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Giuseppe Morgese
Ruolo
Ricercatore
Organizzazione
Università degli Studi di Bari Aldo Moro
Dipartimento
DIPARTIMENTO JONICO IN "SISTEMI GIURIDICI ED ECONOMICI DEL MEDITERRANEO: societa', ambiente,culture
Area Scientifica
AREA 12 - Scienze giuridiche
Settore Scientifico Disciplinare
IUS/14 - Diritto dell'Unione Europea
Settore ERC 1° livello
Non Disponibile
Settore ERC 2° livello
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Settore ERC 3° livello
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L’effetto congiunto delle riforme introdotte nell’ordinamento dell’Unione europea, con il Trattato di Lisbona del 2007, e nel sistema costituzionale italiano, con la legge costituzionale n. 3/2001 e relativa normativa d’attuazione, hanno reso nuovamente attuale la vexata quaestio del ruolo delle Regioni (e Province autonome) italiane nel sistema di relazioni esterne del nostro Paese e, in particolare, nei rapporti con l’Unione europea. E’ da dire, anzi, che la riforma del titolo V della Costituzione italiana del 2001, nel rimodulare l’assetto complessivo dei rapporti tra Stato ed Enti sub statuali nelle relazioni esterne dello Stato italiano attribuendo a questi ultimi Enti, con riferimento all’Unione europea, un ruolo molto più incisivo del passato sia nella fase “ascendente” che in quella “discendente”, ha di fatto anticipato le successive evoluzioni, nel medesimo senso, del diritto dell’Unione. In sostanza, la detta riforma costituzionale ha creato le condizioni di sistema perché anche il nostro ordinamento giuridico si evolvesse in coerenza con quelle tendenze dirette a valorizzare il ruolo del “… sistema delle autonomie locali e regionali”(art. 4, par. 2, TUE); tendenze presenti in molti ordinamenti di Stati membri dell’Unione e che, nell’ordinamento dell’Unione, hanno trovato una, seppur parziale, affermazione con il Trattato di Lisbona del 2007. E’vero che la riforma costituzionale del 2001 aveva una finalità soprattutto interna – confermate dalla successiva, recente, riforma dell’art. 97 Cost. - ma è anche vero che tale finalità è stata perseguita in un’ottica di marcata apertura verso l’ordinamento internazionale e l’ordinamento dell’Unione europea che è pregna di conseguenze sistematiche e, pertanto, di grande interesse scientifico per gli studiosi della materia. Come si segnala, infatti, nello studio che segue, il ruolo del diritto UE è divenuto cruciale perché, nel momento nel quale si introducevano elementi di federalismo nel nostro sistema istituzionale, sorgeva l’esigenza politica di evitare tendenze centrifughe che minassero il principio del riconoscimento e valorizzazione delle autonomie locali ferma restando l’unitarietà ed indivisibilità della Repubblica (art. 5 Cost.). Esigenza soddisfatta, appunto, individuando nella Costituzione, negli “obblighi internazionali” e nell’ordinamento dell’Unione europea i limiti di carattere generale che, condizionando l’attività istituzionale dei vari organi ed enti nazionali, hanno assunto la funzione di elementi unificanti il “sistema” così creato. In sostanza, nel momento nel quale si è ripensato, in generale, il sistema di riparto delle competenze e nel momento in cui lo Stato ha smesso di essere l’unico protagonista dell’attività di formazione ed attuazione degli obblighi “esterni” condividendola – seppur parzialmente - con gli altri Enti indicati, il legislatore costituzionale ha voluto affermare esplicitamente – quale evidente contrappeso e/o controlimite - la vincolatività generale degli obblighi indicati dall’art. 117, 1°co., Cost. e il “primato” delle relative norme. Come si sia “ristrutturato” l’ordinamento italiano a seguito di tale riforma, come si sia raccordata la suddetta riforma con gli sviluppi dell’ordinamento dell’Unione e che effetti sistematici il tutto abbia prodotto è oggetto di approfondimento in questo volume. Era, infatti, opportuno riesaminare, per gli aspetti ancora rilevanti, questa materia in passato oggetto di grande attenzione da parte della dottrina di diritto internazionale e comunitario. Ed era necessario riesaminare questa materia alla luce delle evoluzioni del diritto dell’Unione e del diritto interno italiano – di recente arricchito da una nuova normativa ordinaria d’attuazione (legge 24 dicembre 2012 n. 234) - individ
