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Giovanna Reali
Ruolo
Professore Associato
Organizzazione
Università degli Studi di Bari Aldo Moro
Dipartimento
DIPARTIMENTO DI GIURISPRUDENZA
Area Scientifica
AREA 12 - Scienze giuridiche
Settore Scientifico Disciplinare
IUS/15 - Diritto Processuale Civile
Settore ERC 1° livello
Non Disponibile
Settore ERC 2° livello
Non Disponibile
Settore ERC 3° livello
Non Disponibile
L'autrice esamina le novità introdotte dalla riforma del concordato fallimentare, soffermandosi sui principali problemi interpretativi e applicativi sollevati dalla nuova normativa.
Dopo l’entrata in vigore del d.lgs. n. 150/2011 non sono pochi i dubbi e le incertezze sollevati dalla nuova normativa sulla semplificazione dei riti. L’articolo esamina la disciplina comune alle controversie regolate secondo il rito del lavoro, come corretto e modificato dall’art. 2 del decreto. L’autrice analizza poi le cospicue novità introdotte dall’art. 4 d.lgs. 150/2011 in tema di mutamento del rito, rivolgendo particolare attenzione ai principali problemi interpretativi e applicativi che essa pone all’interprete.
La l. 80/2005, nel delegare il governo ad adottare un decreto legislativo recante modificazioni al c.p.c., indicava tra i criteri direttivi della riforma del processo in Cassazione, l’introduzione di «meccanismi idonei modellati sull’attuale articolo 363 del codice di procedura civile», relativo al ricorso nell’interesse della legge. L’istituto, nato in Francia sotto l’ancien régime e recuperato dai rivoluzionari francesi, come strumento di controllo dei giudici, sopravvisse nel c.p.c. francese del 1806 e fu accolto dapprima dal codice di procedura civile italiano del 1865 e poi, con una diversa denominazione e con qualche lieve modifica, dal c.p.c. del 1940, restando però sostanzialmente disapplicato. Sulla scia dell’insegnamento di Piero Calamandrei, esso fu ben presto considerato la più schietta prova della funzione nomofilattica della Cassazione, sicché non è un caso se il legislatore nel 2006 lo abbia ritenuto un tassello importante del suo ambizioso disegno di recuperare e potenziare tale funzione. Al fine di rivitalizzare l’istituto, la riforma ha introdotto alcune novità che hanno destato particolare interesse, riaccendendo l’attenzione sulla norma. Il legislatore, pur lasciando ferma la “tradizionale” iniziativa del procuratore generale, ha per un verso riconosciuto alla Suprema Corte il potere di enunciare d’ufficio il principio di diritto quando il ricorso proposto dalla parte interessata è dichiarato inammissibile e la questione sia di particolare importanza e, per l’altro, ampliato l’ambito operativo dell’istituto ai «provvedimenti non ricorribili o altrimenti impugnabili». La modifica, rivolta a sollecitare l’esercizio della nomofilachia in settori normalmente sottratti a qualsiasi controllo di legittimità, ha diviso la dottrina, sollevando critiche, ma anche molti apprezzamenti e ponendo alcune questioni interpretative oggetto di approfondimento. Sta di fatto che, all’indomani dell’entrata in vigore della riforma, mentre il ricorso del procuratore generale ha continuato a restare lettera morta, la pronuncia d’ufficio ha conosciuto le prime applicazioni ad opera dei giudici di legittimità, i quali, a fronte di questioni di particolare importanza, si sono subito mostrati disponibili a esercitare la funzione di orientamento giurisprudenziale in materie sottratte al loro controllo, fornendo una lettura estensiva dei limiti di applicabilità del nuovo art. 363 c.p.c., a tutto vantaggio dell’uniformità e della certezza del diritto.
Oggetto di esame è l’istituto dell’interrogatorio delle parti nel processo civile. Il codice di procedura civile prevede due tipi di interrogatorio, quello formale (art. 230 c.p.c.), risalente a un’antica tradizione, e quello non formale (o libero), introdotto dal codice del 1940 (art. 117 c.p.c.) e variamente regolato da alcune riforme quanto al suo espletamento nella prima udienza (artt. 183 e 185 c.p.c.). Il lavoro analizza la disciplina positiva e i profili di criticità dei due interrogatori, ponendo in evidenza la diversità che li contraddistingue sul piano dell’iniziativa, delle modalità di svolgimento e della funzione.
