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Vito Plantamura
Ruolo
Ricercatore
Organizzazione
Università degli Studi di Bari Aldo Moro
Dipartimento
DIPARTIMENTO DI SCIENZE POLITICHE
Area Scientifica
AREA 12 - Scienze giuridiche
Settore Scientifico Disciplinare
IUS/17 - Diritto Penale
Settore ERC 1° livello
Non Disponibile
Settore ERC 2° livello
Non Disponibile
Settore ERC 3° livello
Non Disponibile
Partendo da una ricostruzione storica e comparatistica, il lavoro illustra: i precedenti, le ragioni e le modalità dell’introduzione della responsabilità da reato degli enti nell’ordinamento italiano; l’intera previsione positiva di diritto sostanziale di cui al d.lgs. n. 231/10, e la relativa implementazione, con riferimento anche alle sanzioni e alle disposizioni sulla prescrizione; nonché le elaborazioni dottrinali e le interpretazioni giurisprudenziali concernenti tutti gli aspetti più dibattuti, ivi compresi quelli dei reati presupposto colposi e dell’eventuale attribuzione, a soggetti privati, di un potere di certificazione dei modelli organizzativi. Nelle conclusioni, si propongono modifiche dirette ad incentivare maggiormente il ricorso ai modelli organizzativi, e ad escludere, dai destinatari della normativa in questione, gli enti dotati di una organizzazione priva di complessità, per i quali, come per le imprese individuali, potrebbe essere utile, invece, introdurre nel codice civile lo strumento dei punitive damages. Inoltre, anche mediante un paragone con il sistema francese, si suggerisce che gli enti (di dimensioni non piccole) possano essere chiamati a rispondere in via esclusiva dei reati colposi, senza alcun cumulo di responsabilità con le persone fisiche, mentre l’attuale regime di responsabilità concorrente dovrebbe permanere con riferimento ai reati dolosi. Per il caso di fallimento dell’ente, poi, si prospetta la possibilità, con una sorta di ribaltamento dell’art. 197 c.p., di prevedere una responsabilità sussidiaria del management, per il pagamento della sanzione pecuniaria inflitta al proprio ente di appartenenza.
Vi sono due modelli contrapposti di diritto penale: quello garantista, diretto alla tutela di beni giuridici, in cui la punizione è la conseguenza di qualcosa che si è fatto, e quello d’autore, espressione di una concezione moralistica della società, nel quale si è puniti per il proprio modo di essere. Tali modelli, lungi dall’escludersi completamente a vicenda, generalmente convivono, in quanto gli ordinamenti aderiscono, all’uno o all’altro, in modo solo tendenziale. Ciclicamente, poi, specie nei momenti di crisi come l’attuale, il diritto penale del tipo d’autore riprende vigore, anche proponendo tipi nuovi, come lo stalker, il pervertito (sessuale) e il clandestino. L’articolo, pure ricorrendo allo strumento della comparazione e tenendo conto degli obblighi internazionali ed europei, dimostra come la normativa italiana, appunto, sullo stalking, su alcuni dei reati sessuali nei confronti dei minori, e sul c.d. reato di clandestinità, sia da ascrivere in netta prevalenza al diritto penale del tipo d’autore, con quantomeno dubbia costituzionalità conseguente della normativa stessa. La conclusione, tuttavia, è che, nonostante il conflitto con il volto costituzionale del diritto penale, in futuro non sarà facile ottenere le necessarie modifiche della normativa di cui trattasi, che per altro, almeno con riferimento allo stalking e ai reati sessuali contro i minori, può anche ammantarsi del “politicamente corretto”. Anzi, è più probabile che esempi di fattispecie incriminatrici espressione del diritto penale del tipo d’autore siano destinate ad aumentare, anche saldandosi con il modello che, costituendo “il rovescio della stessa medaglia”, pure nella narrazione massmediatica ad esso risulta strettamente connesso, cioè il diritto penale del tipo di vittima.
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