Directive No. 2011/95/EU (the so-called New Qualification Directive) makes some substantial changes to the existing Directive No. 2004/83/EC, such as a greater attention to the interests of the child and the related extension of the concept of the family; a suitable restriction of the actors of protection; further details about “internal flight alternative”; and the connection between causes and acts of persecution; an exception to the causes of cessation; and an approximation of part of the content of the two status of refugee and beneficiary of subsidiary protection, aiming at better “vertical” uniformity. On the other hand, one cannot fail to note some negative elements, above all the fact that the New Qualification Directive’s rules do not seem to be in line with the idea of “horizontal” uniformity between Member States. The latter still retain the possibility to introduce more favourable standards, thus differentiating their domestic legislation from other countries. Indeed, the contrasts are going to increase, since the Directive does not include Denmark, as it did before, nor the United Kingdom or Ireland.
L’articolo si occupa di esaminare due importanti sentenze con cui la Corte di giustizia dell’Unione europea (CGUE) ha precisato alcune disposizioni della direttiva 98/44/CE sulla protezione giuridica delle invenzioni biotecnologiche. Nella sentenza Monsanto Technology del 6 luglio 2010, si afferma che la protezione di un brevetto relativo a una sequenza di DNA non ha carattere assoluto ma relativo e che, pertanto, la protezione si estende al prodotto che la incorpora solo se e nella misura in cui la sequenza continui a svolgervi effettivamente la sua funzione. Nella sentenza Brüstle del 18 ottobre 2011, invece, si stabilisce il divieto di brevettabilità di prodotti e procedimenti comportanti il prelievo di cellule staminali ricavate da embrioni umani, qualora ciò implichi la distruzione di questi ultimi. Premessi cenni al dibattito sulla protezione giuridica dei trovati biotecnologici in Europa e al contenuto della direttiva 98/44, l’articolo analizza nel dettaglio le due sentenze. Con riferimento alla pronunzia Monsanto Technology, si giunge a riconoscere il carattere positivo delle conclusioni della CGUE in considerazione del carattere “incrementale” dell’innovazione biotecnologica e della necessità di un corretto bilanciamento degli interessi. Quanto alla pronunzia Brüstle, invece, si sottolinea un approccio eccessivamente cauto da parte della Corte, che lascia aperti alcuni interrogativi sul futuro della ricerca scientifica nel settore considerato.
Il contributo esamina il concetto e gli strumenti attuativi del principio della democrazia partecipativa di cui all’art. 11 del Trattato sull’Unione europea (TUE). Questo principio rappresenta una novità introdotta dal Trattato di Lisbona del 2009 e si affianca a quello, tradizionale, della democrazia rappresentativa nell’ottica di una migliore partecipazione dei cittadini europei alla vita democratica dell’Unione europea (UE). Il contributo, partendo da una breve premessa sul concetto di “democrazia”, illustra le ragioni dell’inserimento del principio in esame nei Trattati UE per poi procedere all’analisi delle sue modalità attuative. La prima modalità con cui l’art. 11 TUE attua il principio consiste nel dialogo civile “orizzontale”, e cioè nell’obbligo in capo alle istituzioni UE di dare a cittadini e associazioni rappresentative la facoltà di far conoscere e di scambiare pubblicamente le loro opinioni nei settori di azione dell’UE. La seconda modalità concerne, invece il dialogo civile “verticale” in base al quale le istituzioni UE hanno l’obbligo di mantenere un dialogo aperto, trasparente e regolare con le associazioni rappresentative e la società civile. La terza modalità, dal canto suo, ha a oggetto l’obbligo in capo alla Commissione di procedere ad ampie consultazioni delle parti interessate al fine di assicurare la coerenza e la trasparenza delle azioni dell’UE. La quarta e ultima modalità, infine, consiste nell’istituto di democrazia partecipativa più innovativo e “simbolico” del Trattato di Lisbona: la c.d. “iniziativa legislativa” dei cittadini europei i quali, in numero di almeno un milione e provenienti da un numero significativo di Stati membri, possono invitare la Commissione, seppur nel quadro delle attribuzioni di quest’ultima, a presentare una proposta appropriata su materie per le quali si ritiene necessario un atto giuridico UE ai fini dell’attuazione dei Trattati.
