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Ignazio Lagrotta
Ruolo
Ricercatore
Organizzazione
Università degli Studi di Bari Aldo Moro
Dipartimento
DIPARTIMENTO JONICO IN "SISTEMI GIURIDICI ED ECONOMICI DEL MEDITERRANEO: societa', ambiente,culture
Area Scientifica
AREA 12 - Scienze giuridiche
Settore Scientifico Disciplinare
IUS/09 - Istituzioni di Diritto Pubblico
Settore ERC 1° livello
Non Disponibile
Settore ERC 2° livello
Non Disponibile
Settore ERC 3° livello
Non Disponibile
L'articolo affronta le problematiche connesse al c.d. "blocco degli scatti stipendiali" del personale docente dell'università. L'A. indaga sia la questione relativa all'applicabilità delle disposizioni relativa al blocco degli scatti ai docenti universitari sia i profili di legittimità costituzionale della normativa. Con riferimento al primo aspetto l'A. evidenzia che a partire dall'art. 3 ter D.L n. 180 del 10 novembre 2008 i docenti e i ricercatori universitari non fruiscono più di un meccanismo di progressione automatica degli stipendi; disposizione confermata dall'art. 6, comma 14, della L. 240 del 30 dicembre 2010. Con riferimento ai profili di costituzionalità lesione del principio di uguaglianza e, sotto vari profili, irragionevoli ed inique. Sospetti di incostituzionalità suscita la sterilizzazione dell’anzianità (con riferimento a tutte le classi di professori e ricercatori, indistintamente) per il carattere non contingente ma permanente di tale misura. Così come le disposizione contestate appaiono lesive dell'imperativo costituzionale comportato dal principio di eguaglianza, per il quale il legislatore é tenuto a distribuire i sacrifici derivanti da una politica economica di emergenza nel più totale rispetto di una sostanziale parità di trattamento fra tutti i cittadini.
L’analisi dal punto di vista giuridico della Carta degli Operatori Sanitari, approvata dalla Congregazione per la Dottrina della Fede nell’ottobre del 1994 per iniziativa del Pontificio Consiglio della Pastorale per gli Operatori Sanitari, costituisce l’occasione per l’A. per svogere una riflessione sulla proliferazione dei codici deontologici e di autodisciplina, che gli operatori di un determinato settore adottano autonomamente, per disciplinare l'esercizio della propria attività rappresenta uno dei fenomeni caratterizzanti la nostra epoca. L’affermarsi di tali codici e, soprattutto, dei principi normativi in essi contenuti evolve l’assetto istituzionale verso un <<ordinamento a composizione plurima>>, nel quale <<la statualità del diritto ... è ... messa in discussione e la legge spesso si ritrae per lasciare campi interi a normazioni di origine diversa>>; tanto da indurre a far ritenere superata la tradizionale prospettiva di una <<discontinuità e separazione tra regola etica e giuridica>>. Secondo l’A. la Carta dimostra che nessuno dei complessi problemi posti dal rapporto inscindibile tra medicina e morale può considerarsi terreno neutro nei confronti dell’etica ippocratica e della morale cristiana. Inoltre, se il rispetto della dignità della persona, quale valore fondante del nostro ordinamento e non solo, rappresenta la prospettiva da privilegiare per affrontare le questioni poste dal rapporto medico-paziente, la Carta è coerente con una tale opzione di fondo. Le direttive in essa contenute in tema di accanimento terapeutico e di eutanasia, di tutela della vita e procreazione, di trapianti e manipolazioni genetiche, si presentano, tutte ragionevolmente bilanciante nel pieno rispetto della dignità dell’uomo e della persona. E la previsione concernente l'assistenza al malato inguaribile, nel porre in primo piano il dovere di assistenza morale, pare anche assumere il significato di energico ammonimento al medico ed all’operatore sanitario in genere, in ordine alla peculiarità della sua funzione.
L’A. parte parte dall’analisi del concetto di laicità dello Stato e più in generale del fenomeno religioso sottolineando i valori del Cristianesimo che hanno contribuito ad alimentare la parte più viva del costituzionalismo contemporaneo. Attraverso l'analisi di due casi affronta le decisioni della Consiglio di Stato la n. 566/2006 e della Corte di Strasburgo Lautsi c. Italia. La prima delinea le condizioni d'uso del concetto di laicità in Italia: a) la portata di quello che si può affermare essere il diritto costituzionale in materia religiosa; b) il rapporto tra la laicità ed il patrimonio culturale comune. L’A. evidenzia che più che auspica(re) (e rivendica(re)) una parete bianca, la sola che secondo alcune tesi propugnate appare particolarmente consona con il valore della laicità dello Stato, sarebbe opportuno indagare la capacità di impatto e di interfaccia che le differenti applicazioni del principio di laicità dello Stato (v. caso Francia) hanno con le sfide poste dalle società multietniche, che impongono di bilanciare l’apertura all’integrazione culturale delle popolazioni immigrate e il rispetto della loro libertà di coscienza e di religione con la prudente salvaguardia anche di quelle tradizioni nazionali che assicurano la coesione del tessuto sociale (e non solo). In tale prospettiva la “neutralità” dello spazio pubblico può risultare non solo più discriminante della stessa presenza di simboli religiosi collettivi, corrispondenti alle tradizioni ed ai valori costituzionali tutelati dai singoli Paesi, ma soprattutto meno capace di sviluppare integrazione con la non trascurabile conseguenza di una laicità intesa quale antireligiosità che, come è stato osservato, non ci appartiene. La seconda pronuncia traccia un plausibile approdo per l'UE per lo status delle Chiese e delle associazioni o comunità religiose: espressione dell'identità degli Stati membri e delle loro culture quale componente del patrimonio comune.
L'A. ripercorre il lungo iter di istituzione delle Città metropolitane sottolineando aspetti problematici di rilevanza costituzionale del processo attraverso una veloce riflessione sullo Statuto e sulle funzioni. Le conclusioni dell'A. evidenziano che la strada per l’attuazione delle Città metropolitane è ancora molto lunga ed il successo dell'Ente necessita di un approccio culturale nuovo che sappia attribuire a detto Ente una funzione amministrativa di secondo grado e non un funzione politica.
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