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Paolo Ponzio
Ruolo
Professore Ordinario
Organizzazione
Università degli Studi di Bari Aldo Moro
Dipartimento
DIPARTIMENTO DI STUDI UMANISTICI (DISUM)
Area Scientifica
AREA 11 - Scienze storiche, filosofiche, pedagogiche e psicologiche
Settore Scientifico Disciplinare
M-FIL/06 - Storia della Filosofia
Settore ERC 1° livello
Non Disponibile
Settore ERC 2° livello
Non Disponibile
Settore ERC 3° livello
Non Disponibile
«Dio, esperienza dell'uomo» e «l'uomo, esperienza di Dio». Sono queste le due locuzioni con le quali si può sintetizzare tutta la portata del pensiero filosofico di Zubiri intorno al nesso tra uomo e Dio. L'uomo è solo formalmente esperienza di Dio, perché Dio ci si dà nella forma della realtà-fondamento. La posizione filosofica di Zubiri assume una sua connotazione unitaria nel momento in cui si inizia a comprendere l'unità del pensiero che vi è tra metafisica della realtà, filosofia dell'intelligenza e pensiero metafisico-religioso. L'interesse del filosofo spagnolo, infatti, si è sempre costituito nella sua unità e totalità. Parlare di infinito è possibile solo a partire dal finito: così per comprendere qualcosa della trascendenza occorre fermarsi a guardare in profondità ciò che abbiamo di più caro: la realtà in se stessa.
Siamo spinti dalle cose reali, dalla re-legazione, alla ricerca della realtà divina. Farsi persono significa ricercare la realtà divina. Con queste poche parole contenute nel testo manoscritto qui pubblicato a cui Xavier Zubiri, pochi giorni prima di morire, stava lavorando, il filosofo spagnolo sembra indicare quale sia il compito dell’uomo in cerca di Dio: “Dio, esperienza dell’uomo” e “l’uomo, esperienza di Dio”. In queste due locuzioni si può forse sintetizzare tutta la portata del pensiero filosofico di Zubiri intorno al nesso tra uomo e Dio: «In ragione di Dio, Dio è esperienza dell’uomo; in ragione dell’uomo, l’uomo è esperienza di Dio». Nessuno dei due termini – Dio e l’uomo – può possedere l’altro: l’uomo non ha esperienza di Dio, né potrà mai averne; non è nelle possibilità dell’uomo avere una simile esperienza, non per capacità ma per sua attitudine. L’uomo è formalmente esperienza di Dio, perché Dio ci si dà nella forma della realtà-fondamento. La posizione filosofica di Zubiri assume una sua connotazione unitaria nel momento in cui si inizia a comprendere l’unità di pensiero che vi è tra metafisica della realtà, filosofia dell’intelligenza e pensiero metafisico-religioso. L’interesse del filosofo spagnolo, infatti, si è sempre costituito nella sua unità e totalità. Parlare di infinito è possibile solo a partire dal finito: così per comprendere qualcosa della trascendenza occorre fermarsi a guardare in profondità ciò che abbiamo di più caro: la realtà in se stessa. Ecco il percorso che, attraverso i testi che qui si pubblicano per la prima volta in italiano, Zubiri desidera far compiere al lettore: dalla realtà delle cose all’uomo, e da questi a Dio. Sbaglia, però, chi pensa si tratti di un cammino lineare: Dio, in quanto realtà assolutamente assoluta, sta presente in ogni momento dell’esperienza. Come potere del reale e come fondamentalità nell’uomo. Questi, infatti, non potrà mai pervenire a una conoscenza diretta di Dio, se non in quanto fondamento delle cose reali. Ed è proprio attraverso la realtà che Dio si rende conoscibile all’uomo. In che modo? Attraverso un atto di donazione, o meglio, una donazione come atto: «Dio è fondamento delle cose come un assoluto dar di sé». Per questo l’esperienza del dono ci permette di conoscere Dio in quanto realtà che fonda il reale.
Il saggio intende guadagnare, da un punto di vista storico, il problema della verità nelle opere di Xavier Zubiri, a partire dai suoi primi scritti sino alla grande sintesi definitiva del suo pensiero filosofico contenuta nella trilogia su "Inteligencia senciente".
