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Pierluca Massaro
Ruolo
Ricercatore
Organizzazione
Università degli Studi di Bari Aldo Moro
Dipartimento
DIPARTIMENTO JONICO IN "SISTEMI GIURIDICI ED ECONOMICI DEL MEDITERRANEO: societa', ambiente,culture
Area Scientifica
AREA 14 - Scienze politiche e sociali
Settore Scientifico Disciplinare
SPS/12 - Sociologia Giuridica, della Devianza e Mutamento Sociale
Settore ERC 1° livello
Non Disponibile
Settore ERC 2° livello
Non Disponibile
Settore ERC 3° livello
Non Disponibile
Il presente lavoro sostiene una riflessione critica sulla contraddittorietà e l’incoerenza delle politiche penali degli ultimi vent’anni in Italia. Sullo sfondo della crisi dello Stato sociale ed in assenza di una politica sociale della devianza, cavalcando l’onda emozionale della paura della criminalità e della domanda di sicurezza, le politiche penali hanno progressivamente allargato l’area della penalità ed irrigidito le pene edittali. Il sistema penitenziario non ha retto il peso sociale e materiale di tale indirizzo sicuritario e populista aprendo inevitabilmente quanto contraddittoriamente la porta a politiche emergenziali ispirate alla mera deflazione penitenziaria. La proposta, tuttavia, non è quella di maggiore certezza delle pene bensì quella di nuove politiche penali in grado di ripensare ruolo e funzioni del penitenziario.
La crisi apparentemente senza fine dell'istituzione penitenziaria e, più in generale, del sistema penale sembra rendere anche in Italia più allettante la proposta della restorative justice , fino ad oggi relegata ai margini del sistema di giustizia nonostante gli ampi e importanti spazi altrove conquistati e la pressione a livello internazionale esercitata dalle istituzioni dell'Unione Europea e dalle Nazioni Unite. L'applicazione limitata, peraltro circoscritta alla giustizia minorile, tradisce la tendenza all'appiattimento della restorative justice alla mediazione penale, che della prima è in realtà espressione e principale strumento applicativo, senza un'adeguata consapevolezza ed un opportuno approfondimento dei principi e degli obiettivi di fondo. Il rischio è quello di strumentalizzare la mediazione per interessi particolaristici non convergenti con quelli riparativi o, perlomeno, di ridimensionarne il senso e la portata. La giustizia riparativa si presenta come un paradigma nuovo di giustizia, con contenuti e obiettivi assai più ambiziosi rispetto alle contingenti esigenze deflattive del sistema penale e con potenzialità maggiori rispetto alla riparazione del danno cui rimanda l'espressione adottata. Il volume intende individuare e comprendere in primo luogo le diverse istanze sociali e scientifiche che hanno avallato nel corso degli ultimi decenni la proposta di un modello di giustizia riparativa e gli elementi che pongono quest'ultima in alternativa a quella tradizionale. L'obiettivo, pertanto, è quello di comprendere le potenzialità trascurate e i limiti non valicabili della restorative justice , per delineare possibili spazi applicativi nel panorama sociogiuridico italiano.
Sociological Analisys of Restorative Justice as paradigm of victim-oriented justice
L’esigua e poco recente letteratura scientifica sul tema insiste sull’inadeguatezza dell’istituzione penitenziaria a rendere conto delle esigenze e, in generale, delle specificità femminili. Un modello istituzionale creato da e per uomini in ordine al contenimento di attitudini tendenzialmente maschili quali l’aggressività e la violenza e che nega e mortifica la natura affettiva, emozionale, relazionale dell’universo femminile. Un assunto che pur avendo il merito di sottolineare l’insufficiente attenzione per le peculiari esigenze fisiche, psicologiche ed igienico-sanitarie femminili, nonché per i diversi modi adattamento, non considera la generale inadeguatezza dell’istituzione penitenziaria, indipendentemente dal genere dei detenuti, nello svolgere le funzioni ad esso attribuite e nel tutelare la dignità ed i diritti dei ristretti. La riforma penitenziaria del 1975, che pure aveva posto definitivamente fine al modello paternalistico ed autoritario prima vigente negli istituti femminili, ha generato un sistema carcerario la cui uniformità applicativa per entrambi i generi trova singole e giustificate eccezioni nelle norme dettate a tutela della gravidanza e della maternità. Non si tratta del problema dell’uguaglianza, normalmente alla base delle rivendicazioni femminili, ma al contrario di riconoscere una diversità ignorata in virtù della visibilità quasi nulla delle detenute, le quali vivono diversamente il tempo in carcere, utilizzando modi di adattamento peculiari, cercando di tessere relazioni di tipo empatico ed affettivo, spesso somatizzando le deprivazioni (amenorrea, stipsi, ecc.) o, a causa di queste, manifestando disturbi d’ansia o depressivi, questi ultimi tipici soprattutto delle madri costrette spesso a delegare la gestione dei propri figli. Solo di recente l’Amministrazione Penitenziaria ha elaborato uno schema di regolamento interno per le sezioni femminili, con il quale viene sollevata l’esigenza di un lavoro di sensibilizzazione finalizzato all’attivazione ed alla costruzione di un impianto concettuale, metodologico e di intervento politico e sociale che riconosca e valorizzi la differenza di genere, così dando piena attuazione alle norme, nazionali ed internazionali, che tutelano i diritti delle persone ristrette. In sintesi, il penitenziario è probabilmente un modello non femminile, in quanto non adeguato alle specifiche esigenze delle detenute, ma neanche maschile, in quanto sin dalla sua elaborazione moderna ha dimostrato la propria inadeguatezza tanto a rendere possibile la rieducazione come auspicato nel XX secolo, quanto a garantire livelli minimi di dignità. Indubbiamente le detenute presentano esigenze e bisogni specifici rispetto agli uomini, rispetto ai quali ancor di più soffrono l’inadeguatezza del carcere, soprattutto quando madri o gestanti. La brevità delle pene generalmente comminate nei confronti delle donne, nella pressoché certificata incapacità del carcere di rispettare il dettato costituzionale che attribuisce alla pena una funzione rieducativa, deve spingere nella direzione di soluzioni alternative. Soluzioni nell’ambito delle quali elaborare percorsi trattamentali consoni alle esigenze femminili, soprattutto di tutela della relazione madre-bambino nel contesto di un ambiente adeguato, quale non è, certamente, il carcere. Altre strade, percorse con soddisfacenti risultati in numerosi Paesi, come nel caso, ad esempio, della mediazione penale, meriterebbero una maggiore attenzione da parte del legislatore e, prima ancora, dalla ricerca sociale. Quest’ultima, infatti, deve anticipare le scelte del legislatore, tornando a studiare da vicino la detenzione femminile.
The present paper sustains a sociologically based reflection drawn from the models of juvenile justice and proposes the implementation of spaces thus far conquered by restorative justice through processes of penal mediation. Such a paradigm has in practice provided, while in need of further epistemological clarification, a solid account of itself in relation to the needs of the victim and the offender. Participation in mediation is suggested here as functional to the accountability of the minor, a critical step to attaining the activation of rehabilitation pathways, otherwise difficult to achieve. Such considerations may induce the legislature towards non-deferrable regulatory interventions and the juvenile judiciary towards reflecting on its own legal culture, marked by paternalistic attitudes, at the expense of choices simply made in terms of lenience.
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