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Silvana Trabace
Ruolo
Ricercatore
Organizzazione
Università degli Studi di Bari Aldo Moro
Dipartimento
DIPARTIMENTO DI GIURISPRUDENZA
Area Scientifica
AREA 12 - Scienze giuridiche
Settore Scientifico Disciplinare
IUS/15 - Diritto Processuale Civile
Settore ERC 1° livello
Non Disponibile
Settore ERC 2° livello
Non Disponibile
Settore ERC 3° livello
Non Disponibile
Nel saggio l’A. trae spunto da una ordinanza del Tribunale di S.M. Capua Vetere (22 gennaio 2013) per esaminare l’istituto del sequestro di cui all’art. 689 c.p.c., il cui ambito di applicazione appare quantomeno controverso. Stando all’interpretazione prevalente, tanto in dottrina quanto in giurisprudenza, la misura troverebbe il suo impiego elettivo nei casi in cui il debitore contesti l’esistenza di un’obbligazione a suo carico e, per questo, pur non essendo disposto a dare esecuzione alla stessa, voglia evitare di incorrere nelle conseguenze della sua mora in attesa di una decisione che rigetti le pretese della controparte. Le critiche cui questa impostazione presta il fianco appaiono tutt’altro che trascurabili (a partire dalla possibilità che il sequestro si presti ad un impiego distorto e confliggente con gli istituti previsti nel nostro ordinamento per la liberazione coattiva del debitore in caso di mora credendi, quale strumento idoneo ad effettuare un’offerta meramente fittizia della prestazione, effettuata dall’obbligato al solo scopo di sottrarsi agli effetti della mora, impedendo nel contempo che la controparte possa però conseguire quanto a lei dovuto) e inducono l’A. a respingere in radice la possibilità di estendere l’impiego del sequestro in esame alle ipotesi di vera e propria mora debendi, limitandolo, invece, ai soli casi in cui l’inadempimento del debitore derivi da cause indipendenti dalla sua volontà
L’opera monografica indaga l’istituto del sequestro disciplinato dall’art. 687 c.p.c. e comunemente noto come sequestro liberatorio. Il volume si apre con un capitolo che traccia l’origine storica del sequestro liberatorio, prosegue con l’analisi della sistemazione che esso riceve nei lavori per il codice di procedura civile del 1942, si incentra poi nell’esame del campo di applicazione dell’art. 687 c.p.c. e si chiude con la trattazione dei profili procedimentali. L’analisi condotta delinea con chiarezza i principali problemi dell’istituto. In primo luogo, l’estensione del suo impiego al di là della ipotesi in cui il debitore non contesti l’esistenza del proprio obbligo (e si versi quindi in un caso di mora credendi), fino a toccare il caso in cui il debitore contesti l’esistenza dell’obbligo, ma voglia evitare gli effetti della mora debendi, qualora una sentenza gli dia successivamente torto. In secondo luogo, la natura del sequestro liberatorio: da taluni considerato un equivalente funzionale del deposito liberatorio; da altri collocato all’interno della tutela cautelare. Diversità di ricostruzione che incide evidentemente anche sull’individuazione della disciplina applicabile. L’indagine storica rivela un ulteriore esempio dei difetti di coordinamento nei lavori preparatori per il codice civile ed il codice di procedura civile. In questo caso essi si sono manifestati in due interventi paralleli nella materia della mora del creditore e dei sequestri. Essi hanno finito per mettere in crisi la prevalente ricostruzione che coglieva l’elemento distintivo tra deposito liberatorio e sequestro nell’oggetto dell’obbligazione da cui il debitore intendeva liberarsi, ammettendo il ricorso al sequestro nei casi in cui il deposito non fosse materialmente o giuridicamente possibile. In particolare, la previsione che il sequestro possa essere concesso «quando è controverso l’obbligo in sé» ha aperto la prospettiva di allargare il campo di applicazione a casi diversi dalla mora credendi. L’ipotesi ricostruttiva, prendendo le distanze da quello che appare oggi l’impiego prevalente dell’istituto, riconosce che la situazione sostanziale di riferimento del sequestro liberatorio continua ad essere solo ed esclusivamente quella in cui alla volontà di adempiere manifestata da una parte si opponga il contegno dell’altra che si rifiuti di ricevere quanto offerto.
L’A., nell’annotare la sentenza delle sezioni unite, n. 22726, del 3 novembre 2011, affronta il problema della portata applicativa dell’art. 369, n. 4, c.p.c., così come novellato dall’art. 7, d.l. 40/2006, in forza del quale il ricorrente ha l’onere di depositare «gli atti processuali, i documenti, i contratti o accordi collettivi sui quali il ricorso si fonda», sanzionando con l’improcedibilità il mancato rispetto di siffatto onere. Il saggio dopo aver dato preliminarmente conto dei due differenti orientamenti interpretativi espressi dalla cassazione (uno più formalistico e rigoroso, secondo cui l’onere in questione avrebbe ad oggetto tutti gli atti e i documenti necessari alla decisione, a prescindere dalla circostanza che i medesimi siano già contenuti nel fascicolo di causa e siano, pertanto, destinati a pervenire nella disponibilità dei giudici di legittimità in base a differenti previsioni normative; e un altro che limita invece l’onere di deposito ai soli atti estranei al fascicolo d’ufficio) pone in evidenza la maggiore coerenza dell’interpretazione più liberale, alla luce della quale, una volta che il ricorrente si sia assicurato la trasmissione del fascicolo d’ufficio, il principio generale di strumentalità delle forme rispetto allo scopo induce ad escludere che la parte possa incorrere in sanzioni per non avere depositato atti di cui la Corte comunque disporrà al momento dell’esame del ricorso
La nota, di commento a Cass. 21 giugno 2013, n. 15669, partendo dal problema dell’inquadramento o meno del sequestro previsto dall’art. 1216 c.c. tra le misure cautelari, si occupa di stabilire l’applicabilità alla stessa del rito cautelare c.d. uniforme di cui agli artt. 669 bis ss. c.p.c.
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