Nel vasto panorama di studi storico-filosofici sul caso Galileo, le figure di Roberto Bellarmino e di Benito Perera sembrano aver assunto valenze differenti. Mentre, infatti, il ruolo assunto dal grande consultore del Sant’Uffizio è quasi sempre riferibile a problematiche inerenti il solo dato giuridico-inquisitorio, la posizione di Benito Perera rappresenta quel riferimento teologico cui non è possibile fare a meno quando si vogliano affrontare le questioni teologiche introdotte nelle Lettere copernicane dello scienziato pisano. Anzi, secondo alcuni studiosi, Perera rappresenterebbe l’unico modello esegetico preso in considerazione da Galileo. Il presente intervento mira a una riconsiderazione delle tre persone alla luce dei ruoli e dei contesti di un’epoca ricca di eventi paradigmatici. Per questo motivo, a una prima parte tesa a comprendere quale sia stata la strategia dello scienziato negli anni compresi tra il 1611 e il 1616, seguirà una seconda nella quale si cercherà di mettere in parallelo le tesi dei due gesuiti in un confronto serrato con i testi galileiani. In questo modo potremo forse recuperare un abbozzo reale che ci permetta di leggere, senza preclusioni ideologiche, quali siano state le esigenze della teologia da una parte e della scienza dall’altra. Come ebbe a dire in un celebre intervento l’allora Joseph Ratzinger all’interno della “Giornata celebrativa per il 100° anniversario di fondazione della Pontificia Commissione Biblica”, il nesso tra esegesi, magistero ed eventi naturali è sempre stato il frutto di una lunga e faticosa ricerca perché «il rapporto tra l'apparenza esterna e il vero e proprio messaggio dell'insieme doveva essere rivisto a fondo, e solo lentamente si sarebbero potuti elaborare i criteri che avrebbero permesso di mettere in un giusto rapporto fra loro la razionalità scientifica e il messaggio specifico della Bibbia». È di questo rapporto che desideriamo discutere, cercando di mettere in luce attraverso le mosse teoriche dei nostri tre protagonisti: Galileo, Bellarmino e Perera.
Il saggio desidera dare una rappresentazione del quadro delle relazioni, nel XVII secolo, tra teologia e novità scientifiche galileiane, e più precisamente, tra esegesi biblica e realtà naturale, a partire da quegli spunti dottrinali post-tridentini che hanno caratterizzato il dibattito all’interno e all’esterno della teologia. In questa prospettiva, l’autore intende prendere in considerazione, come momenti di origine della stessa rappresentazione, tre autori che in misura differente costituiscono altrettanti punti di riferimento nell’intera vicenda galileiana: Roberto Bellarmino, Paolo Antonio Foscarini e Tommaso Campanella. Roberto Bellarmino, autore delle famose Disputationes de controversiis christianae fidei, negli anni d’insegnamento a Lovanio, pur non sviluppando un proprio modello cosmologico, assumerà una serie di posizioni legate a problemi astronomici, volti a salvaguardare alcuni specifici aspetti della teologia cattolica post-tridentina. Il suo programma sembra essere del tutto in linea con la teologia esegetica della Compagnia di Gesù che prevedeva un uso compatto dell’interpretazione letterale e storica della Sacra Scrittura. A differenza del gesuita, Tommaso Campanella suggerirà, all’interno della sua Apologia pro Galilaeo, l’esigenza di sviluppare una libertà del filosofare – al cui interno si esige una libertà anche nelle discipline teologiche – e una strenua difesa del “codice” della natura che svincoli la teologia dal sostenere in modo univoco l’interpretazione aristotelico-scolastica e porti a delineare una riforma del pensiero e di tutte le discipline scientifiche. Infine, Paolo Antonio Foscarini assumerà, nella sua Lettera sopra l’opinione de’ Pitagorici, il binomio Scrittura-Natura entro parametri differenti, utilizzando come punto di partenza l’assoluta fiducia nella veridicità delle Scritture: quand’anche vi siano conoscenze contrastanti con la Scrittura non solo sarà opportuno tralasciare ogni ragione umana che le convalidi, ma anche ogni esperienza sensibile legata alle stesse conoscenze.
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