L’articolo esamina la sentenza della Corte di giustizia dell’Unione europea (CGUE) del 21 dicembre 2011 relativa al caso N.S. e altri. Questa decisione fornisce alcune linee guida sull’applicazione del regolamento Dublino II (n. 343/2003), il quale stabilisce i criteri e i meccanismi di determinazione dello Stato membro competente per l’esame di una domanda d’asilo presentata in uno degli Stati membri da un cittadino di Paesi terzi o da un apolide. La CGUE ha sottolineato il ruolo primario della tutela dei diritti fondamentali nell’applicazione della nozione di safe country e del principio di mutua fiducia tra Stati membri del sistema Dublino. Questi diritti, infatti, sono in grado di limitare il meccanismo di trasferimento ivi previsto al fine di proteggere i richiedenti asilo. In particolare, l’articolo evidenzia la portata e gli effetti della sentenza della CGUE, per la quale il diritto UE osta all’applicazione di una presunzione assoluta di rispetto dei diritti fondamentali da parte dello Stato membro responsabile secondo il sistema Dublino. Al contrario, l’art. 4 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea deve essere interpretato nel senso che gli Stati membri non possono trasferire un richiedente asilo verso lo Stato membro competente qualora non si possa ignorare che le carenze sistemiche nella procedura di asilo e nella condizioni di accoglienza dei richiedenti asilo in tale Stato inducono a ritenere che il richiedente asilo si possa trovare ad affrontare un rischio reale di essere sottoposto a trattamento inumano o degradante. In tal caso, secondo la Corte, lo Stato membro che deve effettuare il trasferimento del richiedente verso lo Stato competente ha l’obbligo di esercitare la c.d. “clausola di sovranità” del (vecchio) regolamento Dublino II o, in alternativa, identificare un altro Stato membro come responsabile, purché ciò non peggiori la violazione dei diritti fondamentali del richiedente.
Il contributo si occupa dell’attuazione del principio di solidarietà in materia di asilo nell’Unione europea (UE), con particolare riferimento alla ripartizione degli oneri derivanti dal sistema europeo comune di asilo (CEAS). Partendo da una breve analisi del concetto (e del principio) di solidarietà nell’UE, il lavoro considera l’art. 80 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE), che concerne il principio di solidarietà e di equa ripartizione delle responsabilità tra gli Stati membri nelle questioni relative ai controlli alle frontiere, all’immigrazione e all’asilo. Sotto questo profilo, vengono in primo luogo esaminate le iniziative di solidarietà “interna” (alla luce soprattutto del Programma di Stoccolma del 2009 e della Comunicazione della Commissione sulla solidarietà rafforzata del 2011): tra queste, si ricordano le prime iniziative di ricollocazione dei richiedenti asilo (in deroga al sistema Dublino) nonché il meccanismo di allerta rapido, di preparazione e di gestione delle crisi del regolamento Dublino III. In secondo luogo, si esaminano le misure di solidarietà “esterna”, tra cui i programmi di protezione regionale; le attività di sviluppo delle capacità nazionali dei Paesi terzi; il c.d. reinsediamento; il rafforzamento del sostegno all’UNHCR; e le procedure di ingresso protetto.
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