Lo scritto analizza l'art. 5 del d.lgs. 28/2010 nella parte in cui disciplina la mediazione obbligatoria e quella delegata. Tra le disposizioni del decreto che "impongono" la mediazione un ruolo particolarmente rilevante è svolto dall'art. 5, 1° comma, che disciplina le ipotesi in cui la comparizione dei litiganti davanti al mediatore costituisce un passaggio obbligato per chiunque voglia accedere alla tutela giurisdizionale del proprio diritto. Dopo aver esaminato l'ambito operativo della norma e i dubbi interpretativi da essa posti, viene approfondita la disciplina positiva sotto il profilo della inosservanza dell'obbligo e delle conseguenze sul processo. Quindi, l'autrice affronta le non poche questioni controverse, passando a considerare le ipotesi di esenzione totale o parziale, per soffermarsi infine sui dubbi di legittimità costituzionale già all'attenzione della Consulta. Lo scritto si conclude con l'esame della apprezzabile novità della c.d. mediazione delegata, esperibile su invito del giudice e ricorrendo il presupposto dell'accordo delle parti e sui suoi possibili riflessi sulla disciplina del tentativo di conciliazione previsto dall’art. 185 c.p.c.
L’articolo esamina l’istituto della mediazione obbligatoria introdotta in Italia dal d.lgs. 28/2010. L’istituto, sin dal suo apparire, è stato criticato da larga parte della dottrina, sollevando immediatamente molti dubbi sulla legittimità costituzionale. La Corte costituzionale, con la sentenza n. 272/2012, ha dichiarato l’illegittimità della norma sulla mediazione obbligatoria, nuovamente introdotta tuttavia dal decreto legge 69/2013, convertito dalla legge 98/2013. Oggetto di approfondimento sono le principali novità e i problemi sollevati dalla disciplina, in particolare per quanto concerne lo scopo della previsione legislativa e limiti entro cui l’obbligatorietà opera come condizione di procedibilità della domanda. Inoltre, l’autrice analizza criticamente la nuova previsione sull’assistenza tecnica dell’avvocato e sulla mediazione obbligatoria su ordine del giudice, nonché la norma relativa al mancato accordo alla prima udienza quale nuova ipotesi di procedibilità della domanda.
L’autrice esamina il tema dell’ascolto dei figli minori nei processi di separazione e divorzio. L’istituto è disciplinato dall’art. 155-sexies, 1° comma, c.p.c. ed è oggetto di un vivace dibattito dottrinale, alimentato anche di recente dall’introduzione del nuovo art. 315-bis, 3° comma, c.c., che ha espressamente riconosciuto il diritto sostanziale del fanciullo a essere ascoltato in tutti i procedimenti che lo riguardano. La disciplina dell’audizione viene valutata positivamente per quanto riguarda l’introduzione del dovere del giudice di sentire il bambino, viceversa è fortemente criticata per gli altri aspetti. In particolare, la genericità del dettato normativo è fonte di notevoli incertezze che investono primariamente la natura giuridica dell’istituto, costituendo uno dei profili più delicati e discussi dell’ascolto. L’autrice critica anche l’assenza di regole sulle modalità dell’audizione, con conseguenze negative sul piano delle garanzie e della tutela dei fondamentali diritti dei minori e dei coniugi. The author examines the theme of hearing of minor children in the legal process of separation and divorce. The institute is provided by art. 155-sexies, paragraph 1, of the code of civil procedure and is the subject of a lively doctrinal debate, also for the recent introduction of the new article 315-bis, paragraph 3, of the civil code, which has recognized the right of the child to be heard in all procedures involving him. The discipline is positively assessed regarding the introduction of the duty of the judge to hear the child, while it is strongly criticized to the other aspects. In particular, the vagueness of the law creates a lot of uncertainty regarding the juridical nature of institute, which is one of the most delicate and discussed profiles. The author also criticizes the absence of specific rules on how to conduct the hearing with negative consequences for the fundamental rights of the child and spouses.
Nel processo civile la deduzione dei fatti e delle prove è sottoposta a un sistema di preclusioni che matura nelle battute iniziali del giudizio di primo grado. L’autrice esamina le principali questioni attinenti alla fase probatoria del processo ordinario e del lavoro, soffermandosi in particolare sulla disciplina delle preclusioni e dei poteri istruttori d’ufficio del giudice del lavoro.
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