cost.); è, altresì, erronea e contraddittoria, sotto il profilo della equiparazione – all’interno della medesima tutela giuridica – di due fattispecie (libertà di espressione e libertà di comunicare riservatamente) alquanto differenti.
L’articolo si occupa della vicenda del conflitto di attribuzione tra Procura di Palermo e Presidente della Repubblica in merito alla intercettazione “fortuita” delle conversazioni telefoniche di quest’ultimo, sul piano del delicato rapporto tra prerogative presidenziali e potere giudiziario. Dopo aver approfonditamente indagato i molteplici profili giuridicamente rilevanti della questione, si conclude per una soluzione che, facendo leva sugli artt. 15 e 89 e 90 Cost., affidi al giudice (in mancanza di disposizioni legislative ad hoc) il potere di adottare un’interpretazione costituzionalmente orientata delle norme codicistiche in materia di intercettazioni nonché una valutazione tanto più rigorosa dei dati aquisiti nell’indagine, quanto più questi ultimi siano sottratti al contraddittorio tra le parti: sottrazione in questo caso implicata dal fatto che l’eventuale pubblicazione del contenuto delle conversazioni, costituirebbe un’irrimediabile vulnus alla libertà di comunicazione riservata del Capo dello Stato. Vulnus che, al contrario, con riferimento alle garanzie del contraddittorio risulterebbe rimediato dalla presenza del giudice e dalla sua terzietà nella valutazione del materiale dell’inchiesta: sia il Presidente, sia le parti indagate, sia il Pubblico Ministero devono insomma “fidarsi” di lui e della sua competente capacità di discernimento.
Il saggio affronta la complessa tematica del ruolo della dirigenza pubblica, quale snodo fondamentale del rapporto politica-amministrazione,alla luce delle disposizioni costituzionali in materia. Attraverso l'esame degli artt. 97,98,28 e 54 Cost. e della giurisprudenza costituzionale si è cercato di individuare il ruolo "costituzionale" del dirigente pubblico nel rapporto tra istituzioni politiche e servizio alla collettività. Ne emerge una figura dirigenziale costituzionalmente orientata all'autonomia, competenza e professionalità, in funzione di contrappeso, e non subalternità, nei confronti del soggetto politico. Residuerebbero, dunque,margini molto ristretti circa il ricorso alle nomine "intuitu personae". A tal stregua si auspica, come suggerito dall'assetto costituzionale, un ripensamento della disciplina della dirigenza e, più in generale del pubblico impiego, su basi autenticamente pubblicistiche.
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